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Dalle origini di venezia all’elezione del primo doge

Da Lelephotographer @lelephtographer

DALLE ORIGINI DI VENEZIA ALL’ELEZIONE DEL PRIMO DOGEMolti storici, nel tentativo di collegare il sorgere di civiltà veramente splendide, come quelle di Roma e di Venezia, alle nobili origini delle prime genti, si affidarono spesso alla fantasia e al mito a tutto discapito della verità storica.
Sembra comunque che alla caduta di troia (XII° sec. a. Cr.) si sia verificato un generale movimento di popoli dalle regioni dell’Asia Minore verso le coste adriatiche.
In particolare gli Héneti o Eneti avrebbero iniziato a migrare dalla loro terra di origine situata presso le coste del Mar Nero.
Dopo una lunga migrazionegli Héneti si sarebbero infine stabiliti lungo le rive occidentali e settentrionali dell’Adriatico.
La Maggior parte degli storici riconosce che solo intorno al secolo VIII° sec. a. Cr. i “Veneti” abbiano definitivamente preso sede in Italia, nella regione che poi da essi prese il nome di “Venetiae”.
Grande importanza marittima, in epoca romana, doveva avere un notevole centro posto ai margini della laguna nord: Altino.
Esso era raggiungibile soltanto per via lagunarema con la costruzione della Via Annia, sempre in epoca romana, poteva essere collegato alla città di Padova anche per via di terra.
Nel 697 il Patriarca di Grado, Cristoforo, riunì in Eraclea i tribuni delle diverse comunità lagunari e li convinse che per il bene generale era necessario eleggere un unico capo per l’amministrazione e la difesa comune.
Venne così stabilito di eleggere un Duca (Doge). La scelta cadde su Paolo Lucio Anafesto, cittadino di Eraclea.
La sede del governo sino al 742 rimase ad Eraclea.
Nel 742 il Doge Deodato Ipato prese sede a Malamocco che rimase, per circa settantanni (810) la capitale dei Veneti.
A partire da quell’anno la sede dogale fù stabilita a Rivoaltus.
Nell’812, con il famoso patto di Aquisgrana, Carlo Magno riconosceva lo stato di sovranità alla Confederazione Veneta.
Uno dei tanti motivi che fecero cadere su Rivoalto la collocazione della nuova sede dogale, potrebbe essere rappresentato dal progresivo insabbiamento delle bocche lagunari superiori che compromise la “portualità” di Torcello e di Altino.
Un’altra ragione che spiegava il trasferimento della sede dogale a Rivoalto era rappresentata dalla maggior sicurezza dovuta agli ampi specchi acquei che circondavano le isole Rivoaltine e la cui profondità era sconosciuta ai potenziali nemici stranieri.
A vantaggio di Rivoalto possono infine essere intervenute ragioni di salubrità dell’aria, poichè i fiumi Sile e Piave, che sfociavano allora nella laguna nord, ne intorbidavano le acque favorendo il diffondersi della malaria.
Agnello Partecipazio fù il primo Doge che prese sede nelle isole Rivoaltine dando impulso a quella “Civiltas Rivoalti” o “Urbis Venetiarum” che solo verso il XIII° secolo prenderà il nome di Venezia.
Gli avvenimenti storici successivi alle invasioni barbariche e le mutazioni geografiche e climatiche, spinsero dunque gli abitanti delle lagune alla edificazione di un nuovo nucleo abitativo che nei secoli successivi prese il nome di Venezia, ma che allora veniva chiamato Rivoaltus, mentre San Nicolò di Rialto era il nome del suo porto.
Il nome di Venetiae stava invece ad indicare l’insieme delle comunità del litorale da Cavarzere a Grado.
Si sviluppò, in seguito, un tipo di civiltà che non potrà mai più diventare modello da imitare data l’irripetibilità dell’ambiente e delle situazioni storiche.
Se si considera la grandezza raggiunta da Venezia nel periodo della sua maggior gloria e la si raffronta con l’umiltà delle sue origini, non si riesce a comprendere come un tale insieme di potenza, di arte e di civiltà, possa essere sorto quasi dal nulla.
