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Dal panopticon alla tessera della palestra, passando per la leva militare

Da Lidiazitara @LidiaZitara

Vorrei condividere con voi un pensiero che mi ha attraversato la mente ieri, pomeriggio tardi, mentre ritornavo a casa e sentivo la radio.
Stavo in realtà pensando per l'ennesima volta al recupero della prigione di Moabit, a Berlino, di cui ha molto ben scritto Anna Kauber sullo scorso numero di "Rosanova" (n°34, Ottobre 2013, pag. 41).
Moabit fu disegnata secondo il panopticon, il celebre modello dettagliatamente descritto da Michel Foucalt con riferimento all'idea di Jeremy Bentham che per ottenere la pace universale occorresse inculcare il rispetto per la gerarchia e la disciplina.
Nasce così l'idea di una prigione -o di una società- in cui si possa vedere senza essere visti, in cui i soggetti sono consapevoli della sorveglianza, ma non sono a conoscenza del momento esatto in cui questa è in atto.

Foucault ha poi sviluppato l'idea di Bentham per spiegare i paradigmi secondo i quali si sviluppano i poteri della moderna società. "[...]fabbriche, case di correzione, carceri, scuole, ospedali, manicomi o caserme sono stati, a prescindere dalle loro funzioni manifeste, anche luoghi di produzione dell'ordine; si potrebbe dire che fosse questa la loro funzione sociale primaria anchorché latente"* v.nota a fondo pagina (a questa lista mi sembra d'obbligo aggiungere le palestre, luoghi di detenzione psicologica conformati alla norma della "forma perfetta", esclusivamente frequentabili da chi è già in "forma perfetta", e non accessibili ai non palestrati, in un circolo vizioso ben collaudato dalla società).

In particolare la leva militare ha istituito la norma della forma fisica. "Sana e robusta costituzione" diventava una misura, non diversamente dal litro o dal watt. Ma da quando il controllo sociale non è più basato sulla coercizione ma sulla seduzione, sulla creazione di bisogni, sulla suggestione, sulla pubblicità, il metodo prescrittivo ha perso efficacia, è diventato obsoleto e inefficiente.
Molto più remunerative sono la manipolazione delle sensazioni, la fame di nuove esperienze, il coinvolgimento, l'intensità emotiva.

La "sana e robusta costituzione" non basta più. Ci vuole "un fisico bestiale", bisogna essere "in forma".
Attenzione, qui arriva il bello: essere "in forma" ha certamente un minimo (che è la "sana e robusta costituzione"), ma non un massimo. Ne deriva che "si può dare di più", che non c'è fine al meglio, che l'aspirazione alla "forma" deve rimanere tale, perchè se si raggiunge cessa il bisogno verso cui siamo sollecitati, e quindi lo stimolo ad acquistare merci o servizi per essere "sempre più in forma".

La "forma" viene inevitabilmente collegata alla "felicità": se sei in forma sei anche felice, tutti ti guardano con ammirazione, desiderio sessuale, o meglio ancora, invidia. Generare invidia neglia altri è esercitare una forma di potere sociale.
Quindi "essere in forma" significa essere felici e potenti. Implica non solo un movimento costante, ma anche la capacità di assorbire tutti (ma proprio tutti) gli stimoli a cui la società ci sottopone. Anzi, desiderarne un po' di più, perchè non si è mai abbastanza in forma, perché non si è mai abbastanza felici.

Un tempo la malattia o l'incapacità erano contrassegnate dall'inidoneità al lavoro, specie in fabbrica, o alla leva militare, oggi la "malattia" è marcata dalla mancanza di "felicità", di slancio vitale, di allegria, di "solarità". Non già dall'incapacità di provare sensazioni forti, ma dalla mancanza di desiderio di esternarle urbi et orbi. L'accidia, l' ennui, la scarso élan vital, sono tutti marchi di infamia per la nostra società, massimamente esposti su Facebook, dove se per lo meno non pubblichi buongiorni e buonasere con fiorellini, citazioni e vignette di Snoopy, sei considerato uno zombi, un contagioso, muffito untore, incapace di godersi la vita.

L'assenza di desiderio è uno stato a cui sicuramente avrà aspirato Kierkegaard e che magari sarà stato raggiunto da qualche budda o giù di lì. Non so -a dire il vero- se sia uno stato naturale. Il desiderio è ciò che crea Arte.

Ma non è del desiderio che la "forma" ci parla, quanto del desiderio del desiderare qualcosa, qualunque cosa.

Allora -mi chiedo- chi tra chi sa di desiderare e chi non sceglie, ma gli viene inculcato di desiderare il desiderio, è il ruminante zombesco?

*Zygmunt Bauman "Gli usi postmoderni del sesso", Il Mulino 2013


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