Sarebbe facile parlare di sindrome polacca: quel particolare status di arretratezza catto reazionaria, di geopolitica ingenerosa che spinge il Paese a sfuggire alla morsa Russia – Germania con la consegna all’ “amico americano” pur in quadro di endemico nazionalismo e imperialismo locale, se mi si passa l’ossimoro, di ambiguità irrisolte nella caduta del comunismo pagata a piè di lista e fabbricata all’esterno con materiali sospetti. Tutte stimmate nuove o antiche che oggi hanno portato l’ultra destra al potere con un vittoria schiacciante e una maggioranza assoluta in parlamento oltre che alla scomparsa pressoché totale della socialdemocrazia rimasta sotto la soglia di sbarramento.
Sarebbe facile, ma illusorio perché è del tutto evidente che dentro la placenta politica polacca non incubano solo vecchi veleni, che la sorpresa elettorale di domenica è anche se non soprattutto un prodotto dell’Europa e della sua oligarchia. Da una parte lo scontro con la Russia nel quale l’ Ue si è fatta trascinare mani e piedi, ha accentuato il nazionalismo polacco senza però trascinarlo in Europa, ma appoggiandolo direttamente agli Usa. E non poteva che essere così visto che il liberismo dittatoriale di Bruxelles con tutto quello che ha prodotto negli ultimi anni è decisamente rifiutato dalla popolazione che invece ha preferito i piani da destra sociale della nuova leader di Varsavia, Beata Szydlo, che prevedono l’intervento dello Stato nell’economia, il sostegno alle famiglie e alle piccole imprese, l’abbassamento dell’età pensionabile, più tasse per i grandi gruppi e meno per le piccole attività.
Non c’è dubbio che si tratti di un coacervo di contraddizioni che non faranno di certo bene alla Polonia, ma questo denuncia il fiato corto dell’Europa che nel suo piano di riduzione della democrazia necessario a far passare il suo progetto oligarchico, si va accorgendo che spesso l’autoritarismo suggerito, favorito o imposto come in Portogallo finisce per scontrarsi contro i suoi dettami economici, in Polonia, come in Ungheria e presto in tutto l’est del continente. Di sicuro il risultato delle elezioni polacche metterà sabbia negli ingranaggi della Ue ordoliberista che esce grande sconfitta nelle urne di Varsavia, visto che è stato duramente bocciato l’indirizzo mercatista e filo europeo del precedente governo.
Certo sarebbe stata tutt’altra storia se la socialdemocrazia europea non si fosse fatta coinvolgere in modo così completo e servile ai disegni di Bruxelles e se la sinistra non avesse barattato gli interessi concreti delle persone, le visioni alternative con le lenticchie europee in nome di un internazionalismo astratto e di dubbia anzi, contestabile origine, che separato da ciò che è stato via via abbandonato per strada fa tanto Adam Smith.
Così adesso quel po’ di stato e di senso della cittadinanza che resiste viene gestito dalla destra tradizionale in opposizione a quella di osservanza economico – finanziaria, mentre le sinistre balbettano e non sanno che pesci pigliare. Si è arrivati, tanto per fare un esempio italiano, alla nuova grande e rivoluzionaria proposta che viene da ciò che resta della Lista Tsipras: una riedizione dell’Ulivo di Prodi. Un ritorno al passato che fra l’altro si appoggia idealmente all’uomo che ha le maggiori responsabilità nell’aver trascinato il Paese nella logica infernale dell’euro e di conseguenza nella mutazione drammatica che ha subito l’Europa. Dentro un’esperienza che si è ben presto risolta, coperta dal sipario dell’antiberlusconismo, a manipolare i diritti del lavoro, a ridurre il welfare, a por mano alle pensioni in nome dei precetti liberisti. Non si tratta dunque di nuove prospettive, ma solo di tentativi di suicidio per l’impossibilità di concretizzare un altrove ormai puramente narrativo e smentito ogni giorno dalla pratica. Sembra quasi che per la sinistra la crisi non ci sia stata, non abbia svelato nulla sui meccanismi del Golem finanziario, non abbia cambiato nulla e vada avanti così perché si vive con qualcuno che magari vuole pure vivere bene, comprese le mosche cocchiere, ovvero certi cosiddetti intellettuali disposti anche a non capire nulla pur di non perdere un diritto di tribuna ormai acquisito che poi monetizzano. La tracotanza risibile con cui fanno finta di credere e spiegano in modo sussiegoso come i furti di sovranità, cittadinanza e costituzionalità siano un giusto baratto per l’Europa delle banche, è patetica prima ancora di essere un tradimento. Anzi porta direttamente in Polonia.