Stare Dalla sua parte è quando la malattia mentale di un padre diventa viatico per superare l’autobiografia ed entrare senza forzature ma neanche pudori nella letteratura passando dall’ingresso principale. Dalla sua parte è a un tempo catarsi e riscatto in forma narrativa della sofferenza psichica di un genitore affetto da disturbo bipolare e di tutto lo sterminato riverbero di disagi e condizionamenti familiari prolungati per anni. È risorgere trasformando dolenti noti personali in occasione di speranza, speranza ‘ecumenica’ perché travasata dalla letteratura alla vita, a disposizione di chi sconta il disagio mentale di un proprio congiunto e si logora nella contrizione e nel silenzio. Dalla sua parte (Edizioni Ensemble, 2013, € 15,00) è opera prima di Isabella Borghese, giornalista, scrittrice, responsabile della rubrica Libri & Conflitti sul quotidiano on line controlacrisi.org. Il romanzo, perché di questo si tratta, brilla di luce propria grazie a due requisiti fondamentali: una trama di sostanza perché affronta il tema del disturbo bipolare e uno stile che la sostiene e le conferisce il carattere di necessità poetica e strutturale. L’impatto è con una storia forte mai forzata, casomai contraddistinta da nitida schiettezza, a cui corrisponde una composizione trafelata, nervosa, densa e insieme scarna che nulla concede all’inessenziale e tesse un racconto sull’orlo del precipizio. Spesso si fa racconto estremo, molto più che sull’orlo del precipizio; cronaca di uno stato di calamità permanente. Tale stato colpisce non solo il padre ma anche la figlia, la protagonista, nonché Lina, la madre e gli altri familiari.
Ci sono resoconti crudi di un dolore non abbordabile altrimenti, che arrivano alle viscere e strattonano le emozioni letargiche. “I miei occhi l’hanno visto morire almeno sei volte. E ogni volta per suicidio. E ogni volta in modo diverso. Mio padre è un volo giù dal quinto piano del palazzo in calzoncini e canottiera che si spiaccica al piano terra di marmo freddo bianco e nero. È lanciarsi dalla finestra della sala e precipitare nell’ingresso che precede il portone. Mio padre è un salto nel vuoto da un ponte e dio solo sa se mai avrei potuto riconoscerlo. Ma è anche impugnare coltelli in cucina da toglierglieli con la forza che non ho mai saputo di possedere. Mio padre è la paura di nulla. L’ho visto morire così tante volte davanti ai miei occhi stremati e angosciati che un giorno avrei voluto supplicarlo: “Ti prego papà, adesso o mai più”! Francesca è un’eroina dei nostri giorni: dotata di coraggio intermittente, spesso adombrata dalla paura della propria passione oltre che dalle circostanze. Cresciuta troppo in fretta, costretta a ‘raffreddarsi’ per sostenere il perpetuo surriscaldamento paterno tanto più angosciante nella fase depressiva, privata della possibilità di scagliare al mondo i propri lapilli di lava ma anche cenere se non attraverso la creazione di gioielli e il dipingere, ‘allevata’ alla cura del padre, a organizzare i suoi ricoveri, a gestire i tentativi di suicidio, l’alcolismo, i comportamenti distruttivi, cosa che sua madre troppo innamorata del marito non sa né può fare. Quasi fino a eclissarsi come madre tant’è che la protagonista la chiama con il nome di battesimo, mai mamma o quasi mai finché maturano svolte inattese. La vicenda si concentra nel giro di qualche giorno, sono i giorni delle festività natalizie durante i quali si riannodano fili familiari, altri si spezzano per sempre; riemergono spine antiche; forse fioriranno rose e ricongiungimenti.
