Magazine Fantasy
oggi vogliamo condividere con tutti voi un regalo che la scrittrice Francesca Civiletti, autrice del romanzo fantasy
Il corvo e lo scorpione (la nostra recensione qui), ha voluto fare a noi de Il flauto di Pan.
Un racconto inedito intriso della magia delle fate!
DAOINE SIDHE
La sera in cui Gwendolyn Doyle oltrepassò il cancello di Elderberry Hill, la tiepida brezza estiva portava il profumo delle primavere odorose fin sotto il portico, dove si mischiava a quello delle rose che si arrampicavano per tutto il muro a est della grande casa di pietra.
Nel cielo era visibile una miriade di stelle, nonostante il plenilunio rischiarasse anche il prato e la superficie del mare, più giù, dove la collina si immergeva nell’acqua altrettanto verde.
La bellezza antica di quella proprietà, che dominava una delle più suggestive baie d’Irlanda, aveva fatto dimenticare a Gwen le quattro ore di aereo da Boston e un’ora di macchina.
Giunta sulla soglia della dimora, affittata per l’estate nella speranza di trovarci molta tranquillità e altrettanta ispirazione, la giovane scrittrice respirò profondamente il profumo inebriante dei fiori, girò la chiave nella serratura, afferrò la valigia e finalmente entrò.
Niente luce. Poco male: attraverso le grandi finestre ogivali la luna rischiarava abbastanza da intravedere le scale che portavano di sopra, alle camere.
E per ora, un letto era tutto ciò che Gwen desiderava.
“Tieni aperto, tieni aperto! Di passar devo esse certo! Nessun sasso, nessun masso impediranno questo passo.
Come vento sulle cime, come onde sulle rive,
investiam il sorbo forte, scaviam grotte fonde e torte.
Gnomo, elfo, fata e nano: questa via noi percorriamo!
Pixie, Nixie, Bogie o Phooca: stai attenta a dove sbuca!
Se appartiene all’Altromondo, ogni essere errabondo
Piota, Bogle, Puck o Strega al richiamo non si nega.
Per ballare e fare festa c’è una via ed è proprio questa.”
La mattina seguente, la governante arrivò di buon ora fischiettando. Non ebbe nemmeno bisogno di bussare. Trovò la porta di casa aperta e la nuova inquilina già sveglia al lavoro, tra fogli svolazzanti, libri e il suo portatile, seduta alla scrivania: un antico scrittoio inglese intarsiato, con applicazioni di bronzo dorato a motivi floreali. Guardava una grande vetrata che si affacciava sul giardino posteriore della casa: un esplosione di campanule viola tra l’erba rigogliosa, macchiata qua e là da ciuffi di iperico. Questa visione sembrava aver incantato la giovane romanziera che, invece di battere sui tasti del suo computer, aveva lo sguardo perso nemmeno fosse al cospetto di una tela di Monet. “È permesso? Sono Betty Malone, la governante.”
Gwen sbattè finalmente le palpebre e prese fiato, come appena destata da un sogno a occhi aperti.
“Entra pure!” Rispose scattando in piedi dalla sedia. “Gwendolyn. Piacere di conoscerti.” Porse a Betty la mano con un gran sorriso.
“Interrompo l’ispirazione? Lei scrive, mi hanno detto…”
“Chiamami Gwen. Non preoccuparti… l’ispirazione oggi latita: c’è qualcosa che mi distrae…” “Nessuno lo cura da quando i proprietari non abitano più qui. Ma non è una meraviglia?“ disse Betty indicando con il mento il giardino, oltre la porta a vetri. “Sarà che lo curano le fate…”
“Come?” Si stupì Gwen.
“Le campanelle! Un bosco di campanelle è di sicuro frequentato spesso da quelli del Piccolo Popolo. Così dice mia nonna.” Betty fissò seria Gwen, poi non si trattenne più e scoppiò in una risata contagiosa.
“Stavo per cascarci!” Ammise Gwen sorridendo “Perché non ci abitano più? È così bello qui…”
“A parte gli scherzi, signorina Gwen, qui in Irlanda sono molto superstiziosi. Specialmente gli anziani. Si racconta che Elderberry tolga il sonno a chi ci abita, e il senno… E che per questo i proprietari non vedano l’ora di venderla: come gli altri prima di loro.”
Betty fece spallucce come per prendere le distanze da certe credenze popolari.
“A proposito, come ha dormito questa notte?”
“Sono svenuta dal sonno. Ho solo questa dannata melodia in testa da stamattina… non se ne va, e non riesco a concentrarmi…”
“Capita.” Troncò Betty senza darci peso “Comunque io inizierei dalla camera da letto, così la lascio lavorare in pace. Le ho portato una crostata di fragole fatta da mia nonna. Gliela lascio in cucina. Ah! L’interruttore generale è là di fianco a quel mobile… è arrivata al buio, mi dispiace... Ha avuto paura?”
“Sono abituata a viaggiare da sola e non sono una fifona.” La rassicurò Gwen.
