Il solo fatto di sapere che il punto di partenza è stato un vero e proprio copione cinematografico, offre la possibilità di considerarlo un caso di studio, da cui trarre molti insegnamenti su come imbastire una storia caratterizzata da una trama ricca e coinvolgente. Quello che ci vuole per un buon film. Innanzitutto il tema. Il libro parla del drammatico problema dei rifiuti tossici, in questo caso persino radioattivi, nascosti nelle cave di un terreno della campagna del sud Italia. Un terremoto danneggia le cave e i rifiuti radioattivi corrono il rischio di finire entro breve nelle falde acquifere uccidendo e contaminando ogni forma di vita. Un altro aspetto da notare riguarda gli autori. Gian Giuseppe Ruzzu è un maggiore dell’Arma dei carabinieri, Carlo Carere è stato per dodici anni ufficiale dell’Arma e attualmente lavora a Hollywood come sceneggiatore di due film di imminente produzione. Il romanzo è inoltre ispirato a fatti veri e nella lettura si avverte la precisione, mai esagerata comunque, che caratterizza un racconto competente e ben studiato. L’analisi che tuttavia mi interessa sviluppare riguarda soprattutto la corrispondenza tra numerosi meccanismi della trama, compresi molti elementi nella definizione dei personaggi, e tante indicazioni alla base di importanti corsi e manuali di sceneggiatura.
Una caratteristica generale molto viva nel romanzo è la capacità di non lasciare mai niente per strada.
Un dettaglio, una situazione, un personaggio, anche molto secondario, o un oggetto non sono mai introdotti senza che poi nel proseguimento della storia non si trovi la circostanza in cui inserirlo per comprenderne la sua funzione o il suo ruolo. A ogni apertura corrisponde una chiusura, a ogni domanda corrisponde una risposta, a ogni dubbio una ricerca di verità. Niente è sfilacciato. Questa caratteristica mette in evidenza una proprietà importante che una buona sceneggiatura dovrebbe avere: la capacità di trarre ordine dal disordine, di condurre lo spettatore lungo un percorso chiaro, verso una meta ben definita, la qualità di ridurre l’entropia iniziale per raggiungere un grado soddisfacente di generale sintropia. Insomma è quella cosa che ti fa uscire dal cinema pensando: che bel film ho visto.
Chi ha seguito i corsi di Syd Field sa quanta importanza il guru americano della sceneggiatura attribuisce alla definizione del contesto, inteso come lo spazio entro cui l’azione si svolge. In Acque Letali il contesto è subito introdotto con forza scenica e intensità drammatica. Due ragazzini corrono su una spiaggia in Somalia. Trovano degli oggetti strani che fuoriescono dalla sabbia. Li toccano. Sono rifiuti radioattivi. Entro poco moriranno. Poi l’azione si sposta da altre parti del mondo ma il contesto è già definito e gli eventi iniziali sono collegati con quanto accadrà dopo. È una struttura a cornice che si chiuderà con perfetta armonia alla fine del romanzo con un’altra scena analoga ambientata in Italia.
Un altro elemento sottolineato da Syd Field è l’importanza del conflitto. Se non ricordo male le sue parole: senza conflitto non c’è tensione drammatica, senza tensione drammatica non c’è storia, senza storia non c’è sceneggiatura. In Acque Letali i personaggi sono introdotti sottolineando innanzitutto i loro conflitti personali e interiori. Un giornalista americano appena uscito dal carcere cerca di riacquistare dignità agli occhi del padre, un’epidemiologa si batte contro il traffico di rifiuti per dovere civile ma anche per sconfiggere il trauma di aver visto da bambina il padre morire dopo essere entrato in contatto con sostanze radioattive; uno dei responsabili della contaminazione, inconsapevole di aver predisposto le cave per la sistemazione dei rifiuti, trova il coraggio di offrire il suo aiuto all’epidemiologa quando comprende che anche suo figlio è morto a causa di questi veleni. E poi vengono introdotti altri tipi di conflitti che solo in un secondo momento si risolveranno con perfetta scelta di inserimento rispetto allo sviluppo dell’azione. C’è la figura centrale di Luigi, un ragazzino che ha bisogno di un trapianto di midollo. Il giornalista americano potrebbe offrirglielo ma si rifiuta per timore della sua salute già minata da gravi problemi cardiaci. Offrirà il suo midollo solo alla fine quando saprà che anche suo padre è stato ucciso dalla mafia e vedrà nel suo gesto la possibilità di un riscatto umano ed esistenziale per cui vale la pena rischiare di morire. La donazione del midollo non risolve solo il conflitto individuale del giornalista ma anche un problema generale di tutte le indagini perché Luigi è il solo a poter ritrovare il luogo esatto delle cave con i rifiuti. La sua morte significherebbe la morte di migliaia e migliaia di persone. È solo un accenno per sottolineare la grande capacità degli autori di imbastire un mosaico in cui dimensione psicologica e azione s’intrecciano arricchendosi a vicenda.