Il difficile percorso della protagonista è quello di un’emancipazione progressiva dalla propria storia per come si è svolta fino a quel momento: non basta più l’aver lasciato materialmente la casa dei genitori e aver conquistato un proprio nido, il rifugio sicuro almeno dai tempi e modi totalizzanti della malattia del padre. Lei stessa si prefigge un salto di stato: avviare un processo individuativo, cercarsi, trovarsi, abitare la propria interiorità, diventare ciò che già è, coincidere con i propri sussulti, far esplodere la voglia di esistere e amare. È quanto avviene attraverso l’incontro scontro con due personaggi, Paolo e Gemma, due possibilità d’amore tra libertà e anticonformismo, due occasioni per trovare la forza di essere sganciandosi da catene antiche. Ci saranno esiti sorprendenti, spesso la vita prende una piega drammatica, ma anche questa può consentire di far fluire energie altrimenti bloccate e avviare trame impensate così da non restare reclusi nel personaggio creato dalle circostanze familiari. L’impossibilità d’amare a cui si è confinata Francesca non è che una difesa, la paura di diventare come suo padre e cagionare la stessa sofferenza agli altri. Lei, costretta all’apnea, lo racconta in un monologo d’intensa liricità: “Mio padre e mia madre devono avermi insegnato che l’amore non fa respirare. Toglie l’aria. Non permette di parlare con gli altri, né di aprire la finestra se si è in casa. Ho visto che nelle passeggiate le donne camminano davanti e gli uomini dietro a controllare. Questo è stato da piccola il mio incedere con la mamma: io e lei davanti, mio padre sempre dietro. Hanno poi cercato di condurmi in uno spazio di vita in cui al di là della famiglia non esiste niente e nessuno. Solo cattiveria e diffidenza. Mi hanno fatto capire che l’amore uccide la libertà. Ruba la spontaneità. Estirpa i sogni alla radice. Grida ogni sua manifestazione egoista. Non ha silenzio né riservatezza. Fa perdere se stessi nel ritrovarsi un’unica persona con l’amata. Mio padre mi ha insegnato che un papà può essere figlio del proprio. Può piangere, gridare, tirar botte, soffrire, ammalarsi, e consegnarti la sua malattia come fosse la tua dote. Io non so vivere senza respirare e senza seguire i miei istinti. Io non so se avrò per sempre la forza di non innamorarmi più, ma so con certezza di non poter pensare di compromettere un amore, di trasformarlo in confusione privandolo di ogni bellezza. Non sono neanche capace di pensare che un giorno un uomo potrà accompagnarmi e lasciarmi ammalata in una clinica mentre i miei figli, quelli che non ho, potrebbero stare a casa … a piangermi? ad aspettarmi? O forse no? perché si saranno liberati dall’angoscia della mia presenza? Non sono neanche in grado di sbarazzarmi di questi pensieri. Si può imparare tutto nella vita, anche attraversare i cancelli di una clinica psichiatrica senza nessuno che ci accompagni (…). Finché la protagonista scopre che la dote può essere anche quella che ognuno, a dispetto della propria storia, si regala concedendosi la possibilità di amare ed essere amati.
Da evidenziare le capacità non solo letterarie ma anche organizzative di Isabella Borghese. Si sa che l’autore oggi deve farsi promotore in proprio della sua opera e portarla a giro per farla conoscere. Isabella ha avviato un faticoso tour non solo nei luoghi più o meno soliti deputati alle presentazioni di libri, ma soprattutto coinvolgendo pazienti, parenti di pazienti, psichiatri, comunità, scuole e studenti. Con la ‘scusa’ di parlare di un’opera letteraria ha dato un contributo nella lotta contro lo stigma che colpisce la malattia mentale e ha permesso a tanti cittadini le cui vite mai scritte sono anch’esse in stato di apnea, di testimoniare la propria esperienza e avviare pubblici confronti. Ma, si sa, chi scrive è inquieto, curioso, già altrove mentre cerchi di fissarlo in un racconto. Annotiamo perciò che proprio in questi giorni Isabella ha concluso un nuovo romanzo, titolo provvisorio: Gli amori infelici non finiscono mai, sarà pubblicato da Giulio Perrone editore forse in primavera. Stavolta il tema scelto è quello della prosopagnosia, parola composita, definisce un deficit percettivo acquisito o congenito del sistema nervoso centrale che impedisce a chi ne viene colpito di riconoscere i volti delle persone. Come a trovarsi soli e stranieri tra le facce e sulla faccia della terra perché niente è riconoscibile. L’idea l’è venuta leggendo libri di Oliver Sacks. Tale disfunzione fu studiata tra i primi da Jean Martin Charcot, fondatore della neurologia, medico dell’ospedale Salpetriere di Parigi celebre perché aveva in cura le isteriche e per le sue lezioni spettacolari a cui assistettero Eugen Bleuer, Sigmund Freud, Pierre Janet e Jean Leguirec. Ma questa sarebbe un’altra storia. Comunque sempre ‘dalla sua parte’, quella della sfuggente irriducibilità della vita a diagnosi e categorie tra il mistero della malattia e quello più fitto ancora della salute apparente.
Titolo: Dalla sua parteAutore: Isabella Borghese
Editore: Ensemble
Collana: Échos
Dati: 2013, 192 pp., 15,00 €
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