Mappa di prosociality, quindi… di Binghamton. (Cortesia Emma Marris)
“The Neighborhood Project: Using evolution to improve my city, one block at a time”non è il titolo di un articolo scientifico, ma di un libro, dell’ultima pubblicazione dell’antropologo David Sloan Wilson della Binghamton University. Per anni si è occupato di biologia evoluzionistica, e in particolare di come alcuni comportamenti quali la capacità di interazione e l’altruismo, che oggi sono certamente ritenuti caratteri “positivi” di ogni individuo, possano evolvere all’interno di una specie. E da questi aspetti ha poi studiato ciò che può derivare, cioè la capacità decisionale, la relazione comportamentale tra i due sessi, fino a certi eccessi quanto meno comunicativi del moderno gossip in società. Insomma, tutto quello che fa parte del nostro comportamento quotidiano.
Wilson ha inizialmente condotto questi studi volgendosi al passato, come punto di partenza per i suoi confronti comportamentali; ma intanto cresceva in lui il desiderio di vedere applicate le sue teorie agli aspetti più pratici e concreti della società attuale. Ha quindi avuto la brillante idea di crearsi un laboratorio cittadino, ponendo l’attenzione sulla comunità di Binghamton, poco meno di 50.000 abitanti nello stato di New York, una città nella quale lo stesso Darwin avrebbe vissuto con interesse. Da oltre cinque anni è in corso infatti un progetto cittadino volto ad applicare alcuni aspetti della biologia evoluzionistica, dimostrati “di successo” nel corso della Storia, nella vita di tutti i giorni. Binghamton non è certo una città che si fa amare, almeno oggi. Fondata agli inizi dell’Ottocento, si è sempre basata sulla presenza di grossi industrie, fra ci la stessa IBM che è proprio nata in questa zona. Ma dagli anni Novanta le cose sono andate male, molta gente si è spostata nelle zone più limitrofe e comunque i suoi cittadini non sono contenti di vivere lì.
Proprio questi microflussi migratori sono stati studiati da David Wilson. Nel suo laboratorio urbano ha iniziato a misurare la prosociality, cioè la capacità di socializzare, attraverso vari comportamenti di attenzione verso il prossimo; per fare questo il gruppo di ricercatori coordinati da Wilson ha distribuito questionari porta a porta, ha conosciuto e intervistato i cittadini di Binghamton, ha organizzato momenti di incontro nei quali venivano monitorati i comportamenti delle persone, libere di chiacchierare, ridere e spettegolare. Sono state quindi create delle mappe di prosociality che dimostrano come le persone con più spiccate capacità di socializzazione non siano equamente distribuite nell’area cittadina, bensì tendano a fare gruppo. Si vengono quindi a creare delle zone di massima interazione, circondate da aree di quasi deserto sociale. Perchè questo? Come ci insegna la scienza dell’evoluzione, è proprio un certo grado di altruismo fra le persone (che è quello che in fondo ci fa alzare la testa guardandoci intorno, e non concentrandosi solo su noi stessi) che aiuta e che permette di vedere altre persone, che si stanno a loro volta guardando intorno… Insomma, chi cerca (se cerca) trova, e questa aggregazione ha successo, perchè fa stare bene (magari, meglio di prima) e quindi attira altri individui. E perchè alcune persone dimostrano capacità di socializzazione maggiori di altre? Probabilmente, fattori genetici individuali, insieme a condizioni ambientali più o meno favorevoli (interessi comuni, relazioni già esistenti e altri aspetti), concorrono a creare atteggiamenti o comunque “desideri” comportamentali diversi in ognuno di noi. Tutto questo sta emergendo studiando la comunità di Binghamton; e certamente questa di Wilson è quella che si dice ricerca sul campo
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