A monsignor Angelo Ficarra, da più di dieci anni vescovo di Patti, il segno dei tempi nuovi fu dato da una lettera anonima. Accompagnava un articolo dell’Osservatore romano in cui si celebravano, nel decennio della morte, le virtù del cardinale Bisleti; e segnato in rosso questo passo: “Splendente esempio di vita sacerdotale, il Cardinale fu particolarmente sensibile ai problemi dell’educazione del Clero, che egli sognava santo ed eroico, e fu inesorabile nell’impedire l’accesso al Sacerdozio di coloro che egli giudicava indatti”.Per scrivere questo breve racconto Sciascia si è basato su un carteggio reale intercorso tra il vescovo di Patti, monsignor Angelo Ficarra, e i vertici della curia, la Sacra Congregazione Concistoriale.
Oggetto delle lettere, la prima scritta nel 1949, in seguito alle elezioni provinciali, lo scarso appoggio del vescovo alla campagna elettorale della Democrazia Cristiana. Che, appunto, aveva perso nel 1946 le amministrative a Patti e negli altri comuni a discapito di altre liste popolate da Massoni, comunisti, atei (ed era stato subito attaccato in modo subdolo sui giornali e da lettere arrivate anche ai suoi superiori).
Monsignor Ficarra subisce un piccolo processo di staliniana memoria: deve difendersi da accuse che si basano sul nulla. Semplicemente, Ficarra non aveva capito (prendendo alla lettera la sua missione) cosa significasse l'attività pastorale di un vescovo in terra siciliana.
La Sacra Congregazione, nella persona del cardinal Piazza, invia una dopo l'altra una serie di lettere in cui chiede conto dello stato della sua diocesi; Ficarra viene invitato, per il suo stato precario di salute (cosa non vera) a farsi da parte, a nominare un sostituto.
Ma il vescovo di Patti, forse intuendo di subire una ingiustizia (se gli avessero chiesto direttamente di dimettersi forse l'avrebbe fatto), rinvia ogni volta la scelta. Accetta che la Sacra Congregazione gli affianchi un vescovo ausiliare, come coadiutore.
Cosa che, nonostante Ficarra non ne abbia bisogno, avviene nel 1952, col monsignor Pullano.
La vicenda, che ha del surreale termina nel 1957 quando con un ulteriore lettera, dopo aver riconosciuto il vescovo ausiliare come amministratore apostolico sede plena (praticamente esautorandolo del tutto), la congregazione comunica a Ficarra la sua nuoova sede, nominandolo arcivescovo titolare di Leontopoli di Augustamnica, conferendogli un titolo puramente onorifico, come è appunto per i vescovi in partibus infidelium.
Nella terra degli infedeli.
"Ma dalle parti degli infedeli, non nominalmente ma a tutti gli effetti, monsignor Ficarra c'era già stato".
Dalle parti degli infedeli è una sorta di apologo (basato su un racconto vero e sul carteggio sulla cui divulgazione pesava la scomunica) sul senso di religiosità dei siciliani (e non solo), sui rapporti tra politica e religione. Sulla «refrattarietà dei siciliani alla religione cristiana», le cui innumerevoli forme di culto facevano pensare a Sciascia più ad una forma di superstizione che non a una religione.
Da wikipedia:
Nel 1938 fu richiamato dal cardinal Pacelli, il futuro Pio XII, per aver impedito la proiezione di un documentario sul viaggio di Mussolini in Sicilia, fedele al divieto di proiettare film durante le feste religiose.
Dopo la Liberazione, risultò particolarmente inviso agli esponenti locali della Democrazia Cristiana, che addebitavano alla mancata mobilitazione del clero la mancata affermazione dello scudocrociato nelle elezioni a Patti ed in altri comuni vicini.[3]
Nell'estate del 1950, fece scalpore la firma di mons. Ficarra in appoggio alla petizione pacifista contro la proliferazione nucleare (appello di Stoccolma) promossa dai Partigiani della Pace, guidati dal premio Nobel, e comunista, Frédéric Joliot-Curie. [1] [2] Essa sembrava infatti in aperta violazione della scomunica di Pio XII verso i comunisti, e il divieto ad appoggiarne le associazioni da essi organizzate "anche se camuffate sotto altri nomi".
Come raccontato da Leonardo Sciascia nel saggio Dalle parti degli infedeli, la Sacra Congregazione Concistoriale, allora presieduta dal card. Piazza, chiese invano le dimissioni di mons. Ficarra, ufficialmente a causa di un testo (peraltro inedito) nel quale il vescovo sottolineava gli aspetti paganeggianti della religiosità dei siciliani, attaccati agli aspetti rituali del culto.[4] Secondo taluni, dal saggio trasparivano le simpatie del presule per le tesi moderniste, suffragate peraltro dalla fitta corrispondenza avuta in gioventù con Ernesto Buonaiuti, esponente di spicco del modernismo italiano e per questo motivo scomunicato.
La Sacra Congregazione pose quindi sotto tutela il vescovo, cui fu affiancato un ausiliare non richiesto, nella persona di mons. Giuseppe Pullano (1953), che nel 1955, non decidendosi a dimettersi il Ficarra perché convinto di non avere colpe, venne nominato amministratore apostolico sede plena; il che significa che Ficarra, pur restando in sede (sede plena), era del tutto esautorato, perché Pullano reggeva la diocesi direttamente a nome del Papa.
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