Nemmeno lui, che certo non mancava di presunzione, avrebbe scommesso su ciò che l'attendeva: quella vertigine di scoperta, quel fiume straripante di novità forgiate dall'intelletto, quella sensazione di aver dato la spinta definitiva a un mondo vecchio di secoli, se non di millenni. Si chiamava Cartesio, e con il suo Discorso sul Metodo, fondò una nuova visione del mondo, il battesimo della modernità.
Anni dopo, nel 1650, il più gelido inverno che la Svezia ricordi, lo troviamo morente, forse per una polmonite. Un uomo ancora aggrappato alla vita, furioso con la malattia che gli sta sottraendo le carte che ancora vorrebbe giocare, indispettito con la regina Cristina, che lo ha invitato a Stoccolma, segnando la sua sorte. Tutta la sua scienza non gli servirà a vincere la partita a scacchi con il destino.
Le ossa di Cartesio di Russel Shorto (edizioni Longanesi) incomincia da qui, da quella notte in cui il grand'uomo che ha rivoluzionato il nostro modo di pensare, così come fece Aristotele per gli antichi, si congeda dal mondo.
Non è una biografia di Cartesio, è una storia di ciò che rimane di lui dopo la morte: e nemmeno un ragionamento sulla filosofia. Questa è la storia dei suoi resti mortali, tra riesumazioni e successive tumulazioni, e soprattutto la storia di una scomparsa inspiegabile, quella del suo cranio.
Roba da specialisti che hanno tempo da perdere? Da eruditi che collezionano particolari più o meno inutili? No, assolutamente, perché da questa storia, apparentemente marginale, si squaderna la più grande avventura, quella appunto delle idee che sgomitano per imporsi al mondo.
Dice Russel Shorto nella prefazione di aver cominciato per caso, la volta che si imbattè in una curiosa figura di antropologo, quel tipo di persone che ti possono far venire il mal di testa, ma che poi, all'improvviso, ti tolgono senza preavviso la comoda poltrona del tuo punto di vista abituale.
Che bel libro, questo. Un libro che mi entusiasma ancora di più per ciò che c'è dietro. Il dettaglio che si insinua per caso nella vita, che diventa passione o forse ossessione, montagna di dubbi, di domande sul tempo perso, sulle energie prosciugate, tranne poi spalancare un orizzonte.