Dalle guerre dell’oppio alle guerre del petrolio

Creato il 23 ottobre 2011 da Domenicolosurdo
Domenico Losurdo «La morte di Gheddafi è una svolta storica»: proclamano in coro i dirigenti della Nato e dell’Occidente, i quali non si preoccupano neppure di prendere le distanze dal barbaro assassinio del leader libico e dalle menzogne spudorate pronunciate a tale proposito dai dirigenti dei «ribelli». E, tuttavia, effettivamente si tratta di una svolta. Ma per comprendere il significato che la guerra contro la Libia riveste nell’ambito della storia del colonialismo, occorre prendere le mosse da lontano… Allorché nel 1840 le navi da guerra inglesi si affacciano dinanzi alle coste e alle città della Cina, gli aggressori dispongono della potenza di fuoco  di migliaia di cannoni e possono seminare distruzione e morte su larga scala, senza temere di essere colpiti dall’artiglieria nemica, la cui gittata è ben più ridotta. E’ il trionfo della politica delle cannoniere: il grande paese asiatico e la sua millenaria civiltà sono costretti a capitolare; inizia quello che la storiografia cinese definisce giustamente il secolo delle umiliazioni, che termina nel 1949, con l’avvento al potere del Partito comunista e di Mao Zedong.
Ai giorni nostri, la cosiddetta Revolution in Military Affairs (RMA) ha creato per numerosi paesi del Terzo Mondo una situazione simile a quella a suo tempo affrontata dalla Cina. Nel corso della guerra contro la Libia di Gheddafi, la Nato ha potuto tranquillamente effettuare migliaia e migliaia di bombardamenti e non solo non ha subito alcuna perdita ma non ha neppure rischiato di subirla. In questo senso, piuttosto che a un esercito tradizionale, la forza militare Nato rassomiglia a un plotone di esecuzione; sicché l’esecuzione finale di Gheddafi, piuttosto che essere un caso o un incidente di percorso, rivela il senso profondo dell’operazione nel suo complesso.
E’ un dato di fatto: la rinnovata sproporzione tecnologica e militare rilancia le ambizioni e le tentazioni colonialiste di un Occidente che, come dimostra l’esaltata autocoscienza e falsa coscienza che continua a ostentare, rifiuta di fare realmente i conti con la sua storia. E non si tratta solo di aerei, navi da guerra e satelliti. Ancora più netto è il vantaggio su cui Washington e i suoi alleati possono contare per quanto riguarda le capacità di bombardamento multimediale. Ancora una volta, l’«intervento umanitario» contro la Libia è un esempio da manuale: la guerra civile (scatenata grazie anche all’opera prolungata di agenti e unità militari occidentali e nel corso della quale i cosiddetti «ribelli» sin dagli inizi potevano disporre persino di aerei) è stata presentata come un massacro perpetrato dal potere su una popolazione civile indifesa; invece, i bombardamenti Nato che da ultimo hanno infierito su Sirte assediata, affamata e priva di acqua e di medicinali sono diventati operazioni umanitarie a favore della popolazione civile libica!
Quest’opera di manipolazione può ora contare, oltre che sui tradizionali mezzi di informazione e disinformazione, su una rivoluzione tecnologica che completa la Revolution in Military Affairs. Come ho spiegato in interventi e articoli precedenti, sono autori e organi di stampa vicini al Dipartimento di Stato a celebrare il fatto che l’arsenale Usa si è ora arricchito di nuovi e formidabili strumenti di guerra; sono giornali occidentali e di provata fede occidentale a riferire, senza alcun rilievo critico, che nelle corso delle  «guerre Internet» sono all’ordine del giorno la manipolazione, la menzogna, nonché l’aizzamento di minoranze etniche e religiose anche mediante la manipolazione e la menzogna. E’ quello che sta già avvenendo in Siria contro un gruppo dirigente ora più che mai preso di mira, per il fatto di aver resistito alle pressioni e intimidazioni occidentali e di essersi rifiutato di capitolare dinanzi a Israele e di tradire la resistenza palestinese.
