E' davvero necessario?
La TV che posseggo da appena un mese mi regala grandi soddisfazioni. Come capitare, un sabato pomeriggio, su un programma che si chiama Dance Moms.Mia mamma lo definirebbe efficacemente "un'americanata". Ma siccome, purtroppo, l'America è più vicina di quanto pensiamo, la riflessione ha una sua validità culturale anche nella Vecchia Europa.
Il format è ovviamente quello del reality. Delle bambine che ad occhio e croce non superano l'età della quarta elementare frequentano un'esclusiva - pare - scuola di danza. La scuola è diretta dalla cicciona quanto carismatica Abby, che applica metodi educativi mirati a trasmettere alle fanciulle un solo imperativo: eccellere. Voglio mettere le ragazze sotto pressione, confessa la perfia Abby alle telecamere, negli occhi le scintille di entusiasmo statunitense per la iper-produttività-insensatamente-competitiva. Per capire se annegano o stanno a galla.
Così tra un dentino che cade e qualche lacrimuccia - repressa con durezza dall'inflessibile Abby - le (quasi tutte) bionde (più una di colore per il politically correct) bambine si muovono sinuose al ritmo di "I'm a sexy girl". Ma dove sono le loro madri, viene da chiedersi. E qui il bello del reality, che vede come partecipanti attive un gruppo di quarantenni dalle mèches fantasiose e gonfiate dal botox, che passano il tempo a pugnalarsi perfidamente e vicendevolmente nella schiena dietro le quinte.
Per quanto obbrobrioso, Dance Moms apre dibattiti educativi e filosofici importanti.
Dibattito numero uno: è giusto far ballare a delle bambine con l'apparecchio ai denti "I'm a sexy girl"? E incoraggiarle a una serie di mossettine ammiccanti di cui non hannno alcuna idea del significato? A occhio e croce, secondo me no. E non mi pare neanche una questione su cui soffermarsi tanto a dibattere.
Più interrogativi li apre il dibattito numero due: la durezza spietata di Abby farà bene alle bambine? E' meglio la mamma tenera, che quando la figlia piange manda Abby a stendere e la porta a casa, o la mamma dura, che manda la figlia al saggio senza accompagnarla e le dice semplicemente di fare del suo meglio?
Riuscirà la bambina numero uno ad essere una lavoratrice produttiva, a spingersi sempre un pezzettino più in là, a porsi sfide continue, come esige questo grande mondo moderno? O diventerà un'artista squattrinata, o una parrucchiera indebitata che - orrore - è contenta così? E la bambina numero due, si ritroverà da grande a sgobbare per ingrassare i bilanci i qualche consultancy nella pia illusione che la carriera e la carriera solamente nobiliti la donna (e l'uomo)?
Insomma, la domanda è quale tipo di educazione ci prepari meglio alla vita.
L'indulgenza (semplifico: molto italiana) che ti insegna ad ascoltarti, ad assecondarti, a lodarti per le piccole vittorie e ad assolverti per il fatto di essere umano?
O la ferrea disciplina (semplifico: anglossassone) per cui "le lacrime te le tieni per quando sei a casa tua e fuori ti devi sempre spingere spingere spingere ad eccellere?" Per cui il paletto va semore spostato un po' più in là?
Ma l'eccellenza, poi, è così importante? Ed è importante per far sentire bene un individuo nella realizzazione delle sue piene potenzialità, o è importante per il sistema produttivo che ti attende al varco terminati gli studi?
Ecco, credo che molti professionisti 24/7 con il burn-out alle porte riflettano troppo poco su questa semplice domanda.