Quando Betty ebbe finito i suoi servizi, salutò la romanziera che si era trasferita a scrivere in giardino, perché aveva smesso di piovigginare e il sole splendeva indisturbato.
Non riuscì a buttar giù nient’altro che frasi senza senso. Di quelle che continuavano a ronzarle in testa insieme al motivetto invadente. Una specie di filastrocca che le sue orecchie avevano pescato chissà dove: “… investiam il sorbo forte, scaviam grotte fonde e torte… se appartiene all’Altromondo, ogni essere errabondo… Nixie
Bogie… Bogle… Strega… c’è una via…”
Non avrebbe combinato nulla per tutto il resto del giorno, per colpa di quella strana cantilena, perciò decise che sarebbe andata a farsi un giro per schiarirsi la mente.
Paura del buio, io! Pensava mentre solitaria se ne andava giù per la collina verso la profonda insenatura bagnata dal mare. Qua e là, in lontananza, solo qualche casetta, recinti per il bestiame, pecore per lo più; qualche asino e pochi cavalli.
La mia vera paura è di non riuscire a scrivere nulla di buono prima della fine dell’estate!
Appena fu fuori dalla boscaglia, ecco aprirsi davanti a lei un autentico capolavoro: le ondine lambivano la riva sassosa di una piccola baia limpida e, sulla destra al di là dell’erica, un rudere desolato di un castelletto svettava in silenzio sullo specchio d’acqua.
“Bellissimo.” Sussurrò dirigendosi verso le antiche pietre.
Ne esplorò i resti entrando e uscendo da quello che rimaneva di archi e porte, corridoi e scale. Giocò a passarci in mezzo come fa uno scoiattolo in un tronco pieno di cavità collegate tra loro, e poi si lasciò cadere esausta sull’erba a pancia in su a guardare le nuvole veloci
Ma sì! In quel posto così lontano dal resto del mondo l’ispirazione sarebbe presto arrivata
Riaprì gli occhi che ormai era buio e la luna piena la fissava sfacciata dal suo trono blu.
Qualcuno, chino su di lei, la stava scuotendo delicatamente!
“Svegliati mia cara… finché sei in tempo.” Il viso tondo e pallido della luna fu rimpiazzato da quello spigoloso e nobile di un uomo. La barba folta meravigliosamente curata, gli occhi scaltri e luminosi come quelli di un gatto che si crogiola nell’oscurità. “Secoli possono sembrarti attimi, se ti addormenti nel posto sbagliato.
Era una corona quella che gli cingeva la fronte
“Da dove vieni fanciulla?
“Da Elderberry Hill”. Rispose Gwen assonnata. Intorpidita. “Un altro luogo assolutamente sbagliato, mia signora. Specialmente nelle notti di luna piena. Fossi in te darei ascolto a certe voci, mia splendida creatura.
Così dicendo, l’uomo le accarezzò dolcemente il viso, poi si sollevò in tutta la sua possenza e, roteando la sua lunga mantella tenuta ferma da una spilla d’oro, scomparve nella nebbiolina umida della radura.
***
Un luogo “sbagliato”? Di sicuro Elderberry Hill si rivelò un posto estremamente “disturbato” per chi desidera prendere sonno: le porte scricchiolarono, le finestre sbatterono, il pavimento sembrò percorso da una cavalcata di esseri invisibili e fino all’alba un vento inspiegabile aprì e chiuse i libri che Gwen aveva lasciato sulla scrivania, sparpagliando ovunque tutti i fogli dei suoi appunti. Così accadde anche la notte successiva e quella dopo ancora, e Gwen, che era un osso duro, ragazza tutt’altro che impressionabile, che recuperava il sonno nelle ore mattutine e che aveva finalmente trovato l’ispirazione per il suo nuovo romanzo, si decise a raccontare quello che effettivamente accadeva di notte in quella casa all’unica persona che frequentava da quando era giunta in Irlanda
Betty Malone, nella sua graziosa e paffutella superficialità, dapprima non la prese sul serio, ma dopo che Gwen le ebbe mostrato i chiodi divelti di alcune assi sul pavimento e le disse dell’uomo misterioso che aveva incontrato giù al rudere, le assicurò che ne avrebbe parlato subito con sua nonna.
Chi era quell’uomo?
Cosa sapeva di Elderberry Hill?
E com’era affascinante! Né giovane né anziano, inspiegabilmente senza età.
Gwen era così immersa in questi pensieri prima di spegnere la luce e tentare di dormire, quando quella strana cantilena tornò a farle visita, in qualche parte recondita della sua mente.
Oppure proveniva da qualche angolo nel buio della stanza rischiarata dai raggi lunari?
“Che fortuna, che fortuna, sarà stato il chiar di luna sarà stato il tuo bel viso o nel sonno il tuo sorriso
se Finvarra si aggirava, oltre la collina cava
mentre tutta la sua corte, con la dolce sua consorte,
nel palazzo suo attendeva di omaggiar la luna piena.
