di Enrica Salvatori
Civiltà, regni, governi, comunità, gruppi hanno sempre legittimato la loro esistenza o giustificato le proprie scelte tramite il legame con eventi passati e spesso hanno anche coscientemente costruito il loro programma poltico attingendo disinvoltamente a quanto la storia poteva fornire loro. Gli esempi in questo campo si sprecano. Tra quelli più recenti e ancora impressi nella memoria del grande pubblico si possono citare i richiami alla romanità imperiale da parte del regime fascista o il corrispondente legame con il medioevo barbarico da parte della Germania nazista. In quest’occasione ho scelto di analizzare un esempio ancor più vicino a noi, che possiamo notare anche passeggiando per strada e dando un’occhiata ai manifesti politici affissi lungo le strade: l’uso del passato da parte della Lega Nord.
Premetto che in quest’analisi non vi è alcun intento denigratorio del partito politico in questione, ma solo il riconoscimento che si tratta, dal punto di vista scientifico e didattico, di un caso illuminante, che consente inoltre di fare qualche considerazione sul ruolo che la ricerca storica può avere nella nostra nazione.
Vediamo per prima cosa il logo della Lega Nord presente con alcune varianti in tutti i suoi manifesti:
Analizziamone i riferimenti storici:
- La figura che campeggia al centro del logo è, come molti sanno, la riproduzione della statua di Alberto da Giussano (eretta a Legnano nel 1876), «eroe» mitico della lotta tra i comuni lombardi e l’imperatore Federico Barbarossa alla metà del XII secolo. Sovente Alberto da Giussano fu, secondo la tradizione, l’organizzatore e il comandante della Compagnia della Morte che, raccolta intorno al Carroccio, contribuì alla vittoria della Lega Lombarda contro il Barbarossa nella battaglia di Legnano (1176). Relativamente a questo personaggio dobbiamo tuttavia dire che è interamente simbolico, ossia che storicamente non è mai esistito con certezza. Le testimonianze che lo riguardano sono infatti tutte molto più tarde rispetto all’epoca in cui presumibilmente visse. Ricordiamo che la lotta della Lega Lombarda contro l’imperatore ebbe cronisti di eccezione che scrissero pagine e pagine su quell’evento: tuttavia non è possibile trovare il nome di quest’eroe in nessuna testimonianza diretta. Il mito di Alberto da Giussano – e della lotta eroica dei comuni contro l’imperatore- si sviluppò invece nell’Italia tardo medievale (nel XIV secolo) ed ebbe un successo enorme e duraturo, legandosi di volta in volta alle istanze libertarie o indipendentistiche di città, stati regionali, movimenti politici e correnti nazionaliste. Molti di noi ricorderanno, ad esempio, per reminiscenze scolastiche, la Canzone di Legnano di Giosuè Carducci :
Or si fa innanzi Alberto di Giussano.
Di ben tutta la spalla egli soverchia
Gli accolti in piedi al console d’intorno.
Ne la gran possa de la sua persona.
Torreggia in mezzo al parlamento: ha in mano
La barbuta: la bruna capelliera
Il lato collo e l’ampie spalle inonda.
Batte il sol ne la chiara onesta faccia,
Ne le chiome e ne gli occhi risfavilla.
È la sua voce come tuon di maggio.
Nel simbolo, sopra Alberto da Giussano campeggia la scritta «Lega Nord» che richiama, come l’immagine, i protagonisti della lotta contro il Barbarossa: la Lega Veneta prima e la Lega Lombarda poi (o Societas Lombardie). Spesso Alberto da Giussano ha come sfondo la croce di San Giorgio (una croce rossa su campo bianco), che venne adottata da diverse città italiane nel corso del medioevo e che compare in numerose illustrazioni relative al Carroccio o carro da guerra milanese (che a sua volta non fu mai un simbolo federale, ma sempre municipale). Un ulteriore legame con questo particolare episodio della storia italiana si manifesta in occasione dei comizi della Lega Nord, spesso tenuti in luoghi simbolo per la Lega medievale, come Pontida (BG). Anche in questo caso si deve sottolineare il cosiddetto Congresso di Pontida del 1167, in passato considerato un momento cruciale nella formazione della Lega, non è storicamente provato. Come nel caso di Alberto da Giussano, il primo riferimento che lo menziona è infatti molto tardo, della fine del Quattrocento.