Ma torniamo alla prima guerra dell’oppio, che si conclude nel 1842 col trattato di Nanchino. E’ il primo dei «trattati diseguali», imposti cioè con le cannoniere. L’anno dopo è la volta degli Usa. Inviano anche loro le cannoniere al fine di strappare il medesimo risultato conseguito dalla Gran Bretagna, anzi qualcosa in più. Il trattato di Wanghia (nelle vicinanze di Macao) del 1843 sancisce per i cittadini statunitensi residenti in Cina il privilegio della extra-territorialità: anche se colpevoli di reati comuni, essi sono comunque sottratti alla giurisdizione cinese. Ovviamente, il privilegio della extra-territorialità non è reciproco, non vale per i cittadini cinesi residenti negli Usa: una cosa sono i popoli coloniali, un’altra cosa, ben diversa, è la razza dei signori. Negli anni e nei decenni successivi, il privilegio dell’extra-territorialità viene esteso anche ai cinesi che «dissentono» dalla religione e dalla cultura del loro paese, si convertono al cristianesimo (e idealmente diventano cittadini onorari della repubblica nord-americana o dell’Occidente in genere).
Il doppio standard della legalità e della giurisdizione è un elemento essenziale del colonialismo anche ai giorni nostri: i «dissidenti» ovvero coloro che si convertono alla religione dei diritti umani, così come essa viene proclamata da Washington e da Bruxelles, i potenziali Quisling al servizio degli aggressori, costoro vengono insigniti del premio Nobel o di altri premi analoghi: dopo di che l’Occidente scatena una campagna forsennata al fine di sottrarre i premiati alla giurisdizione del loro paese di residenza, una campagna resa più persuasiva dagli embarghi e dalle minacce di embargo e di «intervento umanitario».
Il doppio standard della legalità e della giurisdizione diviene particolarmente clamoroso con l’intervento della Corte penale internazionale (Cpi). Ad essa sono e devono essere comunque sottratti i cittadini statunitensi e i soldati e i mercenari a stelle e strisce che stazionano in tutto il mondo. Recentemente, la stampa internazionale ha riferito che gli Usa sono pronti a bloccare con il veto l’ammissione della Palestina all’Onu, anche al fine di impedire che la Palestina possa far ricorso contro Israele presso la Cpi: in un modo o nell’altro, nella pratica se non già nella teoria dev’essere chiaro a tutti che a poter esser processati e condannati sono soltanto i popoli coloniali. E’ di per sé eloquente la tempistica. 1999: pur senza aver ottenuto l’autorizzazione dell’Onu, la Nato inizia i suoi bombardamenti contro la Jugoslavia; poco dopo, senza perder tempo, la Cpi procede all’incriminazione non degli aggressori e dei responsabili della violazione dell’ordinamento giuridico internazionale emerso di fatto dopo la seconda guerra mondiale, ma di Milosevic. 2011: stravolgendo il mandato Onu, ben lungi dal preoccuparsi della protezione dei civili, la Nato ricorre a ogni mezzo pur di imporre il cambiamento di regime e assicurarsi il controllo della Libia; Seguendo un modello già collaudato, la Cpi procede all’incriminazione di Gheddafi. La cosiddetta Corte penale internazionale è una sorta di appendice giudiziaria del plotone di esecuzione della Nato, si potrebbe anche dire che i magistrati dell’Aia rassomigliano a preti che, senza perder tempo a consolare la vittima, si impegnano direttamente nella legittimazione e consacrazione del boia.
Un ultimo punto. Con la guerra contro la Libia, nell’ambito dell’imperialismo si è delineata una nuova divisione del lavoro. Le tradizionali grandi potenze coloniali quali l’Inghilterra e la Francia, avvalendosi del decisivo appoggio politico e militare di Washington, si concentrano sul Medio Oriente e sull’Africa, mentre gli Usa spostano sempre più il loro dispositivo militare in Asia. E ritorniamo così alla Cina. Dopo aver posto fine al secolo di umiliazioni iniziato con le guerre dell’oppio, i dirigenti comunisti sanno bene che sarebbe folle e criminale mancare una seconda volta l’appuntamento con la rivoluzione tecnologica e militare: mentre libera centinaia di milioni di cinesi dalla miseria e dall’inedia cui erano stati condannati dal colonialismo, il poderoso sviluppo economico in atto nel grande paese asiatico è anche una misura di difesa contro la permanente aggressività dell’imperialismo. Coloro che, anche a «sinistra», si mettono a rimorchio di Washington e Bruxelles nell’opera di diffamazione sistematica dei dirigenti cinesi dimostrano di non avere a cuore né la causa del miglioramento delle condizioni di vita delle masse popolari né la causa della pace e della democrazia nelle relazioni internazionali.
