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Dalle dimensioni “affettive” e “politiche” allo sviluppo concreto della psicologia di strada

Da Raffaelebarone

Renzo Rolando, Diego Menchi, Luca Da Zanche

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La psicologia di strada nasce essenzialmente da due spinte contrapposte e convergenti, rispetto alle quali costituisce un tentativo di sintesi e di risposta.

La prima di queste spinte può essere definita come una “spinta dall’interno” delle istituzioni e del corpo professionale: la spinta della curiosità dello psicologo clinico, la spinta a gettare lo sguardo oltre il muro della stanza della terapia, per osservare qualcosa di “vissuto” e non di “riferito”, “in vivo” e non “in vitro”.

Una spinta repressa dalle regole della psicoterapia, che induce lo psicologo a immaginare di poter essere più utile al cliente se parla la sua lingua, “sa” perché ha visto, era presente, ha vissuto il momento, nella realtà materiale delle cose, e non nel chiuso del suo laboratorio.

In poche parole, quello che definiamo un “movente affettivo”, visto come naturale estensione delle psicoterapie supportive.

Da questa prima spinta nasce in parte, anche storicamente, il filone specifico della “psicoterapia di strada”.

Ma una seconda spinta altrettanto fondante può essere definita come una “spinta dall’esterno”, che proveniva dalla società civile, dal pubblico, che a partire dalla sfida dei cosiddetti “targets difficili” (consumatori di droghe, giovani contestatori, adolescenti e fasce marginali in genere) formulava domande e pressanti richieste di interventi psicologici nuovi, diversi, meno giudicanti e maggiormente “centrati sul cliente”.

Una spinta che induceva lo psicologo sociale ad individuarsi come un agente di cambiamento disposto a proporsi come alleato dell’”utente” sul terreno dei suoi bisogni, “prendendoli dove sono”, “andandoli a cercare”, piuttosto che attenderli nel setting circoscritto del suo cantuccio istituzionale.

Ed è proprio il concetto di “alleanza operatori-utenti” quello che definiamo un “movente politico”, che spinge alla modifica delle regole stesse dell’esercizio della professione.

Da questa seconda spinta trae origine la “psicologia di quartiere”………

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