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Dal padre padrino al figlio padroncino

Creato il 20 marzo 2014 da Albertocapece

hqdefaultAnna Lombroso per il Simplicissimus

Ci pareva di sapere già tutto di un uomo qualunque chiamato Renzi, invece la fenomenologia del leader lanciato da Mike Bongiorno deve essere aggiornata, perché il contatto quotidiano con il potere esalta e mette in luce caratteristiche, vizi ed inclinazioni nuove o celate. E che affiorano probabilmente – proprio come nell’imitazione di Crozza – anche grazie ai consigli del suo “superiore”, che intanto lo ha convinto dell’effetto persuasivo di parlare di sé in terza persona, come a dare l’impressione di un razionale e disinteressato distacco, di una distaccata e obiettiva capacità di giudizio. Mentre invece potremmo attribuire la nuova e non originale consuetudine mutuata dal condannato, ai possibili effetti regressivi della collocazione in supreme poltrone.

Così il bullo delle Cascine parla in terza persona come uno scolaretto che dice di sé “il Matteo è stato buono”, “il Matteo fa tutto quello che gli dicono di fare il maestro, la direttrice, il bidello”, e soprattutto “in casa del Matteo comandano il papà e la mamma”.

Solo un patologico e inquietante arretramento mentale all’età preadolescenziale del tronista, può fargli credere che sia convincente per gli italiani questa conversione ufficiale del vecchio familismo in sistema di governo, all’insegna dell’abiura della responsabilità, della consegna incondizionata a contesti e soggetti autoritari più che autorevoli, dell’ubbidienza ambigua a “soprastanti” cui si deve condiscendenza ma che si spera sempre di buggerare.

Se ci stiamo a queste regole vuol dire proprio che coincidiamo con i peggiori stereotipi che hanno colonizzato la nostra autobiografia nazionale: quello di una gente immatura, quello di un popolo bambino, indolente, pigro, gregario, quello ben tratteggiato da Bobbio, della coincidenza tragica fra padroni gabbati e servi contenti, che si produce quando un sistema di rappresentanza politica viene trasformato in un sistema di scambio fra poteri pubblici e interessi privato, quando si promuove e tollera la sistematica svendita di legalità in cambio di consenso.

Vuol dire che accettiamo come fisiologico e desiderabile il ricorso alla delega totale, liberatoria e purificatore, alle cambiali in bianco anche tramite una legge elettorale che ci esime dalla scelta di chi deve rappresentarci, all’affidamento di decisioni fondamentali a vecchi non rottamati, numi tutelari o tecnici. Renzi come tutto il ceto di appartenenza non ama la cultura, nemmeno quando la trasforma in  location, in merce  da svendere, in prodotto da completare à la manière di Michelangelo.

La cultura fa pensare, incrementa critica, sviluppa indipendenza e lui preferisce invece competenze e categorie specialistiche, prima tra tutte quella dei giovani, che si accreditano facilmente, cui è doveroso perdonare incapacità, approssimazione e esuberanza, o quella dei manager, con una predilezione per tracotanti arruffoni, per visionari tarocchi, per furbastri con pochi scrupoli, o quella dei ragionieri commercialisti, a uno dei quali ha affidato l’ennesima spending review a 2200 euro al giorno con due settimane di ferie meritate per aver sforbiciato lotta alla mafia, ghigliottinato dipendenti pubblici, ridotto all’osso il Welfare, sistemato appena appena le basette ai costi della politica. E confermato quella che Bondi aveva chiamato Operazione Cieli Bui, riduzione delle spese energetiche nelle città.

I cieli bui restano, ma non solo per i lampioni. Cottarelli pettina ma poi, dice Renzi in un sussulto di adulta e virile determinazione, l’acconciatura spetta al Governo, in modo da proseguire nelle blandizie di lobby, nella conquista di favori elettorali, nella  rispettosa e devota osservanza dei comandi europei, che si sa le riforme costano.

Ma costeranno soprattutto a noi, in garanzie, diritti fondamentali e del lavoro, sicurezza, dignità e politica.

Perché, secondo il fenomeno Renzi,  come la cultura  anche la politica è roba triste, grigia e arcaica da comunisti, se la intendiamo, non come dinamismo senza progetto né programma, non come movimento senza destinazione, bensì come il definirsi circolare di un cammino condiviso di valori, prassi e obbiettivi da raggiungere  nell’interesse generale.  Ma questo appunto è l’opposto di quello che più su si ordina e che Renzi è stato incaricato di eseguire, al servizio di un quel vortice attivo e impegnato a  dissolvere le strutture della società, decomporre lo Stato in favore dell’accumulazione privata, cannibalizzare gli strumenti della rappresentanza e della democrazia, cancellare il senso stesso della vita, se sta divorando sino al limite del collasso, le risorse naturali, se sta sfruttando fino alla dissipazione i beni comuni, se sta mandando in rovina beni culturali e bellezza.

Per lui e per i suoi padroni, la politica è usare la crisi, trattata come una occasionale perversione o come un incidente naturale, imprevista e sorprendente quanto ne è illusoria la fine, come l’opportunità per imporre quell’economia informale che legittima l’elusione legale delle regole e la cancellazione di garanzie e diritti, per stravolgere procedure che potrebbero assicurare partecipazione ai processi decisionali in modo da smantellare l’edificio della sovranità, per sancire la nostra appartenenza a un contesto “detentivo” che  condanna noi e le generazioni future a pagare un eterno debito come un cappio, noi eterni figli di un dio minore, ma esonerando loro in nome dell’obbedienza, loro eterni figli di un dio padrone.


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