Plinio il Vecchio presenta la sua opera a Vespasiano - particolare da miniatura della Naturalis Historia dall'Abbazia di Saint Vincent a Le Mans, XII secolo.
Per quanto strano possa sembrare, le proprietà della magnetite (mineral magnetite, Fe304) erano conosciute e studiate fin dall’Antichità.
Nel Mediterraneo greco-romano era conosciuta con il nome di Lithos Magnetis, cioè “Pietra di Magnesia”, dal nome di una città della Lidia, in Asia Minore, nei pressi della quale vi erano grandi giacimenti di queste particolari rocce.
Lucrezio, nel sesto libro del suo De Rerum Natura, afferma che le proprietà del magnete o calamita erano già conosciute dagli antichi, e le elenca brevemente:
- attrae il ferro a distanza;
- i pezzi attirati aderiscono alla calamita;
- la calamita può attivare nel ferro un potere di attrazione;
- questo potere rimane per un po’ di tempo;
- i pezzi di ferro magnetizzati attirano anche altri oggetti non di metallo;
- alcune calamite possono anche respingere dei pezzi di ferro invece di attirarli.
Quest’ultimo punto è molto interessante, dato che Lucrezio è il primo a parlare della repulsione magnetica.
Della magnetite parla anche Plinio il Vecchio nella sua Naturalis Historia, e da lui sappiamo che aveva un utilizzo abbastanza curioso: veniva usato soprattutto in medicina, per curare le malattie degli occhi. Dioscoride, dal canto suo, consiglia la polvere di magnetite, somministrata con molta acqua, per espellere gli umori grassi. Queste applicazioni medico-alchemiche furono trasmesse all’Europa medievale attraverso Isidoro di Siviglia, mentre, d’altra parte, fin dal VII secolo, il fenomeno dell’attrazione magnetica interessò particolarmente intellettuali musulmani come Jabir ibn Haiyan, o “Geber”
Ricostruzione moderna di "shih", tavoletta divinatoria della dinastia Han (I sec. d.C.)
Non sembra, invece, che, nel Mediterraneo dell’Antichità, fosse conosciuta un’altra caratteristica: l’orientamento magnetico.
Era conosciuta invece in Cina, dove la pietra misteriosa (questa la traduzione letterale del nome cinese che indica il magnete) veniva usata per la complessa pratica della divinazione astrologica. Sembra che l’origine della bussola vada ricercata in particolari giochi da tavolo, tabelle che rappresentavano il cielo o la terra su cui venivano gettati sassolini o sferette, simboli dei corpi celesti. Due di queste tavolette divinatorie sono state rinvenute in tombe coreane della dinastia Han (I secolo d.C.). Erano composte da una tavola quadrata simbolo della terra sormontata da una piastra circolare di metallo rotante ben lisciato che rappresentava il cielo; una calamita a forma di cucchiaio veniva appoggiato sulla piastra del cielo, e ruotava in risposta alla sollecitazione del campo magnetico terrestre, indicando con il manico i segni profetici incisi sulla tavola. Non si sa quando queste pratiche divinatorie diedero origine alla pratica di orientarsi con la bussola. Sappiamo che un testo del IV secolo a.C. indica come mezzo per orientarsi una calamita a forma di pesce rivestita di legno messa a galleggiare in una bacinella d’acqua; tra il VI e il VII secolo d.C., il pesce è sostituito da un ago di ferro magnetizzato; inoltre, già prima dell’XI secolo, li sapeva che i pezzi di ferro potevano essere magnetizzati prima della lavorazione, togliendoli dalla fornace all’interno di un campo magnetico. Questi aggeggi erano conosciuti con nomi che significavano girino e pesce, proprio per la forma dell’ago. Il particolare curioso è che il punto di riferimento nell’orientamento cinese non fosse il Nord ma il Sud, e in effetti la tecnica di magnetizzazione usata in Cina era concepita per invertire la polarità. In effetti, la declinazione magnetica era nota in Cina già nel IX secolo, 500 anni prima che in Europa. La prima descrizione di una bussola nautica, però, si ha soltanto in una cronaca datata al 1110 circa, i cui fatti si riferiscono però a quasi trent’anni prima.
La bussola: la bussola a scatola lignea sembra essere stata inventata nel 1300 nel Mediterraneo. Probabilmente la bussola arrivò dalla Cina nel XII o XIII secolo. Questo esemplare è modellato su un esemplare esistente del XV secolo.
