Dall’unipolarismo al multipolarismo: promessa di giustizia, minaccia di guerra

Creato il 06 aprile 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

In vista d’una conferenza internazionale, dal titolo “Teoria del mondo multipolare”, che si terrà presso l’Università Statale di Mosca il 25 e 26 aprile, Natella Speranskaja e Aleksandr Bovdunov hanno intervistato Daniele Scalea, condirettore di “Geopolitica” e segretario scientifico dell’IsAG.

 
Come vede il moderno ordine mondiale / sistema internazionale? Lo considera “giusto” o meno e, nel caso, come può essere cambiato (posto non stia già cambiando)?

L’attuale sistema internazionale è caratterizzato da alcuni aspetti prominenti:

- un “circuito” mondiale chiuso: dal XV secolo le esplorazioni geografiche e gli avanzamenti nelle tecnologie di trasporto e comunicazione hanno di fatto realizzato il “one world“, il “mondo uno”. Ciò che accade in un qualsiasi paese riecheggia per tutto il globo, e chi acquisisce una sufficiente preponderanza di forza può aspirare all’impero mondiale;

- una monopolarizzazione del potere: il processo di globalizzazione, cominciato nel XV secolo, è andato di pari passo, almeno fino a tempi recentissimi, con una progressiva concentrazione del potere a Occidente fino a giungere, nell’ultima fase, ad un’egemonia mondiale da parte di un’unica nazione, gli USA;

- una più recente ed opposta tendenza alla multipolarizzazione: recentemente l’egemonia statunitense ha cominciato a deteriorarsi e l’ordine unipolare sembra claudicare. Dopo alcuni secoli di mono-polarizzazione verso l’Occidente, e poi in particolare verso il Nordamerica, nuove potenze distribuite per il globo stanno alfine emergendo.

Dunque l’attuale ordine mondiale sta mutando. Ci troviamo, per usare l’espressione del geopolitico italiano Tiberio Graziani, in una “fase di transizione uni-multipolare”, momento intermedio tra la caduta dell’unipolarismo ed il consolidarsi del multipolarismo. L’ordinamento unipolare è senz’altro stabile ma profondamente iniquo: una sola superpotenza decide sul futuro di tutti noi. L’ordine multipolare sarà meno stabile, ma in compenso più giusto, perché l’arbitrio di uno sarà contenuto dall’azione delle altre grandi potenze.

L’egemonia statunitense è un bene o un male per l’umanità? Secondo lei qual è l’aspetto principale di questo dominio/egemonia? Il militare, il culturale, l’economico, o una qualche combinazione di questi ed altri fattori?

Gli USA stabilirono la propria egemonia sul predominio economico. Dopo la Seconda Guerra Mondiale la supremazia economica statunitense è scemata, ma Washington è stata capace di sostituirla con un’egemonia finanziaria (basata sul rapporto petrolio-dollaro): ciò è piuttosto simile a quanto fece la Gran Bretagna nella seconda metà del XIX secolo, alle prese col suo relativo declino industriale. Inoltre, gli USA crearono una sempre più forte “industria culturale”, che ne ha sviluppato, ed ancora lo fa, il loro soft power. Sotto certi aspetti questo soft power è così poco “morbido” e così tanto “potente” che assomiglia ad una vera e propria “colonizzazione culturale”. Non di meno, oggi l’egemonia statunitense è principalmente di tipo militare. Gli USA spendono più di tutti i loro rivali messi assieme per il “bilancio della Difesa”, ossia per le guerre e i presidi militari in un gran numero di paesi. In particolare gli USA hanno una capacità di proiezione di forza militare assolutamente senza pari.

Quali paesi, gruppi di paesi o forze politiche e sociali potrebbero essere in grado di sfidare l’egemonia statunitense, e come?

