Nota preliminare: solitamente la rubrica Dal libro al film è a titolo più informativo che opinionistico, ma quest'articolo farà eccezione, perché temo di rientrare nel novero degli spettatori decisamente non entusiasti dall'attesa seconda parte de Lo Hobbit. La domanda principale è: c'era proprio bisogno di tre film di tale spropositata lunghezza?
La desolazione di Smaug è precisamente poco burro spalmato su troppo pane, se mi passate la citazione. La pellicola si apre con un flashback di un anno precedente agli eventi del primo film, un dialogo lungo e mortalmente soporifero tra Gandalf (Ian McKellen) e Thorin Scudodiquercia (Richard Armitage), che per di più mi è toccato vedere due volte perché il cinema che proiettava il film ha deciso di rimettere daccapo la pellicola per favorire i tanti maleducati ritardatari, ma questa è un'altra storia. Peraltro ho sempre creduto che iniziare libri e film con lunghe e tediose spiegazioni fosse un pessimo modo per ingraziarsi l'interesse del lettore/spettatore, ma tant'è.
La storia torna quindi nel presente, con i nani e l'hobbit inseguiti instancabilmente dagli orchi guidati da Azog (Manu Bennet). A questo punto, dopo scene allungate a dismisura e scene aggiunte per far brodo, Jackson inverte la tendenza e decide che la parte in cui il gruppo viene ospitato da Beorn il mutapelle (interpretato da Mikael Persbrandt) è troppo noiosa, come illo tempore lo era stata quella con Tom Bombadil, e la riduce a cinque minuti di incontro. Dopo la scoperta che Azog è nientemeno che uno dei più importanti luogotenenti del Negromante (?), inizia uno degli archi di punta del film, l'arrivo dei nani a Bosco Atro, abitato da strane creature con lentine blu fluo e modi metrosexual chiamate elfi silvani. Codesti elfi irrompono dopo lo scontro tra nani e ragni (una delle poche scene da salvare in tutto il film) e catturano i nani per condurli presso re Thranduil (Lee Pace).A questo punto avviene l'impensabile. Lo spettatore medio, lo sappiamo, non è contento se: a) mancano le tette (versione maschile) b) manca una coppia struggente su cui fantasticare (versione femminile). Purtroppo per Hollywood, a Tolkien di queste cose importava una fava. Nella trilogia di LOTR Jackson aveva risolto ingigantendo il ruolo di Arwen attribuendole di tutto, dal salvataggio di Frodo originariamente avvenuto per mano di Glorfindel allo straripamento del Bruinel che uccide alcuni dei nazgûl e nel libro causato da Elrond, per poi spettacolarizzare la sua relazione romantica con Aragorn. Ne Lo Hobbit, mancando completamente la materia prima da ingigantire (i personaggi femminili), Jackson decide di scritturare Evangeline Lily (la Kate di Lost) per farne il capitano delle guardie del reame di Bosco Atro, la bella Tauriel, su cui Legolas, figlio del re Thranduil, sbava in ogni singola scena. La cosa è già ridicola di suo, se si considera che Orlando Bloom, pur portandosi bene i suoi anni, al contrario del personaggio che interpreta non è immortale, e quindi sembra il padre del se stesso di LOTR. Perché inserire forzosamente un personaggio inutile nell'economia della trama e che risulta ridicolo perché è (e si vede) più vecchio nel prequel che nel film che lo segue cronologicamente? Solo per potergli fare incontrare il padre del suo futuro amico Gimli (Peter Hambleton) e denigrare il ritratto del figliuolo che il nano si porta dietro? Ma il fondo non è ancora stato toccato: il triangolo no, noi non lo avevamo considerato nelle nostre fantasie più deliranti (e nemmeno la coppia, se è per questo), ma Jackson sì: prende il nano più attraente della compagnia dopo Thorin (che è troppo preso dal suo ruolo emo per poter avere un interesse amoroso), cioè Kili (Aidan Turner), e suggerisce un'attrazione tra i due sancita dalle solite battute goliardiche che dall'alba dei tempi servono a sottolineare la tensione sessuale piuttosto che a mascherarla:
Kili: "Non vuoi perquisirmi? Potrei avere un'arma sotto i pantaloni"Legolas rosica, le chiede perché quel nano insolente continui a fissarla dimenticando che da quando è comparso in scena anche lui non ha fatto altro. Lei risponde che per essere un nano è piuttosto alto. Io mi ficco due dita in gola: un nano e un elfo in un'opera derivata da un libro di Tolkien, non so se mi sono spiegata. E no, abbassate quelle mani, le vostre elucubrazioni sul rapporto da atleti negli spogliatoi tra Legolas e Gimli non mi interessano.
Tauriel: "Oppure nessuna."
Ma torniamo alla trama. La situazione viene ancora una volta risolta da Bilbo, che ha ormai perso i riflettori, tutti concentrati sugli sfavillanti sguardi tra Tauriel, Legolas e Kili: grazie al potere dell'anello, riesce a liberare i nani dalle prigioni nell'ennesima scena di fuga allungata della durata di trenta minuti, poiché - a differenza del libro - non solo i nani vengono scoperti dagli elfi, ma vengono anche attaccati dagli orchi.
Durante la pausa, la signora accanto a me mi rivolge questa domanda:
"Ma secondo te quando inizia il film? Finora non hanno fatto altro che scappare".
