Si è parlato addosso per un anno intero. E se ne scrivo adesso non è per celebrarne i successi o per giustificarmi di qualcosa con gli imbecilli che si divertono al mio blogging, e Dio sa quanti ce ne sono. Ne scrivo adesso per dire che Das Kabarett non mi basta.
Das Kabarett è e rimane la mia tentazione di qualcosa di compiuto, rimane un inseguimento, nient'altro che una rincorsa a tutto ciò che sono stato, a tutti gli strati che si sono depositati nel tempo. Non solo perché opto per un'attività critica di retrospettiva, che necessariamente è uno strabismo verso ciò che è compiuto, ma questo blog è una scia del mio passato e io guardo avanti. Da meno di un mesetto sto riimparando a guardare avanti, a sbarazzarmi della subordinazione e della servilità verso ogni struttura che mi ha incatenato, a guardare alle cose, non alle esperienze.
E io posso fare. Per questo Das Kabarett non mi basta più. Ho bisogno di credere di poter crescere ancora. Se penso alla stanchezza esistenziale che mi ha provocato quell'odioso dottorato - basta una battuta per risvegliarmi furioso - rimango perplesso di fronte alla reazione che mi ha provocato la sua fine: voler vivere la mia vita come se fosse normale, anonima e anodina. Se un regalo mi voglio fare per questo Natale è di rinascere in me più grande, più coraggioso, più forte.
A lavoro.
(Grazie, amici Coleporteurs!)