Abbiamo avuto il piacere di intervistare Gioa Pistola, co-founder di Atooma, per parlare di quella che senza dubbio è l’app del momento. Una chiacchierata nella quale parliamo dell’oggi e soprattutto del futuro, di come da app si diventa startup
Abbiamo fatto una bella chiacchierata con Gioia Pistola, co-founder, di Atooma, sicuramente l’app del momento. Recentemente eletta come miglior startup italiana al TechCrunch Italy. Atooma che sta per A touch of Magic, è davvero un tocco magico per il vostro smartphone, al momento disponibile solo per Android e presto lo sarà anche per iPhone. Con questa app chiunque è in grado di crearsi un’applicazione per gli usi più comuni e personalizzare il proprio smartphone. Una chiacchierata durante la quale abbiamo parlato di come Atooma si appresta ad affrontare le prossime sfide, quindi quale sarà il futuro di questa che nasce come un’app e diventa startup. Ma anche di come vede Gioia Pistola la situazione italiana nei confronti delle startup. Buona lettura!
Come stai innanzitutto, in questi giorni l’attenzione su Atooma è altissima!
Un pò stanca ti dirò, ma soddisfatta di tutti questi ottimi risultati! Atooma e’ appena uscita dalla fase di “incubazione”, di beta privata, e si apre una fase di approccio al mercato, di fund-raising ed è molto importante. Diciamo anche che questa visibilità facilità le cose, ma poi resta da fare tutto il resto”
Allora cominciamo chiedendoti, ma tu ti aspettavi di avere tutto questo successo all’inizio, quando hai conosciuto Francesca Romano?
Guarda, noi siamo sempre state molto fiduciose perchè ritenevamo che questa tipologia di prodotto fosse particolarmente nuovo. I nostri profili non sono di tipo ingegneristico ma proveniamo dalle PR e dalla comunicazione, dal design, e la prima sfida è stata quella di comunicare un prodotto come questo. E pensavamo che farlo fosse molto più difficile, come appunto far comprendere quale fosse il valore aggiunto di Atooma. Questo riscontro non ce l’aspettavamo, e stiamo notando che è molto più facile fare breccia sulla stampa estera, sui vari news magazine americani piuttosto che italiani e noi quasi da subito abbiamo deciso di puntare lì“.
Perchè sapevate che questo fosse un argomento di forte interesse da quelle parti, anche perchè c’è molta più richiesta da questo punto di vista, no?
Si è vero e noi stessi abbiamo avuto modo di toccare con mano quelle realtà andando questa estate a fare la Start-up School di Mind The Bridge, quindi a parte tutte le nostre ipotesi e sapendo anche che un prodotto del genere in Italia non è mai stato fatto, una volta lì ci siamo resi conto da subito che esiste una preparazione all’argomento e una forte critica, consapevolezza, conoscenza dell’argomento, disponibilità a collaborare. Una bella sfida per noi confrontarci cono questo mondo.
Siete andati nella tana del leone e questo comunque ha funzionato a vedere quello che è avvenuto dopo.
Si su questo aspetto siamo stati molto perseveranti. Spesso ci è stato detto che fare questo passaggio era molto difficile facendolo notare, così come già acquisire degli utenti senza aver fatto degli investimenti mirati oltre che tutti gli aspetti più critici del prodotto. E invece devo dire che il lancio della “beta” pubblica sta andando molto bene, in due- tre giorni abbiamo raddoppiato gli utenti che adesso sono 10 mila” (Aggiornamento: adesso 35.000)
35 mila utenti non sono pochi, anzi, trattandosi di un prodotto non generico e sicuramente tra questi c’è chi pur non avendo basi tecniche avanzate aveva sempre desiderato di farsi una propria app, anche se gli utilizzatori sono comunque inquadrabili in un target medio-alto non è così?
La nostra difficoltà iniziare era proprio quella di far comprendere il passaggio più importante perchè solitamente la concezione che un utente ha di “app” è che quella fa solo quella cosa per cui è stata creata. Invece abbiamo voluto puntare sul toolkit cercando che si riuscisse meglio a comprendere le potenzialità reali. Certamente come dici tu, gli utenti che lo utilizzano hanno una conoscenza dell’argomento medio-alta, non tutti pensano di personalizzare il proprio smartphone in maniera così elevata.
