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Pur non essendo un film storico, Dallas Buyers Club ripercorre un periodo ormai lontano della terapia antiretrovirale con una più che discreta attendibilità. Avere riportato alla memoria fatti lontani di tale entità è molto importante, se si considera che le ultime statistiche e molti articoli sul barebacking parlano di una considerazione molto scemata nei confronti dell'AIDS e di nuovi picchi di infezione - non più solo periodici. La sceneggiatura di Craig Borten e Melissa Wallack si districa bene tra esigenze narrative diverse, mi sembra però che lo sfondo - l'ambiente, la decade, gli USA - qui prevalga sui singoli personaggi e quindi sulle storie narrate. In realtà, anche le prime sequenze, dove i "personaggi" prendono il loro spazio preminente, non riescono a far emergere un carattere in grado di competere con quello del protagonista. Tutti gli altri personaggi sono infatti generici e banali, o comunque già visti e non in grado di dire qualcosa di nuovo (con punte senz'altro insipide, come la genericissima Eve e tutto lo staff dell'ospedale, o cliché ormai consolidati come Rayon).
Se non ci fosse Matthew McConaughey - che recita a sua volta una parte tutto tranne che rivoluzionaria - il film perderebbe davvero parecchio. Rimarrebbe, tuttavia, al suo attivo una vena narrativa pregevole che forse qua e là è spinta troppo sull'episodico - la scena, la sequenza parallela e centrifuga - e perciò dal mio punto di vista un po' stancante. Jean-Marc Vallée è decisamente più bravo nel sintetizzare in scene una situazione di forte impatto (l'arena, il supermercato, l'ospedale) che non nell'analizzarla a furia di pennellate successive. D'altro canto, mi sembra di poter dire che il regista canadese ha un ottimo "pennello" artistico a sua disposizione: la fotografia è molto bella e in grado di creare in alcune scene l'atmosfera con i pochi tratti essenziali di cui abbiamo bisogno per riconoscere luoghi e le atmosfere. Nonostante mi rimangano forti perplessità sul suo valore d'insieme e sulla capacità di approfondire temi essenziali, quali la paura per sé e i sentimenti che legano le persone tra di loro, capisco dunque il successo di Dallas Buyers Club, perché si tratta di un film che fa discutere ed è esteticamente molto riuscito.
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