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È dunque impossibile non restarne catturati.
Il film è la storia di Ron Woodroof (Matthew McConaughey), che, dopo aver scoperto di essere positivo all’HIV, nel tentativo di sopravvivere il più possibile alla malattia entra in contatto con un medico radiato dall’ordine che somministra cure alternative a quelle che lo stato americano, attraverso la FDA (Food and Drug administration), sta adottando e decide – prima per ottenerne guadagni personali poi perché sempre più convinto dell’opportunità di questa battaglia – di importarli illegalmente e di somministrarli agli altri malati. Il personaggio di Ron è quello di un mascalzone, un imbroglione, un gretto omofobo, un alcolista e un tossico, uno che per i soldi farebbe qualunque cosa, ma che attraverso la propria malattia e il contatto con il mondo di coloro che sono malati di AIDS ingaggia una battaglia e lo fa con tutte le sue residue forze.
Di fronte a una storia così non si può rimanere indifferenti. Si parteggia per il mascalzone, si fa il tifo per lui, ci si affeziona e ci si commuove.
In questo senso, Dallas Buyers Club è uno di quei film che non possono non piacermi. Vero però è che appena usciti dal cinema, a mente fredda, la sensazione di aver assistito a un drammone all’americana, in cui forse ci sono troppe semplificazioni e poco spirito critico, di aver fatto la conoscenza con l’ennesimo antieroe americano, il mascalzone dal cuore d’oro che cambia le sorti dell’umanità è forte. E non si può fare a meno di prenderne in parte le distanze. Il che nulla toglie alla qualità del film e al fatto che valga la pena andare a vederlo. Si tratta solo di quel po' di snobismo che mi fa storcere il naso di fronte al fatto che la cinematografia americana anche quando è al suo meglio non riesce a non strizzare l'occhio allo spettatore.
Resta il fatto che Dallas Buyers Club è un ottimo film, con una solidissima sceneggiatura, grandi prove attoriali e una pulizia registica lodevole.
Voto: 3,5/5
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