Uno dei motivi per cui abbiamo accettato subito la proposta dei Rorcal di diventare media partner della prima edizione dell’Helvete Underground è che io andavo già mattissimo per gli headliner. La prima volta che sentii parlare degli svizzeri Darkspace fu un sacco di anni fa: tesseva le loro lodi Riccardo Conforti dei Void Of Silence. Del resto in entrambi i casi si parla di metal estremo e derive ambientali, oltre che di etichette italiane destinate a finire sui libri di storia per la loro capacità di vedere oltre (code666 e Avantgarde).
I Darkspace, misteriosissimi e laconici, sono due chitarristi (uno di loro è l’uomo dietro al progetto Paysage D’Hiver) e una bassista che si alternano al microfono per scagliare le grida di qualcuno che sta morendo davvero, ma davvero male. Niente batterista, al suo posto le macchine, per un tocco “industrial” a un black metal atmosferico che finisce per divenire tratto stilistico determinante, costringendo la band a muoversi “a folate”, di colpo e senza preavviso, infrangendo i soundscape cupissimi dei quali si circonda. Tutto ruota intorno a come il trio vede lo Spazio: si tratta di un discorso sviluppatosi negli anni internamente al black metal, sin dall’epoca di Samael, Arcturus, Covenant, e altri. Del resto molti recensori, anche vent’anni fa, scrivevano che le chitarre velocissime (quindi ferme) del genere potevano svolgere una oggi quasi scontata funzione ambient e che – unite al buio totale calato dal genere e magari a un certo uso delle tastiere – lasciavano pensare a qualcosa/qualcuno lanciato a tutta forza in qualche angolo remoto e senza stelle dell’universo. I Darkspace cesellano, di album in album, poche idee, ma in compenso fisse: titoli numerati, copertine nere con pochi richiami astronomici e campionamenti da qualche film classicissimo sul tema, soprattutto lo stesso identico sound, o quasi, come può permettersi di fare chi ne ha inventato uno suo e chi non ha fretta/bisogno di essere ogni giorno presente su qualche social network a far sentire una bozza su Soundcloud di qualche sua traccia nuova, sicuramente orribile.
Il quarto capitolo nella discografia dei Darkspace (il demo, di recente riedito con qualche elemento elettronico in più, ovviamente s’intitola “- I”), pubblicato da pochi giorni, è – niente di più, niente di meno – uno dei dischi migliori dell’anno in campo extreme metal e assicura al gruppo un posto nel pantheon rovesciato del genere. Rispetto al passato, percepisco un suono più denso, le accelerazioni, invece, sono ancora quelle di Bowman quando si avvicina a Giove e i rallentamenti sono sempre giocati come se ci stessero sul serio tenendo per i coglioni. Più catchy del solito il riff principale della seconda traccia, perfetto per l’headbanging, notevoli anche le basse frequenze lustmordiane dei frangenti rarefatti. Si chiude tradizionalmente, con un pezzo nel quale si sentono molto le tastiere violacee dei primi Emperor, un altro probabile chiodo fisso della band.
La settimana prossima loro saranno a Ginevra. Abitassi in Piemonte o in Lombardia, una gitarella me la sarei già programmata.
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