Apro la bocca per risponderle che no, il libro è ben altro, c'è tanta roba interessante, ma mi rendo conto che ha ragione. Il film è un'eterna fuga rocambolesca.
"Non lo so, signora. Spero nel secondo tempo."
Il secondo tempo è effettivamente quello in cui inizia il film. Gandalf si reca a Dol Guldur per indagare sulle forze oscure che si stanno mettendo in moto, dove incontra Radagast (Sylvester McCoy) e scopre che le tombe dei nazgûl sono vuote. La compagnia frattanto arriva a Pontelagolungo (Esgaroth), poco sotto le pendici delle Montagne Nebbiose, e riesce a entrarvi di nascosto grazie al barcaiolo Bard (no, non è interpretato anche lui da Orlando Bloom, ma da Luke Evans che gli somiglia una cifra, ed è la seconda volta che hanno la geniale idea di mettere i due attori insieme nello stesso film), che li nasconde in casa salvo poi realizzare che il ritorno del legittimo erede del regno sotto la montagna potrebbe risvegliare il drago e dunque distruggere la sua città. Bard è un personaggio complesso, e almeno questa aggiunta l'ho apprezzata: povero e vedovo, con tre figli a carico, è per di più vittima della sfiducia della gente in quanto discendente di Girion, che ebbe l'occasione di uccidere Smaug ma sbagliò il colpo.Thorin, sempre più preda dell'ossessione di recuperare il suo regno e le sue ricchezze, si allea con il governatore di Esgaroth (il sempre ottimo Stephen Fry) promettendo prodigiosi tesori alla città in cambio dell'equipaggiamento necessario a intraprendere la spedizione. La loro partenza avviene in pompa magna ma di corsa, e Thorin si lascia dietro Kili, che in un atto di eroismo durante la fuga da Bosco Atro è stato colpito da una freccia avvelenata, Fili (Dean O'Gorman), che non vuole abbandonare il fratello, Oin (John Callen), che vuole occuparsi del compagno ferito, e Bofur (James Nesbitt), così, senza motivo (si era svegliato tardi). Mi chiedo dove la sceneggiatura voglia andare a parare dividendo in questo modo il gruppo: mentre i restanti membri dell'impresa raggiungono la Montagna Solitaria e riescono a entrarvi (sempre grazie a Bilbo), i quattro nani rimasti a Pontelagolungo vengono attaccati dai soliti orchi, e quando Kili rischia di essere ucciso arriva... no, non lo spettro di
Tolkien a fare a pezzi il set e a incenerire la sceneggiatura, e no, nemmeno i suoi eredi a far causa a Jackson, no, purtroppo neanche i fan ad accoppare Kili pur di non assistere a quello che già sappiamo avverrà: ad arrivare è Tauriel che, preoccupata per le sorti del nano ferito, ha abbandonato i suoi doveri nel reame di Bosco Atro e ha raggiunto a sua volta Esgaroth, pedinata dall'immancabile Legolas che la segue come un pulcino fa con la chioccia.
In una scena molto simile a quella in cui Aragorn guarisce Frodo, Tauriel cura il febbricitante e moribondo Kili usando l'athelas in un tripudio di litanie elfiche, sospiri e sguardi languidi. Le femmine della sala sono in un brodo di giuggiole. I maschi si lamentano perché il costume di scena fa vedere poco le tette della Lily. Io sono sotto la poltrona e sto mangiando una delle mie copie de Lo Hobbit chiedendo perdono a Tolkien.
L'ultima parte è dedicata alla Montagna Solitaria e a Smaug, finalmente visto in tutta la sua magnificenza: Bilbo s'infiltra nei sotterranei alla ricerca dell'Arkengemma, ma nonostante indossi l'anello il drago riesce a fiutarlo e si risveglia. Bilbo cerca di giocarlo, ma Smaug si avvede della presenza dei nani e si avventa su di loro per distruggerli: il gruppo tenta di imprigionarlo versandogli addosso un'enorme quantità di oro fuso, ma il drago si libera e spicca il volo verso Pontelagolungo per distruggerla. Perché il drago lasci degli intrusi nella tana, decidendo di punto in bianco di andare ad attaccare gli umani, non ci è dato sapere, così come non ci è dato sapere perché mai i nani credessero di poter uccidere un drago con dell'oro fuso. Finalmente, comunque, azione, azione vera intendo, utile allo svolgimento della trama, senonché dopo mezz'ora di fiamme e di gente che corre, anche questa scena finisce per stancare e non si vede l'ora che proiettino i titoli di coda.
Lo ribadisco: ce n'era bisogno? Lo Hobbit, il libro, è una storia semplice, adattabile anche a un pubblico più adulto, essenziale, leggera e scanzonata. Tre film, pur saccheggiando le Appendici e le raccolte di Racconti, sono troppi. A meno che, come ha dovuto fare Jackson, non si allunghi e si inventi, ma che non mi si dica che non c'era altra scelta: la scelta c'era, narrare la storia in un unico film (cosa che poteva essere stata fatta efficacemente) o al massimo due (con l'aggiunta dei retroscena), ed è stato scelto altrimenti per ragioni puramente economiche. Lo Hobbit, com'è evidente da questo secondo capitolo, è un film nato per il 3D: visivamente spettacolare, povero di contenuti, infedele allo spirito del libro.
Film bocciatissimo, insomma, se non si fosse capito, ad eccezione di qualche isolato spezzone. Temo al pensiero di ciò che Racconto di un ritorno farà della Battaglia dei Cinque Eserciti.