DARK SHADOWS (Usa 2011)
Regia di Tim Burton, musiche originali di Danny Elfman, Johnny Depp nel ruolo principale e Helena Bonham Carter in una parte secondaria: ci può essere qualcosa di più rassicurante per un pubblico cresciuto cinematograficamente negli anni Novanta? Non credo.
Parlando di qualità, invece, il discorso si fa un po’ più complesso.
Tim Burton, considerato un genio da mezzo mondo, per me è una mezza fregatura, un regista dal non eccessivo talento che, se non fosse per gli esordi (Edward mani di forbice e due Batman comunque nettamente inferiori per ambizioni a quelli di Christopher Nolan) e per Big Fish (secondo me il suo vero capolavoro), sarebbe considerato da tutti un weirdo qualunque, un po’ come, mutatis mutandis, Marilyn Manson in ambito musicale. Ma per nostra e sua fortuna quei film li ha effettivamente girati, e dunque siamo qui a parlare di un autore. Un autore dalle alterne fortune artistiche e commerciali, ma pur sempre un autore.
E Dark shadows?
Ah giusto, Dark shadows.
Sicuramente il suo film migliore da molti anni a questa parte. Certo, la trama è quella che è (un vampiro del XVIII secolo si risveglia nel 1972 e cerca di riprendere in mano le redini della sua famiglia, i cui affari da duecento anni vengono strozzati da una strega cattivissima che era stata pure la sua amante respinta e che per questo l’aveva trasformato in un non-morto), ma almeno a) non è un remake svogliato e poco creativo; b) non è un musical svogliato e poco creativo; c) non è un cartone animato che sarebbe stato magari anche molto carino ma sicuramente uguale identico ai due che effettivamente Burton ha fatto e d) non è Alice in Wonderland, sicuramente il punto più basso della carriera del Nostro.
Dark shadows è una commedia horror che si rifugia nel rassicurante (ed eccoci di nuovo lì: questo film non sarà un capolavoro ma è decisamente rassicurante) mondo burtoniano, quel luogo immaginario un po’ gotico e un po’ pop, buffo e inquietante insieme, nero e colorato allo stesso tempo, cui il regista ci ha da tempo abituati. Questa volta Burtonland si sposta nei primi anni Settanta, scelta che, grazie a un massiccio utilizzo di luoghi comuni, garantisce una certa dose di gag piuttosto stupide e divertenti sulle droghe, sul mondo degli hippie e sulla musica rock (c’è pure un cameo di Alice Cooper, “la signora più orrenda che abbia mai visto”, secondo il vampiro). Divertente (sebbene si tratti di un espendiente decisamente abusato nel mondo del cinema) anche lo spaesamento del protagonista di fronte alle novità tecnologiche e di costume proprie di un’epoca che non ha mai visto e a cui non è abituato.
Un film piacevole, al netto della futilità di fondo, il cui difetto maggiore sta forse in uno scontro finale a suon di mazzate tra streghe, fantasmi, licantropi e vampiri che, da un lato, è poco originale (ogni santo singolo film di supereroi o simili termina con uno scontro finale dove il bene in un modo o nell’altro trionfa e il male viene punito) e dall’altro, con il suo tono epico e drammatico, stride con il resto della pellicola, il cui andamento è decisamente più leggero e ironico. Belle le scenografie e le canzoni d’epoca (T.Rex, Black Sabbath, Moody Blues…), brave Eva Green e Michelle Pfeiffer, che al cinema nonostante la loro bellezza si vedono poco, abbastanza inutili i personaggi di contorno.
Alberto Gallo