La Cassazione riconosce nuovamente il danno «esistenziale». In caso di sinistro mortale ai congiunti superstiti si presume come voce di danno a prescindere da quello morale La morte di una persona cara costituisce di per sé un fatto noto dal quale desumere che i familiari più stretti hanno patito una sofferenza tale da cambiare la loro vita
Un importante inversione di rotta nella giurisprudenza della Suprema Corte, si spera definitiva, che s’inserisce nel dibattito giurisprudenziale e dottrinario circa l’ammissibilità di voci di danno diverse dal “biologico” e dal “morale”, seppure non autonome, nella categoria di quello non patrimoniale. Per tali ragioni Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, ritiene doveroso segnalare la sentenza 18659/13, pubblicata il 6 agosto dalla Corte di Cassazione. I giudici della terza sezione civile, partendo dall’assunto che il danno esistenziale non costituisce una «categoria autonoma» di pregiudizio non patrimoniale, ma resta comunque «un sintagma ampiamente invalso nella prassi giudiziaria», ritengono che questo tipo di lesione dev’essere risarcita ai congiunti della vittima del sinistro stradale anche se in loro favore è stato riconosciuto anche il danno morale, laddove quest’ultima voce non sia espressamente estesa anche ai profili relazionali, ma risulti limitata a compensare il patema d’animo conseguente al sinistro. In tal senso, gli ermellini rilevano una circostanza che dovrebbe ritenersi inequivocabile, ma che forse una giurisprudenza troppo restrittiva aveva escluso, ossia che la morte di una persona cara costituisce di per sé un fatto noto dal quale desumere secondo quanto stabilito dall’articolo 2727 del codice civile, che i parenti di chi è morto nell’incidente stradale hanno patito una sofferenza interiore tale da cambiar loro la vita e a indurli quindi a scelte esistenziali che diversamente non avrebbero compiuto. E nella causa per il risarcimento spetta al danneggiante dimostrare l’inesistenza di un pregiudizio siffatto. Nel dettaglio, é stato rigettato il motivo di ricorso incidentale proposto dall’assicurazione contro la liquidazione del danno esistenziale in favore di genitori e fratelli del giovane che era deceduto a causa di un’assurda gara fra automobilisti su una strada di provincia, sfida improvvisata alla quale era del tutto estranea l’incolpevole vittima. Nella fattispecie, risulta confermata la sentenza della Corte d’Appello che aveva riformato la sentenza di primo grado per l’appunto riconoscendo ai congiunti superstiti della vittima del sinistro anche il danno esistenziale. L’atto di citazione nel quale era stato richiesto il risarcimento di «tutti i danni», fra i quali quelli «materiali, biologici e morali» ha fatto rientrare anche quella voce nel petitum. In tal senso, stabiliscono i giudici del Palazzaccio, non conta che gli attori abbiano domandato soltanto in sede di conclusioni il cosiddetto “danno esistenziale”. É sufficiente chiedere prima il risarcimento di tutti i danni e poi specificare in corso di causa i peculiari aspetti che tali pregiudizi hanno assunto nel caso particolare. Bocciata, quindi, l’eccezione della compagnia assicurativa circa la mancata prova del danno esistenziale. L’uccisione di un parente a causa di un incidente stradale determina il danno non patrimoniale nei confronti dei prossimi congiunti. Significativa, peraltro, é la motivazione dei giudici di Piazza Cavour nello spiegare che la lesione del vincolo parentale viola il diritto all’intangibilità della sfera degli affetti reciproci e della solidarietà che connota la famiglia nucleare; si tratta, infatti, di un valore protetto dalla Costituzione laddove la comunità familiare costituisce il luogo dove si esplica la personalità di ciascuno attraverso la quotidianità della vita.In definitiva: il danno esistenziale costituito dall’alterazione delle abitudini di vita da parte degli stretti congiunti si presume, senza necessità di dimostrare caso per caso l’intensità dell’affetto. Ma v’é di più: doveva essere l’assicurazione a fornire la prova contraria.