Non è ancora chiaro come la bussola sia arrivata dalla Cina in Occidente: i resoconti persiani, arabi e indiani che menzionano bussole con l’ago a forma di pesce sono tutti successivi all’introduzione della bussola in Europa. La stessa parola araba usata per indicare la bussola, alkonbas, implica l’Occidente; forse gli Arabi stessi pensavano che la bussola fosse stata inventata in Europa e non in Oriente. Questo potrebbe suggerire una via di trasmissione diversa: quella di terra, attraverso i popoli delle steppe, o i mercanti che percorrevano il circuito che verrà successivamente chiamato Via della Seta.
Fatto sta che la bussola viene menzionata per la prima volta all’interno di un testo occidentale nel 1187, nel De nominibus utensilium dell’abate di Cirencester Alessandro di Neckam, allora studente a Parigi.
A partire dalla fondazione del Regno Crociato di Gerusalemme, nel 1099, sono le Repubbliche Marinare dell’Italia a fare la parte del leone nel commercio con l’Oriente. E un ruolo determinante nella diffusione della bussola in Occidente potrebbe averlo avuto proprio la città di Amalfi, e molto prima che la leggenda ne attribuisse l’invenzione al personaggio dell’amalfitano Flavio Gioia, probabilmente mai esistito; nel corso del XII secolo, le navi amalfitane importavano magnetite in quantità dall’isola d’Elba, e Amalfi divenne il primo centro europeo di fabbricazione delle bussole, strumento indispensabile per orientarsi per mare. Fu forse proprio ad Amalfi che venne coniato il termine bussola, derivato da buxus, legno di bosso, e da buxula, scatoletta; doveva trattarsi dunque di una scatoletta in legno di bosso, probabilmente ad ago galleggiante. Il tipo senz’acqua comparirà solo più tardi.
La bussola -miniatura dall' "Epistula de Magnete" di Pietro Peregrino.
L’introduzione della bussola fece fare un bel balzo in avanti agli studi sul magnetismo in Occidente. Da una menzione all’interno della Historia Orientalis di Jacques de Vitry (1218), ricaviamo che ai suoi tempi si era già capito che l’ago della bussola punta verso la Stella Polare, a Nord. Ne fa menzione anche Brunetto Latini nel Tresòr, che inoltre introduce il concetto dei due poli, positivo e negativo, alle estremità della calamita.
Un notevole progresso in questo senso fu compiuto dal piccardo Pietro di Maricourt, meglio conosciuto dai suoi contemporanei come Pietro Peregrino (Petrus Peregrinus). Verso il 1250 insegnava all’Università di Parigi, e lo stesso Ruggiero Bacone, che frequentava le sue lezioni, gli dedica frasi molto lusinghiere: «Ciò che gli altri cercano di vedere debolmente e alla cieca [....] egli vede nella piena luce del giorno, perché è maestro nello sperimentare». Nel 1269, ritroviamo Pietro Peregrino al seguito delle armate del re di Napoli Carlo II d’Angiò durante l’assedio della colonia saracena di Lucera, probabilmente come ingegnere militare; proprio in quell’occasione, egli scrisse la Epistula de Magnete, dedicata al cavaliere Sieger de Foucaucourt. Era in sostanza un compendio di tutto ciò che si conosceva allora sul magnetismo, ma conteneva anche particolari molto importanti ricavati dall’osservazione personale. In quella sede, Pietro Peregrino intuì addirittura (anche se in embrione) il campo magnetico della Terra, notando che una calamita in forma sferica attira un ago formando dei cerchi simili ai meridiani terrestri.
Il testo di Pietro Peregrino divenne subito uno dei testi più diffusi di filosofia naturale, tanto che venne edito a stampa già nel 1558, e sarà la base da cui l’inglese William Gilbert, a cavallo tra il Cinquecento e il Seicento, partirà per la sua opera rivoluzionaria De magnete.
Bibliografia
Learning, language, and invention: essays presented to Francis Maddison, a cura di Francis Maddison, Willem Dirk Hackmann, Anthony John Turner, in “Astrolabica”, vol. 6, Variorum 1994;
Chiara Frugoni, Medioevo sul naso: occhiali, bottoni e altre invenzioni medievali, Laterza, Bari 2004;
Joseph Needham, Scienza e civiltà in Cina, Einaudi, Torino 1986.