Des guerres de l’opium aux guerres du pétrole

Traduit de l’italien par Marie-Ange Patrizio

« La mort de Kadhafi est un tournant historique » : proclament en chœur les dirigeants de l’OTAN et de l’Occident, lesquels ne se préoccupent même pas de prendre des distances avec l’assassinat barbare du leader libyen et des mensonges éhontés énoncés à ce propos par les dirigeants des « rebelles ». Et pourtant, il s’agit en effet d’un tournant. Mais pour comprendre la signification que la guerre contre la Libye revêt dans le cadre de l’histoire du colonialisme, il convient de partir de plus loin…  Tandis qu’en 1840 les navires de guerre anglais se déploient devant les côtes et les villes de la Chine, les agresseurs disposent de la puissance de feu de milliers de cannons et peuvent semer la mort et la destruction à grand échelle, sans craindre d’être touchés par l’artillerie ennemie, dont la portée est bien plus réduite. C’est le triomphe de la politique de la canonnière : le grand pays asiatique et sa civilisation millénaire sont obligés de capituler ; commence alors ce que l’historiographie chinoise définit à juste titre comme le siècle des humiliations, qui prend fin en 1949, avec l’avènement au pouvoir du Parti communiste et de Mao Zedong.   De nos jours, la dite Revolution in Military Affairs (RMA) a créé pour de nombreux pays du Tiers Monde une situation semblable à celle qu’avait affrontée la Chine en son temps. Au cours de la guerre contre la Libye de Kadhafi, l’OTAN a pu tranquillement effectuer des milliers de bombardements non seulement sans subir la moindre perte mais sans même non plus risquer de la subir. Dans ce sens, plutôt qu’à une armée traditionnelle, la force militaire de l’OTAN ressemble à un peloton d’exécution ; si bien que l’exécution finale de Kadhafi, plutôt qu’être un hasard ou un incident de parcours, révèle le sens profond de l’opération dans son ensemble.  C’est une donnée de fait : la disproportion technologique et militaire renouvelée relance les ambitions et les tentations colonialistes d’un Occident qui, comme le montre l’autoconscience et fausse conscience exaltée qu’il continue à afficher, refuse de régler réellement ses comptes avec son histoire. Et il ne s’agit pas seulement d’avions, de navires de guerre et de satellites. Plus net encore est l’avantage sur lequel Washington et ses alliés peuvent compter en ce qui concerne les capacités de bombardement multimédiatiques. Une fois de plus, l’ « intervention humanitaire » contre la Libye est un modèle de question de cours : la guerre civile (déclenchée grâce aussi à l’action prolongée d’agents et d’unités militaires occidentaux et au cours de laquelle les soi-disant « rebelles » dès le début pouvaient disposer même d’avions) a été présentée comme un massacre perpétré par le pouvoir sur une population civile sans défenses ; par contre, les bombardements OTAN qui, dernièrement, se sont acharnés sur Syrte assiégée, affamée et privée d’eau et de médicaments, sont devenus des opérations humanitaires en faveur de la population civile libyenne !   Cette opération de manipulation peut à présent compter, outre sur les traditionnels moyens d’information et désinformation,  sur une révolution technologique qui vient compléter la Revolution in Military Affairs.Comme je l’ai expliqué dans des interventions et articles précédents, ce sont des auteurs et des organes de presse proches du Département d’Etat qui célèbrent le fait que l’arsenal étasunien s’est maintenant enrichi de nouveaux et formidables instruments de guerre ; ce sont des journaux occidentaux et de foi occidentale avérée qui rapportent, sans aucun relief critique, qu’au cours des « guerres Internet » sont à l’ordre du jour la manipulation, le mensonge, ainsi que l’attisement de minorités ethniques et religieuses au moyen, aussi, de la manipulation et du mensonge. C’est ce qui est en train de se passer déjà en Syrie contre un groupe dirigeant aujourd’hui plus que jamais pris comme cible, pour le fait d’avoir résisté aux pressions et intimidations occidentales et de s’être refusé à capituler devant Israël et de trahir la résistance palestinienne.  