Relativamente al significato storico che ebbe la lotta dei comuni contro l’imperatore e che la Lega Nord intende prendere a simbolo delle sue lotte si deve dire che fu effettivamente un’alleanza di Comuni lombardo-veneti contro le pretese fiscali e autoritaristiche di uno stato (l’Impero germanico), ma è altrettanto vero che questa alleanza fu contingente, finalizzata a una lotta politica peculiare, non ebbbe alcuna base etnica, non promosse (nemmeno nelle intenzioni) la creazione uno stato geopolitico stabile e, infine, che ebbe come potente alleato uno “stato” dell’Italia centromeridionale, la Roma di papa Alessandro III.
- Nel logo, a fianco di Alberto da Giussano, campeggia un simbolo circolare che rappresenta una stilizzazione della rosa celtica. Il secondo richiamo storico che riconosciamo riguarda quindi i Celti e a loro si lega indirettamente anche il toponimo sottostante «Padania». Iniziamo dalla «rosa». Detto anche «fiore a sei punte» o «sole delle Alpi» la rosa è un simbolo antichissimo, testimoniato presso numerose civiltà del passato, compresa l’etrusca. Come la svastica rappresenta probabilemente il sole e il suo potere e non appartenne ad alcuna civiltà in particolare. «Padania» è un neologismo derivato dall’aggettivo «padano» a sua volta originato dal nome latino del fiume Po, Padus. Creduta da molti celtica, l’etimologia di Padus è tuttavia ancora oggi molto controversa. Se il richiamo alla Lega Lombarda ha carattere politico, questi tue agganci al passato celtico hanno invece una chiara impronta etnica. In sostanza la Lega Lombarda vorrebbe riconoscere un’originaria untità etnico-culturale delle popolazioni lombardo-venete e la individua nel momento in cui il nord Italia era popolato da un insieme di tribù celtiche.
Ma chi erano gli antichi Celti? Su di loro si è detto e si continua a dire tutto e il contrario di tutto. Di volta in volta sono indicati come i primi veri europei o come immigrati asiatici, espressione di una civiltà unitaria o mosaico di etnie differenti, barbari guidati da mistici druidi o civili fondatori di tradizioni culturali “nazionali”. In Gran Bretagna Simon James, archeologo dell’Università di Durham, ha di recente tuonato contro la celebre celticità della sua nazione ritenendola una finzione accademica elaborata nel Settecento. In Francia gli ha fatto eco Christian Goudineau, professore al Collège de France, dichiarando che “la Gallia è un’invenzione di Cesare”, con tanti saluti ad Asterix e al druido Panoramix. Dire che in realtà fossero non è facile. Secondo Daniele Vitali, archeologo dell’Università di Bologna tra i maggiori esperti italiani “Greci ed Romani non avevano dubbi sull’esistenza dei Celti né sulla loro area di influenza: attorno al 500 a.C. lo storico greco Ecateo chiama keltoi gli abitanti dell’entroterra marsigliese, 130 anni dopo Erodoto sostiene che il Danubio nasce nel territorio dei Celti; infine Cesare dichiara nella sua celeberrima frase sulla Gallia che quelli che noi chiamiamo Galli, si definiscono nella loro lingua Celtae. È chiaro quindi che per gli uomini del Mediterraneo antico gran parte dell’Europa continentale era una zona abitata da una popolazione che si definiva celtica, la cheltiché”. I Celti quindi c’erano e occupavano in epoca antica una vasta zona dell’Europa centro settentrionale. Il problema sta nel fatto che quando andiamo a investigare le testimonianze archeologiche celtiche, cercandone l’identità comune, da un lato troviamo una serie di culture simili (facies) sparse in una vasta area, dall’altro incontriamo però anche una grande varietà di testimonianze che escludono un qualsiasi elemento sovranazionale. Da qui la recente crisi della definizione stessa di “civiltà celtica”. Per quello che riguarda i «nostri» Celti, non possiamo assolutamente parlare di loro come un fenomeno unitario, ma solo riferendoci alle singole tribù. Cenomani, Boi, Anari, Linoni e Senoni varcarono infatti le Alpi all’inizio del IV secolo a.C. e si stanziarono in quasi tutta l’Italia padana giungendo fino alle attuali Marche e, ovviamente, a Roma, salvata dalle celeberrime oche nel 386 a.C. Quello che arrivò però non era un popolo: era un insieme disomogeneo di gruppi diversi fra loro e frantumati anche all’interno della stessa etnia. Ogni popolazione instaurò con Etruschi e Romani rapporti diversi a seconda dei casi. I Cenomani diventarono i più fidati alleati di Roma, al punto di frantumare la compagine celtica e di essere poi totalmente “assorbiti” dalla cultura latina. I Boi, al contrario, si dimostrarono irriducibili e pagarono la loro ostinazione con lo sterminio e la fuga.