Un altro elemento fondamentale della teoria della sceneggiatura è il cambiamento del personaggio. C’è una frase di Michael Caine che esprime bene questo punto:
«Leggo le prime quindici pagine di una sceneggiatura e se questa mi interessa, leggo le ultime quindici. Se niente è cambiato non c’è nessuna ragione per leggere le altre cento».
In Acque Letali c’è una continua evoluzione dei personaggi e anche del rapporto che li lega. Tra l’epidemiologa e il giornalista c’è un confronto che farà nascere qualcosa di più tra di loro; tanto per fare un esempio, anche il capitano Armentano, durante le indagini, cambia la sua prospettiva e comprende il vero ruolo del giornalista all’inizio considerato il vero colpevole. I manuali di sceneggiatura sottolineano inoltre l’importanza del dialogo come strumento che deve svolgere alcune funzioni importanti: fornire contesto all’azione e spingere in avanti la storia. I dialoghi di Acque Letali corrispondono perfettamente a questa funzione perché svelano caratteristiche psicologiche del personaggio, della sua vita passata o portano l’attenzione su dettagli, indizi o situazioni che spingono i protagonisti ad agire in un modo invece che in un altro.
Ci sarebbero tanti altri dettagli da evidenziare come perfetti esempi per caratterizzare uno dei protagonisti. Solo un esempio: il giornalista americano trasformato in detective ha sempre il vizio di lanciare in aria un quarto di dollaro. È un passatempo, un gioco, ma alla fine ripetendosi diventa il simbolo stesso di ciò che è diventata la sua vita: una scommessa contro il suo passato e contro gli eventi che lo perseguitano.
Durante una lettura tutta d’un fiato ho ricevuto molte suggestioni che per svariati motivi mi hanno fatto venire in mente tanti ottimi film della migliore tradizione hollywoodiana. Provo ad elencare queste suggestioni e i relativi motivi che le hanno fatte sorgere senza pretesa di completezza.
Per la capacità di rappresentare un personaggio braccato senza apparente via di scampo, Il fuggitivo con Harrison Ford.
Per l’efficacia con cui viene attribuita a uno solo o pochi personaggi la possibilità di colpire un organizzazione criminale dal proprio interno o da una posizione imprevedibile, Die Hard con Bruce Willis.
Per una certa simbologia del sacro contrapposto al male, Il Codice da Vinci con Tom Hanks.
Per la tematica della natura colpita da interessi meschini ad opera di un’organizzazione perfetta e ramificata, Il rapporto Pelican con Julia Roberts.
Per la centralità della televisione come occhio che svela a tutti la drammaticità di una situazione, Sindrome cinese con Jack Lemmon.
Per un particolare senso di invincibilità di cui sembrano talvolta avvolti i peggiori criminali, Gli intoccabili con Kevin Kostner.
Per un ruolo in alcuni casi marcio svolto dalla politica fino alle estreme conseguenze, Potere assoluto con Gene Hackman.
Per una fascinazione psicologica profonda collegata al tema del trapianto e del dono della vita, Debito di sangue con Clint Eastwood.
Sono solo suggestioni personali. Tuttavia, cosa si può dire di una storia che è in grado di farle venire in mente tutte? Forse è l’ennesima prova che è davvero scritta bene.
Media: Scegli un punteggio12345 Nessun voto finora