Daniel Menche di solito è una sicurezza. Lui si definisce “abstract sound musician from Portland Oregon”, per me semplicemente è molto bravo a pescare sia dal noise sia dall’ambient, sovrapponendo livelli su livelli di suono, ottenuti da strumenti come da field recordings, che formano lunghe tracce ipnotiche, gravide di qualche colpo di scena e capaci anche di ferire (sentire Beautiful Blood o Unleashed, realizzato assieme a un’istituzione del Rumore, Zbigniew Karkowski). Anche negli ultimi anni ha messo in circolo tantissima roba, sviluppando dischi intorno a registrazioni di cascate o a quelle di un gamelan indonesiano (il buon Marriage Of Metals, uscito per Mego quasi in contemporanea con questo Vilke). Chi lo segue sa che – oltre a essere il padrone di un cane della Madonna – è un grande camminatore/esploratore: qui, per fare un disco dark ambient, gli viene in mente di manipolare i versi dei lupi, raccolti durante le sue escursioni. L’idea è molto banale: se non fosse Menche, in molti forse lascerebbero subito perdere. Si possono tirar fuori dalla scatola della memoria il ringhio iniziale di By The Throat di Ben Frost, già fastidioso qualche anno fa per il suo didascalismo, ma frugando si troverebbe questo stratagemma anche in qualcuno dei dischi storici di Shinjuku Thief, e chissà in quanti altri. L’ipotesi è che Daniel trovasse troppo plasticosi i suoi colleghi e che dunque – in ossequio alla filosofia dietro ai suoi lavori recenti, ai quali prima s’accennava – abbia voluto cimentarsi con una soluzione “classica” e tentare un reboot. Però stiamo parlando di un’ora e venti che gira intorno quasi sempre alla stessa trovata, su cui tutto è costruito con un po’ troppo mestiere.
Il packaging favoloso di Sige non vale la candela.
Tracklist
01. Part 1
02. Part 2
03. Part 3
04. Part 4