di Alessandro Ligas
Vi è una forte necessità di ridefinire tutte le categorie del diritto brevettuale o la loro interpretazione (mi riferisco non solo ai criteri di brevettabilità, la cd. “patent eligibility”, ma anche ai requisiti della novità, originalità e utilità) sulla base di quanto realmente accade in termini di innovazione tecnologica. (Maria Luisa Manis)
Questa estate è stata pubblicata l’importante decisione della Corte Suprema Statunitense Alice Corp. vs CLS Bank. La decisione interviene su un tema delicatissimo quale quello della brevettazione del software, da sempre oggetto di un’accesa discussione tra esperti.In Sardegna è operativo un distretto non formalizzato dell’ICT. Dal lontano 1989, quando, ad opera di Tim Berners-Lee, è nato il world wide web, in Sardegna si sono messi i semi di un nuovo modello di sviluppo fondato sugli assi della ricerca, dell’innovazione e dell’ICT. La nascita del CRS4, nel 1990, del primo sito web italiano, http://www.crs4.it, nel 1993, e, l’anno dopo, del primo quotidiano online sono stati i primi germogli di questa semina. La nascita di Tiscali, prima, e poi la costituzione e l’insediamento di altre grandi e piccole aziende digitali ha reso questo giardino più “vivace”, trasformandolo in vero e proprio distretto.
La Sardegna, secondo il Boston Consulting Group, è al primo posto della classifica delle regioni definite più “Internet” in Italia, ossia è tra quelle regioni che sfruttano appieno le potenzialità data dalla rete in termini di opportunità e di business.
L’innovazione nel settore ICT è ampia e variegata. Si passa dai web business methods all’emergente settore dell’internet of things. Per poter avere un vantaggio competitivo uno dei fondamentali strumenti a cui ricorrono le aziende è la brevettazione, e la corsa alla brevettazione dei software non sembra essersi ancora arrestata. Ma cosa e quando si può brevettare? Quali sono i requisiti che un software deve possedere per poter essere brevettato? A che punto è il dibattito sulla brevettabilità?
Abbiamo incontrato l’avvocato Maria Luisa Manis del Foro di Milano esperta di Diritto Brevettuale, Licensing e ICT Regulatory Law, con la quale abbiamo parlato del tema della brevettabilità nel settore ICT.
Perché il tema della brevettabilità del software è così dibattuto?
Si ha una enorme difficoltà nel trovare un criterio definitivo e ragionevolmente stabile che consenta di distinguere quando una invenzione di software può accedere alla tutela brevettuale e quando no. Questo accade negli Stati Uniti come in Europa. Se volessimo semplificare il criterio sinora prevalso, in entrambi i sistemi, potremmo dire che è quello per cui una invenzione di software è brevettabile quando apporta un contributo tecnico e in particolare un risultato utile e concreto o meglio “tangibile”.
Questo criterio è soddisfacente?
Assolutamente no. Per questo il dibattito è ancora aperto. Questo criterio rivela l’incapacità dei legislatori e giudici chiamati a decidere su questioni brevettuali di capire compiutamente l’innovazione nel settore software. E soprattutto rivela come la difficoltà di inquadrare le invenzioni software, tra quelle brevettabili, dipenda fondamentalmente dal fatto che il sistema brevettuale è stato concepito, e si è sviluppato inizialmente, per settori d’industria tradizionali, diversi dal settore IT.
In sostanza il tema è delicato perché da un lato legislatori e giudici non possono ignorare l’innovazione tecnologica del comparto ICT, d’altro canto i criteri di brevettabilità tradizionali se applicati come tradizionalmente si è fatto, hanno l’effetto di escludere le invenzioni software dalla brevettazione.
In pratica il software non è una invenzione tecnologica per il sistema brevettuale. È esatto?
In sostanza si. E questo in quanto le invenzioni tecnologiche, per il sistema brevettuale, sono quelle che portano un risultato tangibile, utile e riproducibile con caratteri costanti. Il criterio della cd. industrialità ha rilevanza nel senso che il brevetto viene concesso per processi o prodotti realizzabili tecnicamente e applicabili nella pratica operativa.
Il software invece viene interpretato come qualcosa di troppo astratto per accedere al brevetto.
Ma negli Stati Uniti e nel resto del mondo sono stati concessi un numero enorme di brevetti per invenzioni di software.
Hai ragione, e anche in Europa sono stato concessi brevetti aventi ad oggetto invenzioni di software. Sinora però per ottenere tutela brevettuale si è sempre dovuto operare una forzatura. Questo anche negli Stati Uniti, ovvero si ritiene che un invenzione di software è brevettabile se consiste in una programmazione che attiva un processo tipicamente industriale o che comunque ha effetti sulla realtà concreta, un risultato tangibile. In Europa si richiede un contributo tecnico che normalmente è ravvisato laddove ci sia un effetto tecnico.