Al momento quello che cercheremo di potenziare è lo stuzzicare nuove idee, nuovi spunti da poter creare con Atooma. Perchè di base adesso si possono scaricare quelle già create, usarle e condividerle, ma stimolare nuove idee è quello che vogliamo fare da qui in avanti. Dando contesti come “ufficio”, “casa”, “tempo libero”. Anche perchè di per sè adesso il processo di creazione è davvero semplicissimo”
Vero, pensa che l’ho creata io, figurati, e non sono certo uno che ha conoscenze tecniche chissà quanto avanzate (risate)…I passaggi sono davvero molto semplici. Altra domanda. Stiamo parlando di Atooma che è un’applicazione, anche se definirla tale è anche riduttivo, ma voi come vi considerate? Siete una startup oppure questo è un aspetto che volete considerare più avanti?
Per noi è sempre più vicino il momento di considerare concretamente l’aspetto di business sia dal lato consumer, cioè capire le aspettative degli utenti finali, quindi capire se e come Atooma può portare un valore tale che possa spronare l’utente anche a pagare per avere delle funzionalità aggiuntive, e dall’altro lato capire come valorizzare ancora di più questa tecnologia, perchè di base ci aprirebbe anche ad altre opportunità di business. Un esempio: Atooma customizzati che possono essere utili per un brand o ad esempio per chi organizza un evento in un luogo fisico, coinvolgendo quindi geolocalizzazione, alla gestione non solo di applicazioni esterne come Twitter e Facebook, ma anche la gestione di dispositivi, sensori, frontiere degli smart objects. La nostra priorità adesso rimane quella di raggiungere quanti più utenti attivi possibili. Certo a tutti fa gola il “modello Facebook” ma ormai di questi tempi non sono più modelli tanto replicabili.”
Però è pur vero che stiamo parlando di un prodotto che si pone nel mercato Mobile, in forte crescita e dove si registra forte interessamento anche di grossi player, basti pensare che anche Facebook ha deciso di puntare in questo settore. Quindi voi vi ponete nella direzione giusta, quella del Mobile, dove c’è sempre richiesta di idee nuove e nuove app.
Sicuramente, infatti la nostra idea iniziale era quella di mirare in questo settore proprio perchè il Mobile è l’unico che segue veramente l’utente. Neanche un tablet rende l’idea di come invece fa uno smartphone, sempre a portata di mano. L’idea iniziale era quella di creare un nuovo sistema per gli smartphones che li rendesse intelligenti da poter seguire la vita degli utenti in modo automatico e poi si è evoluto nel concetto di Atooma, quindi questo il nostro percorso e rimane il Mobile la nostra priorità. Adesso c’è anche un’interfaccia web che ti permette di gestire quello che tu hai creato, i tuoi Atooma”
Si rimane sempre più affascinati. Comunque, dicevi prima che l’esperienza con Mind The Bridge vi ha aperto un pò all’esperienza diretta con la Silicon Valley, avete toccato con mano quella realtà, e avete registrato una forte attenzione. Com’è stata invece l’attenzione, soprattutto in chiave di business, verso Atooma in Italia, si sono accorti solo adesso che esistevate oppure sapevate che c’era qualcuno che vi monitorava aspettando qualche evoluzione?
Devo dire che sin dall’inizio ci sono state persone che si sono interessate subito alla nostra idea, alla nostra idea di stratup, solo che giustamente non si sono pronunciati subito aspettando che si producesse qualcosa di concreto, e questo è anche comprensibile perchè ce ne sono tante di idee che poi si fermano.
Nel nostro caso l’interessa c’è stato sin da subito, ma parlando genericamente è ovvio che non siamo noi a guidare i trend, ma ci si rende conto di un prodotto o di un servizio quando viene recensito da TechCrunch o da Mashable ed così e penso che sia normale. Anche le notizie sono comunque figlie della cultura. Ed è proprio questo che spesso manca un approccio culturale che forse da noi non è ancora maturo. Ti faccio un esempio, a San Francisco chiunque usa uno smartphone anche a livello molto avanzato, penso ai micro-pagamenti, quindi molto lontano dall’utilizzo che se ne fa da noi, quindi è normale che accada questo. Nel nostro paese l’attenzione l’abbiamo avuta da chi è molto appassionato di tecnologia, quindi di Android, un interesse limitato comunque.”