Si potrebbero descrivere due classi di “sfidanti” dell’egemonia statunitense. La prima classe è quella del cosiddetto “asse del male” o “asse della resistenza”: paesi come Iran, Corea del Nord, Venezuela, Siria, Bielorussia e così via. Questi paesi si oppongono agli USA principalmente per ragioni ideologiche, e questo spiega perché il loro “antagonismo” sia tanto cristallino, forte ed esplicito. Ma spiega anche perché un cambio di regime in questi paesi potrebbe davvero cambiare le carte in tavola, capovolgendoli da un’aperta opposizione ad un mansueto allineamento all’egemone.
V’è quindi una seconda classe di sfidanti, quella delle potenze emergenti, riemergenti o riemerse, cui appartengono Russia, Cina, Brasile eccetera. Tali paesi non sono così decisamente opposti agli USA da un punto di vista ideologico, ma la loro ascesa cozza naturalmente con l’egemonia statunitense. Un cambio di regime in tali paesi potrebbe portare al disordine ed alla destabilizzazione, ma non all’allineamento, perché il loro “antagonismo” è un destino e non una scelta. In molti casi è anche un destino geopolitico. Russia e Cina sono le due grandi potenze continentali d’Eurasia, gli oppositori tellurici della potenza marittima rappresentata dagli USA. Il Brasile è l’equivalente meridionale degli USA in Nordamerica, sebbene non sia stato in grado di raggiungere la costa del Pacifico e così è rimasto un paese mono-oceanico, mentre gli USA sono una potenza bioceanica.
Per quanto concerne le forze politiche e sociali, posso parlare con piena cognizione di causa della situazione italiana. Ho notato che, dopo decenni di “atlantismo ortodosso”, sta ora emergendo in parte dell’élite stessa del paese una certa consapevolezza dei divergenti interessi tra USA e Italia. Fino a tempi recenti, in Italia solo piccoli gruppi d’estrema destra o estrema sinistra avevano osato sfidare apertamente l’ortodossia atlantista. Ora temi come la necessità d’adattarsi al multipolarismo emergente, o i benefici che deriverebbero da un’alleanza strategica con la Russia, stanno divenendo ammessi nel “discorso ufficiale” delle élites italiane, e ciò anche grazie al lavoro svolto negli ultimi dieci anni dalla scuola geopolitica di Tiberio Graziani, di cui mi pregio di fare parte. Paradossalmente, oggigiorno i peggiori nemici di questo nuovo atteggiamento “multipolarista” in Italia sono proprio i sopraccitati “estremisti”: alcuni di loro strumentalizzano certi temi geopolitici per farne slogan politici, e li mischiano con esecrati toni antisemiti o li pongono al servizio d’altre agende radicali. Così facendo stanno screditando quegli stessi messaggi. Di fatto sono strumentali all’agenda atlantista, che mira a demonizzare coloro che in Occidente si discostano dall’ortodossia. Non mi sorprenderebbe scoprire un giorno che alcuni di tali personaggi siano in realtà dei provocatori.

Cosa pensa delle idee di Globalismo (ossia d’un unico governo mondiale) e/o di governance globale? Sono possibili e auspicabili?

Un governo mondiale è teoricamente possibile nella nostra era globalizzata, ma nella pratica è molto difficile da realizzare, a causa del problema della sovraestensione (over-stretching). Certo dal mio punto di vista non è desiderabile, perché:

a) se uno solo comanda, gl’individui e i popoli sono meno liberi;
b) se c’è una sola potenza nel mondo, questa si trova senza controllo e senza freni, e nulla può fermarla se compie azioni sbagliate o malvagie;
c) se c’è un solo Stato nel mondo, ogni conflitto risulta essere una guerra civile, che usualmente è più feroce d’una guerra tra nazioni.

Per tali ragioni, credo che la prospettiva del “governo mondiale” appaia più come un incubo che come un sogno.

Un ordine mondiale multipolare è possibile? Come apparirebbe nell’era moderna? Sarebbe preferibile ad uno unipolare o bipolare?

Senza dubbio sta emergendo un mondo multipolare. E prima del 1945 era la norma. Il multipolarismo è un ordine dinamico: ciascuna grande potenza controlla e controbilancia le altre. In tal senso l’ordine multipolare è profondamente democratico, laddove quello bipolare è oligarchico e quello unipolare tirannico (ed è un paradosso che gli USA, che usano i valori democratici come ideologia nazionale, nelle relazioni internazionali siano fondamentalmente antidemocratici). Ovviamente un ordine multipolare è anche più instabile, ma in compenso più giusto.
Il multipolarismo, come si è detto, era la norma in passato. Siccome oggi siamo nell’epoca della globalizzazione, delle migliori comunicazioni e delle strutture interconnesse, un nuovo ordine multipolare sarà caratterizzato dalla regionalizzazione: ciascun polo emergente sta già cercando di costruire attorno a sé una propria “sfera d’influenza”; una sfera che non ha l’aspetto di un impero o d’una brutale dominazione, ma di un’integrazione multilaterale e vantaggiosa per tutti. Ciò sta accadendo in Eurasia attorno alla Russia o in Sudamerica attorno al Brasile. A Pechino il compito appare più arduo, dal momento che attorno alla Cina non ci sono paesi minori ma altre grandi potenze: la Russia a nord, il Giappone a est, l’India a sud. E ad ovest, l’Asia Centrale è un’area aspramente contesa. Gli USA stanno sfruttando queste tensioni geopolitiche per mantenere la loro egemonia, secondo la vecchia strategia del divide et impera. E’ essenziale che i poli emergenti, specialmente in Eurasia, cooperino tra loro.