Mais revenons à la première guerre de l’opium, qui se termine en 1842 avec le traité de Nankin. C’est le premier des « traités inégaux », c’est-à-dire imposés par les canonnières. L’année suivante c’est le tour des Usa. Ils envoient eux aussi leurs canonnières pour arracher le même résultat obtenu par la Grande-Bretagne, un peu plus encore même. Le traité de Wanghia (environs de Macao) de 1843 établit pour les citoyens étasuniens résidant en Chine le privilège de l’extraterritorialité : même coupables de délits de droit commun, ils sont dans tous les cas soustraits à la juridiction chinoise. Evidemment, le privilège de l’extraterritorialité n’est pas réciproque, et ne vaut pas pour les citoyens chinois résidant aux Usa : les peuples coloniaux sont une chose, la race des seigneurs en est une autre, tout à fait différente. Dans les années et décennies successives, le privilège de l’extraterritorialité est étendu aussi aux Chinois qui « sont en désaccord » avec la religion et la culture de leur pays, et se convertissent au christianisme (et deviennent idéalement des citoyens honoraires de la république nord-américaine ou de l’Occident en général).   Le double standard de la légalité et de la juridiction est, de nos jours aussi, un élément essentiel du colonialisme : les « dissidents » c’est-à-dire ceux qui se convertissent à la religion des droits de l’homme, telle qu’elle est proclamée par Washington et par Bruxelles, les potentiels Kisling, au service des agresseurs, ceux-là sont honorés du prix Nobel ou autres prix analogues : après quoi l’Occident déchaîne une campagne forcenée pour soustraire les primés à la juridiction de leur pays de résidence, campagne que vont rendre plus persuasive les embargos et les menaces d’ « intervention humanitaire ».   Le double standard de la légalité et de la juridiction devient particulièrement criant avec l’intervention de la Cour pénale internationale (CPI).  Vis-à-vis de celle-ci, sont et doivent être dans tous les cas soustraits les citoyens étasuniens et les soldats et mercenaires du drapeau étoilé qui stationnent dans le monde entier. Récemment la presse internationale a rapporté que les Usa sont prêts à bloquer par leur veto l’admission de la Palestine à l’ONU, dans le but aussi d’empêcher que la Palestine puisse faire recours contre Israël auprès de la CPI : d’une façon ou d’une autre, en pratique si ce n’est déjà en théorie il doit être clair pour tout le monde que ceux qui peuvent être jugés sont seulement les peuples coloniaux. Le timing est en soi éloquent. 1999 : sans même avoir obtenu l’autorisation de l’ONU, l’OTAN commence ses bombardements contre la Yougoslavie ; peu après, sans perdre de temps,  la CPI procède à l’incrimination non pas des agresseurs et des responsables de la violation de l’ordre juridique international qui avait résulté de la seconde guerre mondiale, mais de Milosevic. 2011 : renversant le mandat de l’ONU, bien loin de se préoccuper de la protection des civils, l’OTAN a recours à tous les moyens pour imposer le changement de régime et s’assurer le contrôle de la Libye ; suivant un modèle déjà éprouvé, la CPI procède à l’incrimination de Kadhafi. La dite Cour pénale internationale est une sorte d’appendice judiciaire du peloton d’exécution de l’OTAN, on pourrait même dire que les magistrats de La Haye ressemblent à des prêtres qui, sans perdre de temps à consoler la victime, s’emploient directement à la légitimation et à la consécration du bourreau.   Un dernier point. Avec la guerre contre la Libye, s’est dessinée dans le milieu impérialiste une nouvelle division du travail. Les traditionnelles grandes puissances coloniales comme l’Angleterre et la France, se prévalant de l’appui politique et militaire décisif de Washington, se concentrent sur le Moyen-Orient et sur l’Afrique, tandis que les USA déplacent de plus en plus leur dispositif militaire en Asie.  Et nous voici donc de retour en Chine. Après avoir mis fin au siècle des humiliations commencé avec les guerres de l’opium, les dirigeants communistes savent bien qu’il serait fou et criminel de rater une deuxième fois le rendez-vous avec la révolution technologique et militaire : pendant qu’il libère des centaines de millions de Chinois de la misère et de la famine auxquelles le colonialisme les avait condamnés, le puissant développement économique en cours dans le grand pays asiatique est aussi une mesure de défense contre l’agressivité permanente de l’impérialisme. Ceux qui, à « gauche » aussi, se mettent à la remorque de Washington et de Bruxelles dans l’entreprise de diffamation systématique des dirigeants chinois montrent qu’ils n’ont à cœur ni la cause de l’amélioration des conditions de vie des masses populaires ni la cause de la paix et de la démocratie dans les relations internationales.
