Dalla strada al menù: non chiamatelo street food

Da Arscreativo

Dalla strada al menù: non chiamatelo street food
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Non mentitemi, perché so che – almeno una vita nella vita – ci siete cascati tutti. Stanno lì, nelle loro carte inzuppate d’olio, così carichi di gustose promesse da non poter davvero dire di no. Che siate per le strade di New York o in un quartiere di Bangkok, sembra impossibile resistere al fascino del cibo di strada, e questo non ci sorprende. Interessante è, invece, notare che anche chef di un certo calibro si lasciano sempre più affascinare da ciò che, molto spesso, viene giudicato “cibo spazzatura”.

Pochi sanno che lo street food ha origini italiane: nell’antica Roma era abitudine consumare i pasti in piedi, in luoghi chiamati tabulante, che si affacciavano sulla strada. Lo scopo di questi “locali all’aperto” era quello di invogliare i passanti a fermarsi, mostrando loro le pietanze, disposte in contenitori incastonati nella pietra.

Ma facciamo un po’ di chiarezza. Cosa possiamo definire cibo da strada?

Ufficialmente, il cibo da strada è costituito da quegli alimenti, già pronti per il consumo, che sono venduti e preparati al momento, soprattutto in strada o in altri luoghi pubblici. Quindi, partendo proprio da casa nostra, lo street food italiano spazia molto tra il dolce e il salato: pensate al gelato, a tutta le varietà di cibi fritti – dai panzerotti agli arancini di riso – senza dimenticare i cicchetti delle osterie veneziane. Non solo il classico panino con la salsiccia. La lista è lunga se consideriamo le specialità italiane, e cresce all’infinito se pensiamo che lo street food si consuma in tutto il mondo, dal Nord- e Sud-America fino all’Asia.

India – Chana (ceci al chili)

Francia – crêpes

Israele – Falafel

Italia – Olive Ascolane

Sicuramente, Gualtiero Marchesi aveva ragione, quando definiva lo street food come “il modo più diretto per conoscere la storia di un Paese”, ma possiamo ancora parlare di cibo da strada?

Molti gli chef che, negli ultimi anni, hanno cominciato a prendere panini e delizie varie da pochi euro, reinventarli in chiave elegante, e servirli a prezzi astronomici in ristoranti di primo livello. La tendenza è stata sdoganata in televisione da Gabriele Rubini, alias Chef Rubio, che gira per l’Italia alla ricerca del miglior cibo da strada Made in Italy. Lontano dai palinsesti, Beniamino Nespor ed Eugenio Roncoroni, i due chef del ristorante Al Mercato, hanno sconvolto Milano con il loro Burger Bar, dove è possibile assaggiare street food da tutto il mondo. E, infine, Oscar Farinetti, che recentemente ha inaugurato il progetto Streeteataly: veri e propri ristoranti su due ruote che porteranno in giro per le piazze italiane i prodotti firmati Eataly. Il cibo da strada entra nei ristoranti, e il cibo dei ristoranti esce per le strade. Possiamo ancora parlare di street food o anche questo è ormai diventato semplice marketing?

Gambero Rosso ha presentato, solo qualche tempo fa, la sua nuova guida allo street food italiano, con oltre quattrocento indirizzi suddivisi per regione. C’è da chiedersi se non sia troppo… insomma, il rischio nausea è piuttosto alto. Certo, l’idea ha in sé qualcosa di geniale: riuscire ad elevare cibi semplici e gustosi a piatti di alto livello ha qualcosa di nobile, specie se porta ad assaggiare prelibatezze dal sapore esotico e sconosciuto. Ma non è un po’ sopra le righe mettere del caviale sopra a delle patatine?

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