D’altro canto nel documento brevettuale non deve e non viene indicato il codice. Ciò che si protegge è il processo che il software implementa.
Questa forzatura perché è pericolosa?
Mi viene da pensare agli sviluppi del settore dell’Internet of Things. L’internet degli oggetti è una evoluzione dell’uso della rete. Gli oggetti divengono riconoscibili e intelligenti in quanto comunicano dati su se stessi e accedono ad informazioni aggregate. L’internet of things ha campo di applicazione nei settori tradizionalmente industriali, nella logistica e nella efficienza energetica (pensiamo alle smart grid). E dal punto di vista dei processi industriali, l’internet of things è una evoluzione dell’automazione.
Ora, considera che in questo settore l’innovazione è spessissimo un tipo di innovazione brevettabile proprio perché si usa il software e la rete per ottenere risultati tangibili, come l’attivare e controllare macchinari, impianti e quindi il fatto di attivare pezzi di hardware li rende simili alle invenzioni dell’industria tradizionale di cui parlavamo prima. La forzatura è qui. In quanto dal punto di vista del sistema brevettuale si dovrebbe ignorare che l’innovazione tecnologica del settore internet of things riguarda il miglioramento della programmazione e quindi della parte software. Infatti per queste invenzioni il brevetto viene concesso non in virtù dell’originalità della parte software ma in virtù del coinvolgimento, nel processo, della parte hardware.
Capisco, quindi in un certo senso tu ritieni che se ci fosse una reale comprensione dell’innovazione nel software non ci dovrebbe essere necessità di utilizzare strategie che in sostanza consistono nel valorizzare massimamente la parte hardware nelle domande di brevetto per riuscire ad ottenerlo.
Esatto hai capito benissimo. La forzatura è pericolosa in quanto incoraggia strategie di redazione brevettuale volte ad ottenere la brevettazione, mentre sarebbe più opportuno che si riconoscesse molto più semplicemente che l’innovazione nella programmazione software è di per sé quel tipo di innovazione tecnologica rilevante anche per la tutela brevettuale.
In generale ritengo che le categorie del diritto brevettuale debbano essere ridefinite sempre alla luce della realtà dei fatti, ovvero alla luce di quanto accade a livello di innovazione tecnologica. Quando parlo di categorie non mi riferisco solamente al “patent eligibility”, di cui parliamo ora con te, ma anche al criterio di originalità, perché anche in quel caso è sempre difficile capire quanto ampio debba essere il salto inventivo per ottenere un brevetto. Di nuovo dipende da settore a settore scientifico. Di certo le innovazioni non possono essere brevettate solamente quando sono cd. “disruptive”.
Il settore ICT è anche quello in cui albergano maggiori distorsioni del sistema brevettuale come mai?
Certo, non si possono trascurare certe distorsioni del sistema e veri e propri blocchi all’entrata per new entrants. In questo settore le aziende sono state in grado di strumentalizzare i brevetti per scopi diversi da quelli per cui il brevetto è stato pensato. Patent Pools, creazione di portfoli gonfi di brevetti qualitativamente scarsi usati in funzione difensiva, freedom to operate etc…tutti fenomeni tipici del sistema brevettuale nell’ICT. Eppure molti esperti e commentatori negli Stati Uniti sostengono che proprio i brevetti abbiano reso possibile l’enorme innovazione degli ultimi anni in questo settore.
Il cd. patent thicket è il fenomeno tipico dell’ICT per cui su un medesimo oggetto tecnologico si sovrappongono gli ambiti di applicazione di 1000 e più brevetti tanto che non è più facilmente identificabile l’ambito di applicazione di ognuno. Questi fenomeni costituiscono indubbiamente un blocco all’entrata. Un nuovo operatore che volesse chiedere una licenza non saprebbe neppure a chi rivolgersi. Queste distorsioni vanno eliminate e la qualità dei brevetti deve essere ristabilita come obiettivo primario.
La decisione Alice Corp. vs CLS pubblicata a fine giugno 2014 è commentata da tutti gli esperti di brevetti sul software e spesso criticata. Credi che abbia dato un contributo nella definizione dei criteri per stabilire quando un software è brevettabile?
No assolutamente no, sono d’accordo con chi sostiene che ha creato più confusione ed incertezza. In ogni caso questa decisione si occupa di una sottocategoria di brevetti sul software. Ovvero i cd. web business methods patents.
Ovvero?