Una valutazione corretta ed è verissimo l’approccio culturale, però è anche vero che in Italia c’è un’altissima concentrazione di smartphone, nella fascia 15-24 anni il 75% ne ha uno. Per non parlare poi di quelli che ne hanno anche più di uno
E’ verissimo, se pensi che il nostro paese è da sempre uno dei primi al mondo e in Europa in fatto di alta concentrazione di smartphone e sorprende che non ci siano sistemi per i micro-pagamenti, di gestione di prenotazioni o servizi innovativi efficaci. Quindi questo è difficile da comprendere”
In effetti è vero, noi italiani ci innamoriamo più spesso degli “status-symbol”, quindi dell’apparire piuttosto che dell’utilizzo stesso dello strumento che abbiamo tra le mani.
O per il fatto che hai dei servizi lì sopra. Per esempio un tool che a noi ci ha molto colpito perché è stato progettato da Vincenzo di Nicola, un giovane imprenditore italiano, è GoPago, la metro di San Francisco è tappezzata della sua pubblicità. La sua applicazione permette di fare prenotazioni e ordinazioni al bar, ristoranti, direttamente dallo smartphone senza la necessità che ci sia un cameriere, si paga sempre dallo smartphone e sta andando alla grande. Pensa che noi siamo andati a cena con lui, ci ha parlato della sua applicazione e noi abbiamo pensato si bella ma chissà se poi prende il pubblico. E invece ci siamo resi conto che va davvero forte e che ha preso il pubblico”
Un esempio classico dell’approccio culturale di cui parlavi prima. Le idee ci sono, le abbiamo anche noi e speriamo davvero che Atooma apra un nuovo scenario nuovo. Credi che ci sia la possibilità che anche da noi un giorno si possa creare una sorta di Silicon Valley?
Oddio, è una domanda molto complessa, di cui ormai si legge di tutto. Ma non credo che nell’immediato o nel giro di qualche anno questo possa verificarsi perchè c’è bisogno davvero di un ricambio culturale, di mentalità. E non dico che sia sbagliata o giusta. Ma ripeto, non credo che nel giro di un paio d’anni possa avvenire chissà quale rivoluzione da questo punto di vista. E’ vero che dal punto di vista dei giovani, di idee e di persone pronte a mettersi in discussione ce ne sono davvero tante. Pensiamo anche alla formazione, Innovaction Lab per noi è stato utilissimo e ci è servito davvero tanto ad aprirci gli occhi, siamo ben attrezzati, cosi come il LED Luiss. Ma rimane però un problema di fondi, di finanziamenti, soprattutto in fase di seed-stage. E poi c’è il discorso dell’exit, opzione poco percorribile in Italia in assenza di grandi gruppi.
Personalmente vedo bene alcune startup nel settore editoriale, in Italia ci sono alcuni gruppi editoriali importanti che hanno bisogno di innovare e quindi è possibile che questi servizi/app trovare delle exit prima ancora di quelle altamente tecnologiche.
Inoltre, rimane sempre una questione culturale di incoraggiamento, spesso non si trova neanche l’appoggio di chi di sta intorno e non riesce a comprendere bene. Quindi trova spazio l’incertezza e la paura che frenano molto, siamo circondati da messaggi di crisi e di cattiva gestione delle risorse, questo di certo non nutre l’ottimismo.”
E’ purtroppo vero, il tema dell’approccio culturale è un tema di fondo che si estende su tanti aspetti della nostra società.
C’è da dire che lì a San Francisco, nella Silicon Valley, ci sono dinamiche sociali molto diverse dalle nostre, che spesso per noi sono difficili da comprendere e a cui e’ difficile adeguarsi.”
Cioè?
Sembra che tutto sia portato all’estremo. Ad uno sguardo superficiale, le persone sono così tanto impegnate nel lavoro da dimenticarsi tutto il resto, e noi non siamo così. Diventa difficile comprendere quello stile di vita. C’è molta sfida senz’altro e detto così è bello, stimolante se riesci a crearti il tuo posto, però è anche un impatto forte per chi non è abituato. Ma soprattutto c’è una propensione al cambiamento davvero incredibile. Basta pensare che se a noi vengono cambiate “le carte in tavola” spesso ci crolla il mondo”.
Purtroppo questo fa parte della nostra società, del nostro vivere quotidiano. Siamo sempre molto meno propensi a cambiare anche per via di molto freni che non lo permettono. E delle volte siamo portati anche a crearceli. Il sogno americano è anche questo, libero fa reni e dalla libertà di poter creare un’idea.
Si è vero, lì c’è un senso di fiducia altissimo. Hanno un approccio molto orientato alla sfida, al rischio e alle nuove avventure, come quella di fare una startup. Perchè si sa che è una scelta rischiosa“.
