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Dal linguaggio allusivo al comportamento stabilizzato

Creato il 08 gennaio 2011 da Bruno Corino @CorinoBruno

Ogni circolo dell’azione emette dei segnali: non c’è azione senza segnali. Che si tratti di movimenti, espressioni mimiche, mugugni, posture del corpo, odori, arrossimenti, digrignamenti, occhiate, occhiatacce, ecc. si tratta sempre di segnali che esprimono un’azione. A ciò possiamo aggiungere che lo stesso linguaggio verbale e gestuale è un’espressione “delegata” dell’azione, cioè è un atto che “rappresenta” o “prefigura” o allude a un intero processo attivo. Infatti ci si “affida” a questo potente mezzo di comunicazione altamente elaborato il compito di “figurare” o “rappresentare” l’azione”. Quando l’agente compie delle azioni emette anche dei segnali; questi segnali, percepiti da un altro agente, hanno come scopo quello di regolare il suo comportamento secondo determinate aspettative. La regolazione di questo meccanismo viene percepito dal primo agente attraverso segnali (messaggi di ritorno) che hanno lo scopo di confermare o deludere le proprie aspettative.
Gli oggetti, gli eventi, gli esseri viventi proiettano sempre un’infinita molteplicità di effetti sull’agente umano, effetti che una lunga tradizione di pensiero ha classificato come “segnali”. Alcuni di questi segnali hanno il potere di suscitare emozioni, in particolare quelli che riguardano decisamente la sopravvivenza, cioè quelli che coinvolgono direttamente il proprio essere. Infatti, più è in gioco un aspetto della nostra sopravvivenza più intenso è il coinvolgimento emotivo. Prescindere da questo coinvolgimento ossia sottrarsi alla pressione che un’azione immediata esercita sul nostro corpo per attuare una presa di distanza non è sempre un’operazione facile da realizzare.
Un boato improvviso (effetto) mette l’animale in fuga. Un boato improvviso (il ruggito di un predatore, un tuono, il rombo di un aereo, un colpo d’arma da fuoco) diventa un segnale di pericolo, e di fronte a un segnale “sconosciuto” l’unica risposta che l’istinto suggerisce è la fuga. Nell’animale, la coordinazione tra la percezione e l’azione è garantita dall’apparato istintuale: l’apparato istintuale dell’animale, attraverso le proprie esperienze sensoriali (percezioni), da un lato seleziona i segnali significativi (gli stimoli-chiave), dall’altro predispone le risposte motorie da corrispondere. La risposta alla pulsione scatenante viene elaborata dal proprio apparato istintuale. Tutti i segnali di cui l’apparato non ha predisposto alcuna risposta specifica sono percepiti come segnali di pericoli, e come tali vanno evitati. Se anche l’essere umano fosse dotato di un apparato istintuale simile a quello degli altri animali, allora anch’esso di fronte a un segnale sconosciuto reagirebbe con la fuga. Invece, essendo sprovvisto di tale apparato selettivo e innato, egli di fronte a qualsiasi segnale sconosciuto si trova disorientato.
Mettendo da parte l’idea che sia la cultura, e non l’istinto, a fornire all’essere umano tale appartato selettivo capace di orientarlo nella classificazione dei segnali, e quindi di riportare il segnale ignoto a qualcosa di noto, all’origine o dal punto di vista biologico, secondo l’ipotesi dell’antropologia di Gehlen, egli, essendo sprovvisto di un apparato istintuale, non ha alcun modo di “riconoscere” la natura di un segnale. Il segnale è percepito attraverso l’apparato sensoriale, ma la sua natura rimane celata. Perciò, per l’uomo ogni segnale in sé è allusivo: rimanda sempre ad altro. L’allusività del segnale è ciò che determina la sua esitazione, e ciò che lo predispone all’attesa. L’animale di fronte a una traccia, a un indizio non esita, “sa” come interpretarlo. Il suo istinto gli permette di riconoscere immediatamente ciò che lo aiuta a sopravvivere da ciò che è invece prudente evitare.
Dove ha origine l’allusività del segnale? Rispondere a questa domanda vuol dire rispondere anche alla domanda: dove ha origine l’ordine umano e quindi la cultura. Le due domande sono strettamente correlate, perché la creazione di un ordine stabilizzato ha proprio il compito di eliminare o di ridurre dal segnale (o dal segno) la sua natura allusiva. Il fatto che la specie umana abbia avuta la possibilità di delegare al linguaggio gestuale prima, e a quello verbale poi, il compito di dire o rappresentare l’azione, nel senso di poterla raffigurare o rappresentare, ha avuto delle conseguenze enormi sulla evoluzione della specie umana: “alludendo” soltanto a un “segmento” dell’azione, trascurando tutto il resto, ha esonerato l’essere umano dal compito di impegnarsi in un’azione intera, e quindi gli ha permesso di potersi disporsi nello stesso tempo verso un’altra azione. Inoltre, alla funzione rappresentativa si è aggiunto la possibilità di poterla descrivere, discutere, analizzare, tramandare, ecc., attività che sono precluse all’azione in sé. L’azione infatti, intesa come lavoro del corpo, si consuma nell’attimo stesso in cui viene compiuta. Infine, lo stesso linguaggio verbale, diventato ormai maturo si svincola completamente dall’agire, rendendosi autonomo. Questo svincolarsi dall’azione ha permesso al linguaggio verbale la possibilità di dire altro che non sia necessariamente espressione di un’azione.


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