De las guerras del opio a las guerras del petróleoTraducción: Juan Vivanco «La muerte de Gadafi es un hito histórico», proclaman a coro los dirigentes de la OTAN y de Occidente, sin molestarse siquiera en guardar las distancias con el bárbaro asesinato del líder libio y de las mentiras desvergonzadas que han proferido al respecto los jefes de los «rebeldes». Y sí, efectivamente se trata de un hito. Pero para entender el significado de la guerra contra Libia en el ámbito del colonialismo es preciso partir de lejos...Cuando en 1840 los navíos de guerra ingleses se asoman ante las costas y las ciudades chinas, los agresores disponen de una potencia de fuego de miles de cañones y pueden sembrar destrucción y muerte a gran escala sin temor a la artillería enemiga, cuyo alcance es mucho más reducido. Es el triunfo de la política de las cañoneras: el gran país asiático y su milenaria civilización se ven obligados a rendirse y comienza lo que la historiografía china denomina acertadamente el «siglo de las humillaciones», que termina en 1949 con la llegada al poder del Partido Comunista y de Mao Zedong.En nuestros días, la llamada Revolution in Military Affairs (RMA) ha creado en muchos países del Tercer Mundo una situación parecida a la que enfrentó China en su tiempo. Durante la guerra contra la Libia de Gadafi, la OTAN ha podido consumar tranquilamente miles de bombardeos y no sólo no ha sufrido bajas, sino que ni siquiera ha corrido el riesgo de sufrirlas. En este sentido la fuerza militar OTAN, más que a un ejército tradicional, se parece a un pelotón de ejecución; así, la ejecución final de Gadafi, más que un hecho causal o accidental, revela el sentido profundo de la operación en conjunto.Es algo palpable: la renovada desproporción tecnológica y militar reaviva las ambiciones y las tentaciones colonialistas de un Occidente que, a juzgar por la exaltada autoconciencia y falsa conciencia que sigue ostentando, se niega a saldar cuentas con su historia. Y no se trata sólo de aviones, navíos de guerra y satélites. Aún más clara es la ventaja con que pueden contar Washington y sus aliados en capacidad de bombardeo mediático. También en esto la «intervención humanitaria» contra Libia es un ejemplo de manual: la guerra civil (desencadenada, entre otras cosas, gracias a la labor prolongada de agentes y unidades militares occidentales, y en cuyo transcurso los llamados «rebeldes» podían disponer desde el principio incluso de aviones) se presentó como una matanza perpetrada por el poder contra una población civil indefensa; ¡en cambio, los bombardeos de la OTAN que hasta el final han asolado la Sirte asediada, hambrienta y sin agua ni medicamentos, se presentaron como operaciones humanitarias a favor de la población civil libia!Hoy en día esta labor de manipulación, además de contar con los medios tradicionales de información y desinformación, se vale de una revolución tecnológica que completa la Revolution in Military Affairs. Como he explicado en intervenciones y artículos anteriores, son autores y órganos de prensa occidentales próximos al Departamento de Estado los que celebran que el arsenal de EE. UU. se haya enriquecido con nuevos y formidables instrumentos de  guerra; son periódicos occidentales y de probada fe occidental los que cuentan, sin ningún sentido crítico, que en el transcurso de las «guerras internet» la manipulación y la mentira, así como la instigación a la violencia de minorías étnicas y religiosas, también mediante manipulación y mentira, están a la orden del día. Es lo que está sucediendo en Siria contra un grupo dirigente más acosado que nunca por haberse resistido a las presiones e intimidaciones occidentales y haberse negado a capitular ante Israel y a traicionar a la resistencia palestina.Pero volvamos a la primera guerra del opio, que termina en 1842 con el Tratado de Nankín. Es el primero de los «tratados desiguales», es decir, impuestos con las cañoneras. Al año siguiente le llega su turno a Estados Unidos. También envía cañoneras para arrancar el mismo resultado que Gran Bretaña e incluso algo más. El tratado de Wanghia (en las proximidades de Macao) de 1843 