Cosa definisce un “polo” nella teoria delle relazioni internazionali, e come correla il concetto con altri concetti strutturali dell’analisi delle relazioni internazionali quali “Stato sovrano”, “Impero” e “Civiltà”? La sovranità, in quanto concetto, è minacciata dalla globalizzazione e dalla governance mondiale? La “Teoria civilizzazionale” è un valido strumento concettuale nello studio delle relazioni internazionali?

Un polo è un centro di potenza che attrae altri paesi, specialmente quelli nel suo estero vicino. Non tutti gli Stati sovrani sono poli, ma ogni polo dev’essere uno Stato sovrano. “Impero” è propriamente uno Stato in cui convivano sotto un’autorità comune diversi popoli. In tal senso, il concetto di impero s’avvicina a quello di “grande spazio”, con cui, usando una terminologia schmittiana, si potrebbe definire il risultato dell’aggregazione attorno ad un polo. La novità nel mondo multipolare in arrivo è che, invece dell’aggregazione forzata, assisteremo all’integrazione volontaria e pacifica.
Naturalmente paesi e popoli cercano d’integrarsi non solo in base ai fattori geografici, ma anche a quelli culturali. Preferiscono integrarsi con paesi vicini geograficamente o culturalmente, ossia della medesima civiltà. Dunque la “Teoria delle civiltà” è abbastanza valida, a mio avviso, ma preferisco interpretarla in chiave positiva anziché negativa: ossia che i popoli tendono ad integrarsi con altri che ne condividano il retroterra culturale, e non che siano inclini a combattere quelli appartenenti ad altre civiltà. In quanto appartenente ad un popolo mediterraneo, so molto bene come popoli di diversa civiltà possano e debbano collaborare.

Come vede il ruolo del suo paese in un ipotetico sistema multipolare?

L’Italia non è più una grande potenza, perché nella nostra epoca per essere grandi bisogna essere grossi. Non di meno l’Italia è ancora una delle maggiori economie, membro del G-8 e del G-20, e soprattutto dotata di una posizione altamente strategica, nel mezzo del Mediterraneo e nel mezzo dell’Europa. Se saremo capaci di contenere la nostra crisi, che non è solo economica ma anche politica e morale, l’Italia potrebbe rappresentare un perno importante per l’integrazione europea e/o mediterranea.

Quali tendenze dello sviluppo del mondo moderno considera positive e quali negative? Cosa si può fare per alleviare le cose negative e rafforzare quelle positive?

Il mondo moderno si sta arricchendo dal punto di vista tecnologico ma impoverendo da quello culturale e spirituale. Sempre più culturre sono sostanzialmente cancellate da una tendenza omogeneizzante causata dal predominio del soft power statunitense. L’industria culturale statunitense sta diffondendo in tutto il mondo il cosiddetto American way of life. Dovremmo capire che la varietà culturale è una ricchezza per l’umanità. Ma quel ch’è peggio, tale stile di vita nordamericano è, in realtà, solo una sua variante recente e post-moderna, profondamente immorale. Il relativismo e l’emancipazione hanno rappresentato grandi conquiste per l’umanità, ma il mondo post-moderno sta spingendosi oltre, verso il nichilismo, e questo non è un bene. Non si dovrebbe considerare una bestemmia o un crimine difendere la dimensione etica nella società, anche se ciò dovesse leggermente erodere il credo individualista.

C’è una minaccia realistica di Terza Guerra Mondiale?

Tutte le crisi economiche sistemiche del passato hanno provocato un terremoto nella politica internazionale, destabilizzando lo status quo: la crisi del 1873 sfociò nella Prima Guerra Mondiale, quella del 1929 nella Seconda. Ciò suggerisce che una Terza Guerra Mondiale sia un possibile esito della crisi del 2008. Tale crisi ha accelerato il relativo declino statunitense. Gli USA sono tentati dall’usare la forza per mantenere la supremazia. Non è forse quanto accaduto nello scorso decennio, anche prima della crisi economica sistemica? Avendo perduto posizioni nell’economia ed in altri campi, Washington sta cercando di valorizzare l’aspetto sotto cui la sua superiorità è più evidente: quello militare. Sin dal 2001 possiamo osservare una militarizzazione delle relazioni internazionali da parte degli USA. Finora Washington ha attaccato Afghanistan, Iraq o Libia. Adesso ha posto gli occhi su Siria e Iran. Cosa succederebbe se puntasse a “pesci grossi” come Cina o Russia? Da decenni gli USA lavorano ad uno scudo ABM, che conferirebbe loro la supremazia nucleare, ossia la capacità di vincere una guerra nucleare contro una grande potenza senza essere soggetti alla mutua distruzione assicurata.


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