Magazine Diario personale

Dal diario di settembre del gatto Semolino

Creato il 14 settembre 2015 da Povna @povna

Caro diario,
le vacanze nel paese-che-è-casa sono finite, e due settimane fa, dopo la solita ammucchiata a fine agosto, sono tornato a casa insieme a Thelma, per andare incontro come sempre all’autunno che verrà. Devo dire che un po’ mi mancheranno il cielo bello, l’aria fine e la campagna, ma tutto sommato quando siamo rientrati nel nostro appartamento sono stato ben contento, perché di base sono un gatto di città. Un po’ di malinconia da addii mi era restata però appiccicata addosso, perché so che settembre vuol dire anche meno socialità, meno cene, meno tutto. E anche la ‘povna, con l’arrivo delle piogge, non riesce a passare così spesso al nord.

Per questo, quando qualche giorno fa ho sentito Thelma che parlava al telefono, ho drizzato subito le orecchie. Non mi ci è voluto molto per capire infatti che, per il suo compleanno, stava organizzando una vera super-festa, e “festa” significa, da che sono al mondo, che la ‘povna acchiappa al volo un treno folle, e arriva qui.
Così è stato, anche questa volta. Ieri sera, verso l’ora di cena, ho sentito che si apriva la porta, e lei è entrata con lo zaino a righe dei suoi viaggi, pronta a stare qualche giorno insieme a noi. Come al solito, lei e Thelma hanno passato la serata preparando tante cosine buone e chiacchierando; poi Thelma è andata a dormire nel lettone che era sul presto, mentre io e la ‘povna siamo rimasti a leggere sul divano ancora un po’.
Questa mattina ci siamo alzati di buon’ora e abbiamo messo tutto in ordine. Poi le due cugine hanno iniziato ad affacendarsi in cucina tra i fornelli, e io mi sono reso conto che l’evento che si profilava era di dimensioni enormi, persino per i numeri nostri, che, come è noto, sono sempre piuttosto alti anche quando siamo pochi.
Preparavano un “brunch”, dicevano. Ma vero, aggiungevano, non quelle puttanate in stile milanese che vanno assai di moda adesso: all’inglese, pare. Ed è forse per questo che si sono messe a friggere pancetta, preparare fagioli al pomodoro al forno e pomodori sale e zucchero. E poi frittelle con lo sciroppo d’acero, e farinata, e pesce finto, e ancora tante buone cose.
Poi, alle 11.30, hanno cominciato ad arrivare tutti. E Thelma e il Regista a friggere uova al padellino come se piovessero, e intanto il campanello suonava, e la porta si apriva e si chiudeva, ininterrotamente. Al momento di massimo pienone, credo fossimo di un pezzetto oltre i cinquanta, compresi gli Oompa Loompa, che adesso stanno diventando, devo dire, considerati i nuovi arrivi, una tribù cospicua.
Io me ne sono stato sull’armadio, di vedetta, oppure girellando in cortile, dove spesso si attardava una parte della festa. Ma, anche se sembrava di no, ho controllato sempre tutto. La ‘povna era al settimo cielo, l’ho ben vista, continuava ad aggirarsi per la festa a piedi scalzi (le scarpe le aveva annacquate la mattina, andando a comprare il burro di noccioline – così ha detto), con un sorriso che le tagliava il viso in due, da orecchio a orecchio, chiachierando con ciascuno e con tutti come se volesse far provvista di parole per quando, ahimé, già lo so, ripartirà.
Poi, verso le sei, quando eravamo ormai rimasti proprio pochi, una decina al massimo, lei, lo Stropicciato, BibCan, l’Architetto e un paio di altri hanno deciso di concludere la domenica al Film Festival (Ghiaia per fortuna le ha prestato gli stivali, che non era cosa andarci scalza), mentre Thelma è andata a trovare la Zia Mamma.
Sono usciti tutti molto allegri e rumorosi, e io ne approfittato per schiacciare un pisoletto. Poi verso le nove Thelma è tornata per cena, e ho avuto paura che la ‘povna se ne fosse volata via diretta, senza nemmeno salutarmi. Invece per fortuna ho sentito che si parlavano al telefono: ha detto a Thelma che dopo il documentario sarebbe rimasta ancora un poco in giro per Milano, per godersi queste ore fino in fondo. Allora io e Thelma abbiamo mangiato insieme, e poi ci siamo messi sul divano a dormicchiare a luce accesa, per aspettare il suo ritorno. Ed è così che lei ci ha trovato, quando è rientrata a mezzanotte, radiosa, lo si vedeva bene, per avere vissuto distillata in questa manciata di ore dense tutta la socialità che le è più cara.
Domani ripartirà, l’ho già capito, purtroppo: da come ha fatto il viso scuro e armeggia con lo zaino. Continua a parlare di inizio della scuola e di autunno che arriva, e va ripetendo, ossessiva, “non s’affronta”. E a me dispiace, sia perché quando lei è qui facciamo un sacco di ammucchiate divertenti, sia perché capisco che questa volta le è particolarmente tosto abbandonare il nord.
Speriamo che torni presto, e che gli arrivederci forzati non la lascino comunque troppo triste. In fondo, quella sua piccola città in cui vive, e di cui parla sempre, non deve essere malaccio. Anche se poi io per davvero la capisco, perché noi amici del nord siamo, tutti, così talmente belli e unici e assoluti in modo assurdo, che deve essere sempre una fatica doppia, per così tanti giorni e settimane tutti tristi uno infilato dopo l’altro, fare senza di noi.


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