Si tratta di implementazione in rete (sul web) di modelli di business. All’interno di questa categoria rientrano tutti i metodi di “digital enterprise”, dai siti e-commerce ai sistemi di pagamento alle shopping cards, sistemi infomediary. Il più famoso e “antico” web business method patent è il “one click ordering” di Amazon” che costituisce una evoluzione delle shopping cards.
Puoi sintetizzare l’esito della decisione Alice vs CLS?
Non voglio entrare nel dettaglio della decisione che si occupava di brevetti di Alice Corp su metodi per mitigare il rischio in certe transazioni finanziarie. La Corte Suprema Statunitense ha in ogni caso stabilito che i brevetti detenuti da Alice Corp. fossero invalidi in quanto aventi ad oggetto mere idee astratte di business come tali non brevettabili.
Sei d’accordo con la decisione finale?
Si perché dalla decisione State Street del 1998 è proliferato il numero di brevetti che coprono non tanto il metodo tecnologico attraverso il quale si implementa un certo digital business, ma si è mirato a creare un monopolio sull’idea stessa di business.
Quindi chi deposita il brevetto aspira ad ottenere una esclusiva sull’idea astratta di business di per sé e impedire ad altri di implementare la medesima idea.
Esatto si vogliono escludere potenziali concorrenti da quel tipo di digital business e questo è assurdo. Spesso proprio le start up che lavorano sul proprio modello di business investendo tempo e denaro, poi aspirano a depositare un brevetto sul modello di business di per sé. Intendo dire sulla idea astratta, cercano di ampliare massimamente il proprio ambito di protezione e questo ora anche alla luce di quanto stabilito dalla decisione della Corte Suprema sarà sempre meno tollerato. Le idee di business non sono brevettabili, ma può essere brevettata ( se gli altri requisiti sussistono) la tecnologia implementata per consentire quel web business method.
D’altro canto io limiterei il significato della decisione della Corte Suprema anche rispetto all’effetto che avrà sui web business method patents in quanto Alice Corp riguarda una specifica tipologia di brevetti, quelli su sistemi e transazioni finanziarie. In quei casi il fatto stesso che il risultato ultimo innovativo possa essere apprezzato solo in termini di miglioramento del business e non consista invece in un miglioramento tecnologico rende il trovato inventivo non brevettabile.
Sinora abbiamo parlato della posizione degli USA e del suo sistema brevettuale. Perché un’azienda italiana dovrebbe avere interesse a guardare alla prospettiva US?
Per diverse ragioni, soprattutto in quanto spesso si aspira ad un finanziamento da parte di fondi di VC statunitensi o una acquisizione o un acqui-hiring da qualche società statunitense. Inoltre i sistemi brevettuali statunitense ed europeo tendono necessariamente all’armonizzazione in quanto i legislatori sono consapevoli che le scelte di diritto di proprietà intellettuale in senso eccentrico o troppo autonomo possono avere pesanti effetti di compartimentazione e frammentazione dei mercati.
In considerazione della più agevole brevettazione di invenzioni inquadrabili tra l’internet of things ritieni che quest’ultimo costituisca uno dei settori su cui investire maggiormente?
Sicuramente il settore dell’internet of things è tra quelli con le prospettive di sviluppo più interessanti attualmente. D’altro canto se consideriamo il settore delle smart grid ad esempio, vediamo che già la tecnologia fondamentale è stata brevettata dai big del settore, come General Elettrics. Si sta anche definendo la standardizzazione dei brevetti da parte degli enti di standardizzazione competenti. Ad ogni modo resta sempre la possibilità per le start up di trovare uno spazio in quel settore. Intendo dire che resta aperta la possibilità di completare quello sviluppo tecnologico attraverso un lavoro di innovazione che copre l’ultimo segmento ovvero quel segmento che consiste nel rendere il prodotto o il processo industriale perfetto per il suo utilizzo, perfetto per il cliente utilizzatore, che sia consumer o azienda.
Non è semplice capire se d’altro canto il lavoro su questo segmento possa essere brevettato, dipende. Se vi è un cd. improvement rispetto alla tecnologia di base può esserlo
Quello che vorrei sapere è qualcosa di più generale, ovvero se il fatto di possedere un brevetto o più generalmente di lavorare in un campo per cui si può più agevolmente brevettare costituisca un vantaggio e sia auspicabile per il nostro sistema.
La tua domanda è molto interessante. Io credo di si. È la mia opinione basata sulla mia esperienza lavorativa. Ma guardo anche alle ultime famose exit del 2013 e del 2014 e il ruolo che i brevetti hanno avuto. Penso anche a quanto i brevetti agevolino l’instaurazione di partnership e alla loro rilevanza nell’aumentare chances di finanziamento.