In sostanza, dal punto di vista «storico», i simboli e i nomi a cui si richiama oggi la Lega Nord non hanno attendibilità alcuna. Ma questo non basta assolutamente a chiudere la questione. Anzi. Dobbiamo dire che, a dispetto della «non storicità» delle millantate origini, l’uso strumentale della storia da parte di questo partito politico è stato intelligente ed estremamente azzeccato.
La Lega Nord è infatti un’organizzazione composita, costituita da un certo numero di gruppi che hanno in comune delle finalità legate alla decentralizzazione del governo e al federalismo. Dal punto di vista della politica nazionale la Lega ha da sempre portato avanti la lotta contro lo stato centralizzato e fiscalmente esigente (Roma ladrona), ha rivendicato il diritto di comuni e regioni a gestire i propri proventi fiscali, ha promosso il distacco dalla nazione tramite la creazione di uno stato federale (da qui gli attacchi alla bandiera e a tutti i simboli della nazione). Fin dai suoi esordi, ma la caratteristica si è accentuata di recente, la Lega ha poi molto sottolineato la differenza e diffidenza dei suoi accoliti rispetto agli immigrati, rivendicando il diritto di difendere la “popolazione padana” dai pericoli derivanti dall’immigrazione, fosse essa dal sud Italia o dalle aree povere del mondo.
Con queste premesse i riferimenti storici scelti dalla Lega si rivelano indubbiamente idonei. La Lega Lombarda medievale era un’alleanza di Comuni della valle del Po che rivendicava il diritto ad amministrare le tasse indirette legalmente dovute all’Impero. Era inoltre un insieme eterogeneo di Comuni supportati trasversalmente da tutti i ceti sociali. Riguardo ai Celti l’ignoranza diffusa sulla loro civiltà e la suggestione e il fascino che da tempo accompagnano tutta la simbologia celtica hanno dato alla Lega Nord quello che la Lega Lombarda non poteva dargli: la matrice comune etnico-culturale. Poca importa che questa non sia mai esistita: nel linguaggio comune “Celtico” significa “originario” e tanto basta. Sul successo di questo uso strumentale e consapevole del passato credo non possano esserci dubbi: lo testimoniano tra gli altri le decine e decine di siti internet e di pubblicazioni attualmente dedicati al retroterra storico padano.
Prima di chiudere una breve considerazione di quale può essere il ruolo di una seria ricerca storica svolta in ambito accademico nei confronti di un fenomeno come quello appena descritto e di come certe riforme potrebbero influenzarlo.
Attualmente la ricerca storica accedemica è relativamente poco influenzata dal successo elettrorale regionale o nazionale della Lega Nord. Relativamente, perché in realtà le influenze ci sono state. La cronica mancanza di fondi che attanaglia tutti i settori della ricerca in Italia e ancor più il campo umanistico ha trovato talvolta sollievo nella sponsorizzazione da parte di enti pubblici (Comuni, Province, Regioni) di ricerche storiche “a tema”, come ad esempio convegni e mostre sulla figura di Alberto da Giussano, studi complessivi sul passato di questa o quella regione, finanziamenti insperati per scavi archeologici sui siti delle tribù celtiche. I soldi erogati sono tuttavia passati sempre attraverso il filtro dell’alta professionalità dei docenti e dei ricercatori italiani: questo significa che la richiesta di studi approfonditi a pagamento non ha influito sulla bontà dei risultati conseguiti. Cosa succederebbe tuttavia se questo filtro venisse a mancare? Se la professionalità venisse meno? Se il metodo di reclutamento e di preparazione alla ricerca portassero a uno scadimento della qualità complessiva o peggio, a un controllo politico sulla ricerca?
Il risultato sarebbe la manipolazione della storia. La divulgazione strumentale di dati storici a fini politici nelle scuole, nelle università. Il nostro passato è pieno di esempi simili. Ma siccome “la storia serve”, serve a darci radici, identità e sotanza, rischiare lo scadimento della ricerca storica significa mettere in pericolo la nostra stessa identità.
E. Salvatori, Dalla Lega Lombarda alla Lega Nord, in Lezioni sotto la Torre , a cura di M. Stampacchia, P. Della Posta, J. Munat, A.M. Rossi, 2006, Pisa: Edizioni ETS. ISBN: 88-467-1423-7, pp. 23-30