A quell’altissimo livello si giunse certamente per gradi, partendo però dall’essenza umana di quelle genti che doveva sicuramente essere di prima scelta.
La loro forza naturale e la loro innata tenacia aumentarono nel corso dei secoli assieme alla sagacia e alla prudenza in un contesto storico e geografico in cui debolezza e stoltezza sarebbero stati fatali alla loro sopravvivenza.
Il contatto con i romani li aveva ulteriormente inciviliti, il Cristianesimo aveva dato loro quei caratteri spirituali, religiosi e di devozione che pervasero la loro vita sociale e politica conferendole uno stile tutto particolare.
Accrebbero virtù e sagacia nella lotta contro il mare, grande forgiatore d’uomini, che ne indeboliva i tenui lidi.
Strapparono alla laguna le terre emerse su cui far sorgere i loro villaggi.
Protessero con ogni mezzo le “fundamenta”, in una lotta incessante contro un nemico implacabile.
Il possesso del mare e la loro assoluta indigenza li spinsero all’unica attività alla quale potevano accedere e che gia conoscevano: i traffici marittimi.
Venezia diventò ponte tra l’Oriente e l’Occidente.
I commerci attraverso il mare e lungo i fiumi recarono le prime ricchezze oltre ad un nuovo bagaglio di conoscenze e di esperienze.
I nuclei abitativi si ampliarono, la flotta mercantile crebbe al pari di quella militare.
Un grande spirito di unità e protezione reciproca creò la piccola nazione.
La dura disciplina che il mare impone indirizzò le menti di quel popolo, alla sagacia e al buon senso. Lo rese fedele al principio di ottenere il miglior risultato con il minimo delle complicazioni; sviluppò in esso un alto senso diplomatico.
Essi non cercarono la vana soddisfazione di ampliamenti territoriali preferendo ottenere la padronanza degli scali commerciali ed il monopolio ddei mercati con una politica accorta e intelligente sia verso l’Impero d’Occidente, ripristinato da Carlo Magno, sia verso quello d’Oriente che aveva sede a Bisanzio (Costantinopoli).
La loro azione fu ad un tempo di equidistanza e di blanda sudditanza ma anche di impegno militare e di coordinamento contro i comuni nemici.
Ciò valse loro la benevolenza e l’appoggio dei due grandi imperi sino al giorno in cui la sua potenza fu tale che Venezia potè fare a meno dell’uno e dell’altro.
La partecipazione alla Quarta Crociata determina per Venezia la definitiva affermazione come potenza marinara sia mercantile che militare.
Qunato segue ci permette di conoscere il livello ormai raggiunto (siamo nel 1202) dalla potenza di Venezia che, in cambio di 85.000 marchi d’argento, si impegnava a fornire questi servizi: “Noi vi daremo vascelli bastanti per trasportare 4.500 cavalieri e cavalli, 9.000 scudieri e 20.000 pedoni con le provviste necessarie per un anno, dal di che usciremo dal porto di Lido…”.
Nell’ottobre del 1202 un’armata di oltre 200 navi spiega le vele verso la Dalmazia partendo dal porto di Lido.
Precedeva tutti la Galera colorata di rosso e pavesata a festa del Doge Enrico Dandolo pressoché ottuagenario e quasi cieco, incarnazione dello spirito mercantile e guerriero dei veneziani del suo tempo.
Brillante cronista della Quarta Crociata che, contrariamente alle intenzioni di Papa Innocenzo III°, deviò dal suo percorso verso la Terra Santa e prese Costantinopoli, fù il Maresciallo francese Goffredo De Villehardouin.
Egli descrive l’uscita delle navi, con a bordo i Crociati, dal porto di San Nicolò di Lido dicendo che mai si era vista salpare una flotta più bella.
In epoca medievale la tradizionale foce portuale attraverso la quale si svolgeva il traffico mercantile e militare di Venezia era quella di San Nicolò di Lido.
Il sistema lagunare, apparentemente perfetto nella sua naturalezza, era però sottoposto ad un incessante lavorio degli elementi idrodinamici che lo governavano.