È da un cerchio delle fate che le orecchie tue cullate
ti hanno fatta abbandonare ed infine addormentare.
Lui ti ha vista e ti ha svegliata, al di qua ti ha riportata,
ma dai retta al mio Gran Re: o la casa, o prende te!
Dopo un’altra notte insonne a causa del misterioso trambusto che ormai ogni sera allo scoccare della mezza investiva Elderberry Hill, per la prima volta da quando era arrivata alla Baia di Galway, quella mattina Gwen sentì squillare il telefono. Era Betty. “Mia nonna dice che devi rivedere quell’uomo” e fin qui, a Gwen la cosa piacque. “a patto, però, che tu rispetti alcune regole.” E questo compromesso le piacque meno.
Tuttavia, fece come nonna Malone le aveva consigliato: andò prima in città, dove acquistò delle rumorose campanelle che si legò con un nastro rosso alle caviglie, e raccolse dell’iperico in giardino: se lo infilò in tasca insieme a un quadrifoglio e, al calare del sole, saltellò in uno scampanellio ininterrotto fino al luogo dove si era fatalmente assopita.
Qui, bellissimi funghi dal cappellino rosso punteggiato di bianco crescevano in cerchio.
Vi entrò, mangiò una primula, chiuse gli occhi e chiamò per tre volte: “Finvarra, Grande Re. Vorrei rivederti, torna da me!”
Quando riaprì gli occhi, l’uomo dalla bella barba, arricciolata come cavalloni prima di infrangersi sulla spiaggia, era davanti a lei: il suo bel mantello verde smeraldo, il diadema d’oro in fronte.
E la sua voce profonda vibrò nell’imbrunire.
“Sono qui, mia bella mortale, come tu hai desiderato”. Cinse la vita di Gwendolyn e la tirò a sé per baciarla. Fu grande lo sforzo di Gwen per non cedere alla tentazione, ma le parole di nonna Malone le echeggiarono severe nella testa “Finvarra ama le donne più del gioco degli scacchi e dei suoi splendidi cavalli: ma tu non dovrai accettare la sua corte e i suoi baci. Da un essere del Sidhe rifiuta anche cibo e bevande, perché possono condurre alla schiavitù!” “Mia signora, rispondo al tuo richiamo. Quale dubbio ti adombra il cuore?”
“Che cosa succede di notte a Elderberry Hill?”
Il Gran Re delle fate di Irlanda sciolse la sua stretta appassionata, accarezzò la guancia di Gwen e le passò un dito vellutato sulle palpebre. “Coraggiosa oltre che bella. Meriti di vedere…”
Gwen riaprì gli occhi, ma Finvarra era scomparso un’altra volta.
Tornò di corsa a casa risalendo la collina. La mezzanotte stava per scoccare!
E finalmente poté vedere ciò a cui nessun mortale può assistere, se non per volere del Gran Re del Sidhe: una scia luminosa di creature bizzarre dai colori sgargianti, bianchi cavalli con criniere fluenti, dame eleganti di fiori e foglie vestite, suonatori e ballerini con cappellini di digitale; rospi con ali di pipistrello, pietre ballerine, piote vaganti, silfidi esili come steli di viole, ricci con occhi fiammeggianti e code di lucertola; levrieri e falchi dal portamento fiero; e stendardi, uomini e fanciulle regali con corone e pennacchi in testa.
In una corsa sfrenata e compatta la luminosa processione, visibile a Gwen grazie all’unguento magico che re Finvarra le aveva cosparso sulle sue palpebre, scaturiva dalla sagoma scura di una collina al di là del bosco, attraversava gli alberi, i prati silenziosi e proseguiva sull’acqua sopra la baia e sfiorava il rudere sul mare: forse diretta al palazzo sotto la collina di Knockma?
Ed era solo una sporgenza del muro di Elderberry a intralciare il suo percorso!
Gwen vide. E capì che se il sentiero delle fate fosse stato lasciato libero, anche Elderberry lo sarebbe stata.
***
Il giorno seguente, la sporgenza del muro a est della casa, quello dove si arrampicavano le rose, fu abbattuta. E non ci furono più tremori, né rumori notturni, a Elderberry. Gwendolyn Doyle terminò “Daoine Sidhe” i primi di agosto e a settembre era già in vetta alle classifiche dei libri fantasy più venduti. Per la festa di Samhain, o Halloween che dir si voglia, aveva sottoposto la proposta di acquisto di Elderberry agli occhi increduli e contenti dei vecchi proprietari.
Prima di Natale ci si era già trasferita.
Nessuno sa se rivide più l’uomo dei suoi sogni.
L'autrice:
Francesca Civiletti è nata nel 1976 a Milano, ma il suo cuore è ancora a Dublino dove ha vissuto per un anno nel 2004, e iniziato la stesura de “Il corvo e lo scorpione”.
È copywriter freelance, e questo è il suo primo romanzo.
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