Il discorso è naturalmente complesso. Però considera il brevetto, nel suo significato più semplice ed elementare, è una attestazione ufficiale (per cui è ammessa prova contraria) sulla novità e originalità di quanto l’inventore ha ideato e realizzato. Questo agevola la comunicazione con gli altri interlocutori, riduce la cd. “paranoia” sulla confidenzialità e la rivelazione di segreti aziendali, e di conseguenza agevola anche la negoziazione. Per una start-up il brevetto significa la possibilità di spiegare ad un potenziale finanziatore o azienda partner attraverso un solo e unico documento in cosa consista il proprio vantaggio competitivo.
D’altro canto, la negoziazione di brevetti nel settore ICT è divenuta molto complessa per il problema del cd. patent thickets (overlapping di ambiti di protezione delimitati da numerosi brevetti) e della scarsa qualità dei brevetti.
Ti chiedo se tutto questo sia sufficiente e quali siano gli altri aspetti che agevolano un impresa del settore ICT ad emergere e potenzialmente avere una crescita esponenziale.
Esiste una letteratura, anche accademica, enorme disponibile in rete sui fattori di successo di una start up. I fattori di successo sono diversi. Il cd. being first to market, o first mover advantage è uno degli aspetti più rilevanti per una start up del digitale anche permette di avere subito i feedback dell’utenza o della prima delle imprese target a cui si è offerto il proprio servizio. D’altro canto se si è i primi ma poi non si è in grado (per mancanza di fondi) di sostenere il ritmo che può portare ad una crescita esponenziale, il rischio è che arrivi qualcuno, che inizia dopo, ma esegue eccezionalmente e in un mercato globale, come quello digitale, i concorrenti possono iniziare da qualsiasi parte a erodere il tuo mercato.
Quindi il cd. first mover advantage può essere tanto rilevante quanto il fatto di aver protetto con il brevetto la propria tecnologia. Ma se non si tutela la propria tecnologia? Non è un rischio commercializzare senza prima preoccuparsi di munirsi di tutela brevettuale?
Certo se si commercializza senza previa domanda di brevetto si rischia la pre-divulgazione e di precludersi la brevettazione. Ma esistono casi, come quelli in cui il ciclo di vita di un prodotto o servizio è breve, in cui la brevettazione passa in secondo piano e la tempestività con cui si arriva al mercato è l’aspetto fondamentale.
Naturalmente stiamo parlando in termini generali. Ogni caso è diverso. In ogni caso l’investimento in tutela IP deve essere valutato attentamente perché un investimento in IP significa distrarre somme che si sarebbero investite in marketing o perfezionamento del prodotto.
Dammi la tua ricetta per l’ecosistema sardo.
Io ritengo che il successo di una impresa nel settore digitale dipenda dal lavoro e investimento che si compie per rendere il prodotto e il servizio pronto per il mercato. Ciò significa che si può possedere la migliore tecnologia alla fine si vende un prodotto e un servizio e si deve valutare se ci sono o si reperiranno le risorse per finanziare il lavoro sull’ “usability” in ogni suo minimo dettaglio e soprattutto per fare ciò tempestivamente.
Quindi in primo luogo ci dovrebbero essere fonti di finanziamento che consentano all’azienda di mantenere un ritmo di crescita. Poi dobbiamo tutti agevolare l’aggregazioni di competenze specifiche nel territorio, ad esempio nel settore dei medical devices, analisi dei dati o nel settore dell’internet of things o dei servizi tecnologici di ausilio per il commercio elettronico, sono solo alcuni esempi. Credo che già esistano competenze nel nostro territorio importanti in ognuno dei settori che ho citato.
L’aspetto più importante è quello di sviluppare e implementare qui come avviene in Israele una scienza applicata del targeting acquisition o partnership, ovvero iniziare avendo già in mente chi potrà avere interesse ad una acquisizione o ad acquistare i propri servizi. Questo richiede spesso attività di business intelligence (anche sulla base dei documenti brevettuali) in una realtà come quella sarda in cui non è agevole sapere cosa sta accadendo fuori.
Ti ringrazio
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Chi è Maria Luisa Manis
Laureata in Giurisprudenza presso la Luiss Guido Carli a Roma ha conseguito un Master of Law in Intellectual Property presso la George Washington University Law School a Washington DC. Ha lavorato presso studi legali internazionali a New York e Milano. E’ stata collaboratrice del Chief Judge R.R. Rader presso la Corte del Circuito Federale a Washington DC. Attualmente è resident presso l’OpenCampus Tiscali.