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Dal Mose alle Grandi Navi, il business continua

Creato il 09 giugno 2014 da Albertocapece

Venezia: protesta No Grandi Navi blocca partenza crocieristiAnna Lombroso per il Simplicissimus

Ma mica vorrete lasciarli digiuno, ai ceppi e senza la certezza che da una parte o dall’altra continuino a arrivare puntuali e con regolarità quegli aiuti che fanno la vita più comoda e bella.

No, possono stare tranquilli, quelli già in galera, quelli fuori che temono coinvolgimenti più diretti, quelli che pensavano di essersela cavata perché si è scavato nel fango più recente e tanto c’è da scavare altrove. Eh si possono stare tranquilli, perché è proprio scavando che si fa la grana, quella che poi circola a cerchi che si allargano, sfiorando vecchi e nuovi beneficiari. Perché per fare entrare le Grandi Navi, quelle turistiche un tempo meno gigantesche ma pesanti e inquinanti, quelle industriali, quelle commerciali, si sono scavati i canali che portavano dal mare in Laguna, quelli un tempo pensati e accuditi con proterva cura dalla Serenissima, per farli più capienti e profondi. Ma al tempo stesso li si è abbandonati all’incuria: senza la cocciuta, necessaria manutenzione, le acque alte, fenomeno stagionale, si sono ripetute, con formidabile e estemporanea potenza. Ma non c’era più una amministrazione della città attenta a conservarne la grandezza, a tutelarne il governo di quella forza, il mare, che ne aveva decretato l’egemonia, ma che poteva essere nemico, e quindi da ammansire, guidare, con il quale scendere a patti, perché a volte bisogna rinunciare a megalomani sogni di prestigio e profitto per salvare memoria, presente e futuro di una città che ha rappresentato e poteva essere l’utopia realizzata.

No, c’era il coagulo di soggetti diversi, vuoti di ideologia che non fosse il denaro e l’autorità che ne consegue, ignoranti e sprezzanti di una bellezza che avevo ereditato e che sentivano addirittura ostile, proprio in quanto allegoria del buon governo, da convertire in un laboratorio dove sperimentare l’influenza e l’autorità di aziende avverse e refrattarie a investire in produzioni, innovazione, tecnologia, qualità, preferendo la pesantezza rigida del cemento o la festosa sregolatezza del gioco d’azzardo finanziario, insomma dalla rendita fondiaria ai fondi.

È così che la soluzione scelta con procedure oscure, con l’imposizione senza alternative come un diktat implacabile e necessario per il bene della città è il Mose, un meccanismo che permetterà di continuare a manomettere la Laguna, non intervenire sulle cause delle acque alte, almeno quelle estranee a bradisismo, eustatismo, cambiamento climatico, in un criminale laissez faire non della natura ma dell’uomo, per sistemare le cose a comando, premendo l’interruttore delle paratoie, tirando su le dighe. Si, un meccanismo che diventa una formidabile macchina da soldi, perché la cura contro il mare patrigno viene affidato ai fisiologici distruttori, incaricati di progettare la soluzione, imporla, realizzare la complessa opera meccanica, riparare gli eventuali danni ambientali, controllarne l’efficacia con la benevola accondiscendenza di chi avrebbe dovuto sorvegliare, magistrati, guardia di finanza, tecnici.

Ma possono stare tranquilli, non servirà la lima dentro alla pagnotta, potranno pagarsi avvocati, comunicatori, sostegni, potranno un domani riaffacciarsi, come le figurine immorali e immortali dell’Expò, nel perenne brand della corruzione, vituperata a parole, condannata con riprovazione, ma della quale ritardi e omissioni della politica riconfermano il ruolo insostituibile nella creazione del Pil, secondo le inesorabili leggi dei “mercati” .

Eh si perché dietro al polverone mefitico del Mose, si scaverà ancora. Il Ministro Lupi, il Governo, ma anche quel che resta sorprendentemente fuori dalla galera del ceto dirigente veneziano ha sancito l’indispensabilità all’economia cittadina del passaggio delle Grandi Navi. Hanno già vinto i nuovi corsari con i vecchi pirati locali, le navi passeranno – viene considerata proprio come il Mose la scelta preferibile dal punto di vista tecnico, ambientale, meccanico – attraverso il canale Con­torta Sant’Angelo, un intervento valutato tra i 200 e 350 milioni di euro, che verrà affidato, non c’è alternativa, senza alcuna tra­spa­rente pro­ce­dura ad evi­denza pub­blica al Con­sor­zio Vene­zia Nuova. È inevitabile, è legale, è legittimo: provvedimenti ad hoc hanno negli anni costruito un monopolio e una macchina di correità, un sodalizio ramificaTO E resistente, che probabilmente riuscirà a passare indenne attraverso qualsiasi tempesta giudiziaria e mediatica, se impudentemente il presidente dell’Autorità del Porto, ex sindaco di Venezia, si sarebbe affidato per l’allargamento dell’attuale via d’acqua di 4×2 metri fino a 200×10 metri, sotto l’occhiuta vigilanza del Magistrato alle Acque, a Pro­tecno Srl, società di Noventa Pado­vana, e alla cop­pia di inge­gneri Daniele Rinaldo (già diret­tore in vari can­tieri del Cvn) e Maria Teresa Brotto (ex ad di The­tis arre­stata il 4 giugno), anche queste vecchie conoscenze e sodali di quella catena di sant’Antonio che ha procurato affari, prebende, stipendi regolari, lavori, soldi a una cerchia ben nota, della quale tutti sapevano.. e lo credo, i quattrini uscivano dalle nostre tasche. Dove, scava, scava, non rimane più niente.

 


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