sanciona el privilegio de la extraterritorialidad para los ciudadanos estadounidenses residentes en China: aunque cometan delitos comunes, se sustraen a la jurisdicción china. El privilegio de la extraterritorialidad, evidentemente, no es recíproco, no vale para los ciudadanos chinos residentes en Estados Unidos. Una cosa son los pueblos colonizados y otra muy distinta la raza de los señores. En los años y las décadas posteriores, el privilegio de la extraterritorialidad se amplía a los chinos que «disienten» de la religión y la cultura de su país y se convierten al cristianismo (con lo que teóricamente pasan a ser ciudadanos honorarios de la república norteamericana y de Occidente en general).También en nuestros días el doble rasero de la legalidad y la jurisdicción es un elemento esencial del colonialismo: los «disidentes», es decir, los que se convierten a la religión de los derechos humanos tal como es proclamada de Washington a Bruselas, los Quisling potenciales al servicio de los agresores, son galardonados con el premio Nobel y otros premios parecidos después de que Occidente haya desencadenado una campaña desaforada para sustraer a los premiados a la jurisdicción de su país de residencia, campaña reforzada con embargos y amenazas de embargo y de «intervención humanitaria».El doble rasero de la legalidad y la jurisdicción alcanza sus cotas más altas con la intervención de la Corte Penal Internacional (CPI). Los ciudadanos estadounidenses y los soldados y mercenarios de barras y estrellas repartidos por todo el mundo quedan y deben quedar fuera de su jurisdicción. Recientemente la prensa internacional ha revelado que Estados Unidos está dispuesto a vetar la admisión de Palestina en la ONU, entre otras cosas, para impedir que Palestina pueda denunciar a Israel ante la CPI: sea como sea, en la práctica cuando no en la teoría, debe quedar claro para todo el mundo que sólo los pueblos colonizados pueden ser procesados y condenados. La secuencia temporal es de por sí elocuente. 1999: a pesar de no haber obtenido autorización de la ONU, la OTAN empieza a bombardear Yugoslavia; poco después, sin pérdida de tiempo, la CPI procede a incriminar, no a los agresores y responsables del quebrantamiento del orden jurídico internacional de facto establecido tras la II guerra mundial, sino a Milósevich. 2011: violentando el mandato de la ONU, lejos de preocuparse por la suerte de los civiles, la OTAN recurre a todos los medios para imponer el cambio de régimen y hacerse con el control de Libia. Siguiendo una pauta ya ensayada, la CPI procede a incriminar a Gadafi. La llamada Corte Penal Internacional es una suerte de apéndice judicial del pelotón de ejecución de la OTAN; se podría incluso decir que los magistrados de La Haya son como curas que, sin perder el tiempo consolando a la víctima, se esmeran directamente en legitimar y consagrar al verdugo. Una última observación. Con la guerra contra Libia, en el ámbito del imperialismo se ha perfilado una nueva división del trabajo. Las grandes potencias coloniales tradicionales, como Inglaterra y Francia, valiéndose del decisivo respaldo político y militar de Washington, se centran en Oriente Próximo y África, mientras Estados Unidos desplaza cada vez más su dispositivo militar a Asia. Y así volvemos a China. Después de haber dejado atrás el siglo de humillaciones que empezó con las guerras del opio, los dirigentes comunistas saben que sería insensato y criminal faltar por segunda vez a la cita con la revolución tecnológica y militar: mientras libera a cientos de millones de chinos de la miseria y el hambre a los que les había condenado el colonialismo, el poderoso desarrollo económico del gran país asiático es también una medida de defensa contra la permanente agresividad del imperialismo. Quienes, incluso en la «izquierda», se ponen a remolque de Washington y Bruselas en la tarea de difamación sistemática de los dirigentes chinos, demuestran que no les preocupan ni la mejora de las condiciones de vida de las masas populares ni la causa de la paz y la democracia en las relaciones internacionales.

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