Parliamo un pò di queste cose. Si ha come l’idea ultimamente che parlare di startup sia semplice, oramai se ne parla tanto e spesso si perde proprio il senso. Un approccio troppo leggero. In realtà parlare di fare una startup non è una cosa semplice. Come la vedi tu questa situazione?
Iniziare è molto più facile che continuare, è lì che sta la parte difficile. Per sua natura una startup è un’azienda/prodotto che cresce vertiginosamente, e si sa che questo taglia via una quota enorme di aziende dopo il primo anno di attività . Non è una società di consulenza che può crescere lentamente e ripagare anche solo il tempo di chi ci lavora, generalmente una startup è VC backed e questo richiede ovviamente dei ritorni di investimento altissimi.
Noi è da un anno e mezzo che lavoriamo su Atooma. E’ vero che abbiamo creato la società 6 mesi fa, ma noi ci lavoravamo “dietro le quinte” già da un anno. Quindi capisci che le cose non accadono dal giorno alla notte. Proprio nei giorni scorsi partecipavo ad una discussione in cui si diceva che ci sono poche donne a fare startup e quindi si suggeriva di fare un evento su questo. Ora, io non conosco le motivazioni del caso specifico, e sono d’accordo che c’è bisogno di comunicare che c’è un’alternativa al lavoro come lo abbiamo sempre pensato, dando spazio all’imprenditorialità, però non la farei diventare una forzatura, o un messaggio eccessivamente rimarcato da chiunque. Non starei a parlare in maniera forzata di fare una startup. E’ una cosa che deve venire da te, se lo fai perchè va di moda allora è meglio lasciar perdere e dedicarsi a trovare un altro lavoro. Ci sono tante scelte da fare e sempre difficili, sono dell’idea che non vada convinto nessuno, ci si dovrebbe limitare a mostrare tutte le opportunità”.
Quindi il messaggio “fate tutti una startup” è fuorviante, no?
Si, secondo me è un messaggio sbagliato. E’ vero che nello stadio in cui ci troviamo abbiamo bisogno di idee nuove, abbiamo bisogno, come si dice, di fare “massa critica”, da questo punto di vista, va bene la formazione, veicolare il messaggio della consapevolezza, però lo farei guardandolo da un punto di vista più generale, puntando sull’idea imprenditoriale in genere, non focalizzandosi solo sulle startup tecnologiche. In Italia non c’è solo un problema di tecnologia, ma anche un problema di alternative per i giovani. Anche se c’è da dire questa nuova attenzione per le startup tecnologiche potrà essere un inizio di un cambiamento. Serve introdurre l’idea che di fianco al lavoro come lo abbiamo sempre pensato c’è anche l’alternativa imprenditoriale. Per quanto si parli di startup tecnologiche, qui in Italia non c’è ancora il mercato giusto per alcuni settori, e chi le fa deve devono mettere in conto di andare via dall’Italia anche l’opzione di muoversi poi all’estero.”
Sarà quindi questo il futuro di Atooma? Sarà di andare all’estero?
Sicuramente sarà un’opzione da vagliare. In ogni caso, pensiamo che lo sviluppo debba rimanere in Italia perchè a confronto con altri paesi, in Italia da questo punto di vista c’è tanta preparazione e capacità, ed è un aspetto che ci riconoscono tutti. La nostra Università prepara bene. Però, in fatto di business, a volte è necessario svilupparlo anche altrove”.
Però il TechCrunch Italy vi apre a nuovi scenari sicuramente, anche se già da un pò si parlava da voi. Quindi questo si tradurrà in maggiore attenzione e speriamo in finanziamenti. Avete già avuto qualche contatto concreto?
Noi abbiamo già seguito un programma di incubazione e alla fine del programma per tutte le startup il passaggio successivo è il fund-raising. E quindi ci troviamo in questa fase adesso, conoscitiva, di valutazione. Sicuramente acquisire nuovi utenti anche grazie alla visibilità che abbiamo avuto, sarà un punto a nostro favore”.
Allora speriamo che siano sempre di più gli utenti anche dopo questa nostra chiacchierata. Ringraziamo per la disponibilità Gioia Pistola e auguriamo a lei e a tutto lo staff di Atooma di ottenere il grande successo che meritano. A proposito se non avete ancora scaricato Atooma non perdete tempo, fatelo adesso e vi accorgerete subito che il tocco magico c’è per davvero!