di Gaetano Vallini
La storia la scrivono i vincitori. Ma non sempre. Da questa parte del mondo, infatti, la guerra del Vietnam venne raccontata dai vinti, gli Stati Uniti. Ora però arriva la possibilità di un cambio di prospettiva: osservare quel conflitto come non si era mai visto in occidente, ovvero dalla parte dei vincitori. A permetterlo è Ceux du Nord, il volume che raccoglie le fotografie esposte in autunno a Perpignan, in Francia, nell’ambito del festival “Visa pour l’image”, a cura del fotografo e documentarista Patrick Chauvel: centoquaranta immagini inedite (in mostra erano solo settanta) scattate dai fotoreporter nordvietnamiti tra il 1966 e il 1975. Un punto di vista diverso, dunque, per raccontare la guerra più lunga e tra le più laceranti e contestate combattute dagli Stati Uniti, ma anche un’occasione per riflettere sul modo in cui essa fu presentata al mondo. Per questo Ceux du Nord (2014, Paris, Les Arenes-Fondation Patrick Chauvel, pag. 160, euro 29,90) è un’operazione particolarmente interessante, visto che l’iconografia di questo conflitto era stata finora affidata alle immagini scattate dai fotoreporter al seguito delle truppe statunitensi, inviate in quel lembo di Asia per contrastare l’avanzata comunista. Fotografie che contribuirono a scrivere la storia di quel conflitto, ma con un marchio unico. E ciò malgrado Don McCullin, Philipp Griffith, Gilles Caron, Henri Huet, Eddie Adams, Nick Ut – vincitore del Pulitzer per la famosa immagine realizzata l’8 giugno 1972 della bambina vittima del napalm che corre nuda, braccia in alto e il viso stravolto dal dolore – si sforzassero di raccontare le atrocità della “sporca guerra” senza autocensure, limitandosi a mostrare quanto accadeva sotto i loro occhi, dunque scevri da intenti propagandistici. E non a caso le loro foto si fecero interpreti della crescente avversione al conflitto negli Stati Uniti e alcune loro immagini divennero vere e proprie icone, simboli del movimento pacifista. In ogni caso questo privilegio di fatto portò ad avere una visione unilaterale dei fatti, alimentata anche da un numero consistente di film hollywoodiani, che non teneva in nessun conto il punto di vista nord vietnamita, rimasto celato – a parte qualche scatto filtrato da oltre cortina - per più di quarant’anni. Grazie a Chauvel, che in Vietnam c’era stato come fotografo per documentare il conflitto e che molti decenni dopo c’è tornato per una conferenza ad Hanoi durante la quale ha incontrato alcuni dei colleghi che operavano dall’altra parte del fronte, l’operazione Ceux du Nord si presenta come una sorta di risarcimento, mostrandoci le immagini riprese dai fotografi in prima linea con i vietcong, sostenuti, oltre che da Ho Chi-Minh, anche dall’Unione Sovietica e dalla Cina, dando finalmente voce e volto a quanti quella guerra la vinsero. Così oggi accanto ai nomi dei ben conosciuti fotoreporter statunitensi si possono aggiungere quelli di Ðoàn Công Tính, Lu’o’ng Nghĩa Dũng, Chu Chí Thành, Hú’a Kiểm, Ngọc Ɖản, Mai Nam, Vũ Ba, Minh Ɖạo, e apprezzare il loro lavoro per l’Agence vitnamienne d’information (Avi), per giornali e riviste. Di molti altri non conosceremo il nome, visto che oltre duecentosessanta – questa la stima - morirono durante i combattimenti. Un lavoro ancora più apprezzabile in quanto, stando a quanto raccontato ma come facilmente immaginabile, i loro mezzi tecnici erano decisamente inferiori rispetto a quelli dei colleghi occidentali. Si narra, al riguardo, che un fotografo, non possedendo un teleobiettivo, sia stato costretto ad avvicinarsi più volte alle truppe di prima linea riuscendo a sopravvivere al fuoco nemico. O di quello che, non avendo una camera oscura, aveva utilizzato un solo rullino da settantadue pose per tutta la guerra temendo che le preziose foto si potessero rovinare con la luce nel momento in cui avesse aperto la sua vecchia macchinetta di produzione sovietica. La guerra vista dai vietcong ha certo un carattere trionfalistico, ma non quanto ci potrebbe attendere. Stava costando troppe vittime, probabilmente un milione, e infinite sofferenze anche alla popolazione. Così, mentre i fotografi occidentali erano impegnati a denunciare gli orrori e l’insensatezza di quel conflitto, i loro colleghi nord vietnamiti cercavano di esaltare l’eroismo e i sacrifici di un popolo intero chiamato a fronteggiare un nemico potentissimo. Gli stessi reporter erano considerati “cittadini fotografi combattenti”. Non mancano quindi, oltre a quelle che documentano combattimenti, fotografie tese a incoraggiare il patriottismo, la lotta per la libertà e l’indipendenza, la mobilitazione delle masse “per l’edificazione del socialismo”, come quella che mostra un panzer nord vietnamita che entra a Saigon accolto da una folla in tripudio. O quella che ritrae una giovane minuta con accanto un “gigantesco” soldato americano fatto prigioniero. Spesso i combattenti vengono mostrati sorridenti, in contesti quasi irreali, ma quegli scatti arrivavano da una guerra reale, con il suo carico di sofferenza e di dolore. Diverse immagini, poi, mostrano donne, ritratte alle radiotrasmittenti mentre inviano messaggi, oppure pronte al combattimento imbracciando un fucile, o ancora intente a curare feriti in improvvisati ospedali da campo. Quella che emerge è dunque un’altra verità. E chissà se un giorno si potranno vedere in un’unica grande mostra dedicata alla guerra del Vietnam le immagini dei fotografi statunitensi e nord vietnamiti. Per riscrivere, stavolta insieme, un pezzo di storia.(©L'Osservatore Romano – 15 gennaio 2015)Magazine Cinema
Dalla parte dei vincitori. La guerra del Vietnam vista dai fotografi vietcong
Creato il 14 gennaio 2015 da Gaetano63Possono interessarti anche questi articoli :
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