“Vi siete mai chiesti quand’è stata la prima volta che avete sentito la parola felicità? Che qualcuno vi ha domandato se eravate felici, l’esatto istante in cui questo concetto è entrato nella vostra vita ed è diventato primario, fondamentale? Una specie di traguardo. Un orizzonte mobile, come quando sei al mare, e nuoti, nuoti, ma non arrivi mai. L’orizzonte sembra una riga avulsa ad ogni tuo tentativo di avvicinamento. Rammentate quando la felicità è diventata un dovere, uno dei tanti della vostra tabella di marcia, insieme a quello di lavarsi i denti e di mangiare le verdure?”
“La ricerca della felicità? E’ solo per gente tosta, gente che ha capito una cosa: bisogna concedersi sempre una possibilità”. O forse più di una.
Parola di Daniela Gambino, nata 44 anni fa a Palermo, scrittrice e giornalista, che ha dedicato il suo ultimo lavoro alla ricerca del benessere.
Si intitola “Ma tu sei felice?”, sarà pubblicato da Edizioni Passaggio il 3 ottobre prossimo. E’ un’indagine per capire a che punto siamo, dove stiamo andando in materia di felicità e come arrivarci più facilmente”.
Perché? “Semplice – replica: “Il concetto di felicità è sempre attuale, cambia continuamente, è una ricerca perpetua, poi, basta aprire Facebook, i post sono pieni di citazioni sulla felicità”.Ma cosa ha scoperto?
Che siamo condannati a una felicità imposta, bisogni indotti, che la ricerca vera è per gente tosta, che vuole chiedere a se stessa prima che agli altri.
Chi ha ha coinvolto?
Ho interpellato studiosi di mezzo modo, confrontando dati e ricerche in maniera virtuale, poi amici, scrittori, non tutti sono finiti nel libro. Ho intervistato anche Frate Alberto Maggi, per scrivere il capitolo su felicità e religione. E poi ho interrogato me stessa: io, come ho cercato la felicità?
Ce lo dica e ci dica quanto è felice!
Non so quantificare la mia felicità, però, col tempo e con fatica, ho imparato a cogliere alcune belle possibilità, che la vita mi offre. E non è stato proprio automatico. Leggendo il libro lo scoprirete.
Quanto è durata la sua ricerca?
Più di un anno e all’inizio è stata faticosa , perché il tema è immenso. Ho trovato una via da condividere con la mia generazione. Ci sono riuscita.
Cos’altro ha scoperto?
Oggi è molto difficile essere felici. Apro il libro con il capitolo: un’infelicità di genere, le donne – ma anche gli uomini – si confrontano continuamente con immagini mediatiche, che sono lontanissime dalla realtà, non tutte hanno gli strumenti critici per prendere le distanze. L’infelicità non è una questione di soldi. C’è una ricerca che cito: Per essere felici pare bastino 3500 euro al mese. Tutto sommato non è un traguardo irraggiungibile.
Beh, non proprio. Ma in fondo cosa ci manca?
Mancano i rapporti umani profondi. Non la profondità, intendiamoci, manca qualcuno capace di accoglierla. A volte, in questo mondo basato sull’apparenza, il dolore e il disagio diventano difficili da confessare persino a se stessi, si figuri quanto può essere tosto condividerli.
Chi è felice spesso oggi ha difficoltà a dichiararlo. Si teme l’invidia oppure si sta diventando masochisti e si pensa che in fondo il dolore sia l’unica via per accedere alla felicità?
Non è che la sofferenza sia una condizione basilare per raggiungere la felicità. La sofferenza è uno degli aspetti della vita, che bisogna mettere in conto. Pensare di cancellarla è impossibile, oltreché pericoloso: è dire io non ci sto, mi oppongo agli eventi biologici della vita. Ecco, si tende a scambiare la felicità con uno stato di benessere permanente, condizione impossibile. A questo punto qualsiasi malessere non è visto come naturale, ma come ostacolo alla felicità. Non è così, è accettare la coesistenza che può rendere tutto diverso.
Tosto è sapere accettare il dolore senza ribellarsi, ma guardando al futuro con speranza. E’ così?
Per organizzare un po’ di felicità, bisogna rendersi conto del punto da cui si parte, capire cosa abbiamo soffocato dentro di noi, quale creatività necessaria e quale relazione non abbiamo saputo approfondire.
Le donne più infelici degli uomini?
Non credo che le donne lo siano di più, forse lo manifestano di più, si mettono in discussione, gli uomini, lo vediamo continuamente, anche nelle cronache di questi anni, hanno difficoltà a chiedere aiuto, immaginarsi soli, gestire l’angoscia.
Sesso e felicità: cosa mi dice?
La relazione, come dicevo prima, è e rimane fondamentale. Non solo perché consente la prosecuzione della specie, ma perché entrare in relazione è la sfida più grande e appassionante di tutte. In questo caso rende felici. Poi dipende sempre da cosa un soggetto porta nell’intimità. Quali sono i suoi valori. Si dice sempre: “Siamo quello che mangiamo, quello che leggiamo, ecco, anche se Freud ce l’ha spiegato, nessuno dice apertamente: “Siamo anche il sesso che facciamo” – dirò di più – persino quello che non facciamo, che decidiamo di rimandare, che sogniamo – lì si riflette il nostro stato emotivo. È un microuniverso di scambi, un aspetto che non puoi ignorare”. La relazione umana, non solo sessuale, in senso più ampio, che sia entrare in relazione col singolo, in coppia, con un’intera classe, in senso più ampio, come fa un’insegnante, che sia il confronto con colleghi e familiari, è inevitabile. Siamo esseri connessi. Riuscire a far spazio alle istanze degli altri, senza dimenticare le nostre, è la vera sfida.
All’inizio del suo libro c’è il racconto dell’uomo senza camicia, ma contento, di Italo Calvino.
È una delle poche fiabe che ho letto, da piccola, che affronta il ruolo paterno. Di solito vedevo le madri preoccuparsi del futuro dei loro figli, sacrificarsi, ricorrere a magie. Calvino racconta un fiaba diversa, in cui il re, con i suoi soldi, fra virgolette, è un perdente e il povero un vincente. In quella storia, che vi invito a leggere, il ragazzo è tranquillo, la sua serenità è talmente radicata, che lui non la metterà in gioco. Quando il re lo interroga, noi sappiamo che è in pericolo, che potrebbe dire qualcosa che lo estrometterà per sempre dal suo stato di gioia – è il momento di tensione che crea Calvino – ma lui risponde senza indugio. È una fiaba possibilista, amo il re padre, lui se l’è giocata fino in fondo, voleva salvare il figlio, e credo che la felicità sia anche questo: concedersi sempre una possibilità.
Cinzia Ficco