Enormi banchi di sabbia, che i fiumi immettevano senza sosta al largo delle loro foci lungo la costa veneta, sia a Sud che a Nord della laguna, erano sottoposti ad un lento ma inesorabile slittamento lungo i litorali.
La sabbia, con il suo movimento, tendeva a modificare l’andamento delle foci portuali, incurvandole ed occludendole progressivamente.
La foce di San Nicolò subiva fortemente questo fenomeno di occlusione e i suoi fondali, che in origine dovevano raggiungere i -15 piedi (1 piede veneto = 34,7 cm.), comunque sufficienti per il passaggio delle navi mercantili più grosse, a partire dalla fine del 1300 cominciarono a destare serie preoccupazioni per la loro progressiva riduzione.
Ma come erano fatte e che dimensioni avevano le antiche navi veneziane?
Fin dal sorgere della potenza marittima di Venezia le navi del dogado si dividevano in due categorie:
Le navi tonde e le navi lunghe.
Le prime erano generalmente mosse dalla forza del vento, le seconde dalla forza del vento e dai remi.
In un manoscritto del 1311 conosciuto sotto il nome di Zibaldone Da Canal è illustrata la figura di una nave “tonda” a due alberi armata con vele latine, cioè triangolari.
Queste vele erano allora molto diffuse in mediterraneo poichè permettevano di stringere il vento anche se esigevano la presenza di un equipaggio molto numeroso e ben addestrato alle manovre.
Questa nave del 1300 ha ancora i timoni laterali doppi o singoli costituiti da grandi remi. Lo scafo è provvisto di numerosi bottazzi sovrapposti al fasciame esterno per proteggerlo da urti e aumentarne la robustezza complessiva.
Notevole è l’albero di prora, fortemente inclinato in avanti.
Gli alberi sono provvisti di coffe o “chebe” di forma cilindrica che non hanno solo la funzione di avvistamento ma anche di punto elevato da cui lanciare frecce, giavellotti, sassi contro eventuali nemici.
Nel corso del 1400 avviene un progressivo cambiamento del tipo di velatura delle navi tonde.
Si passa dalla vela latina alla vela quadra. Anche la nave, con il timone al centro, assume dimensioni più grandi. Appare la silhouette di una “Cocca” con la prua panciuta e molto elevata rispetto al livello del marino.
Le Cocche rappresentano le classiche navi del 1400 che contribuirono enormemente allo sviluppo del Rinascimento e crearono le grandi ricchezze di città come Genova – Pisa – Firenze – Lucca – Venezia.
Queste navi presentavano approssimativamente le seguenti dimensioni:
Lunghezza = 26 mt. – Larghezza = 8 mt. – Altezza del ponte dalla linea di chiglia di circa 6 mt.
Considerando un pescaggio medio di circa 4,5 mt. a pieno carico possiamo calcolarne il corrispondente disloccamento che risulta essere di circa 850 Tonnellate di stazza.
Le vele vengono issate con bozzelli e paranchi e sulle coffe si portano giavellotti e frecce come armi di difesa.
Vi erano poi le “navi lunghe” spinte dalla forza dei remi e del vento sulle vele latine.
Erano comuni a tutto il bacino del Mediterraneo. Il loro impiego era in genere militare ma potevano essere usate sia come navi da commercio che come scorta ai convogli mercantili.
Aveva cinque uomini ad ogni remo, i quali vogavano al ritmo di un tamburo posto a poppa. La passerella centrale veniva percorsa dai guardiani che frustavano, all’occorrenza, i vogatori.
Per avere un’idea della loro grandezza basti pensare che la Capitana di Francesco Morosini (1694) era lunga più di 50 mt. e larga 12 mt. Disponeva di 60 remi lunghi 12 mt. e manovrati ciascuno da otto uomini.
Come abbiamo già visto, al fiorire della civiltà del Dogado e cioè intorno ai primi due secoli del primo millennio, il principale ingresso portuale per le navi dirette a Venezia era rappresentato dalla foce di San Nicolò di Lido.
A questa foce, vitale per il suo traffico mercantile, la Serenissima guardava con preoccupata attenzione.



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