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Datemi un wormhole, ne farò un kolossal

Creato il 09 novembre 2014 da Media Inaf

INTERSTELLARChissà come ha fatto Kip Thorne (classe 1940) a diventare coproduttore di “Interstellar”. E’ un filmone con effetti speciali (alcuni bellissimi), molto costoso: 165 milioni di dollari. Conosco Kip come fisico teorico di valore stellare, certo, come super-esperto di buchi neri e come scrittore di testi-mattone sull’argomento, mentre la mia idea di produttore è basata su di un reddito o un patrimonio diversi da quelli che ci si aspetta da un fisico teorico.

In realtà, Kip ha una grande esperienza di comunicazione della scienza, anche attraverso film: per esempio, era la mente dietro il bellissimo “Contact”, nel 1997. Da tempo esiste, almeno in America, un modo di co-produrre film di grande successo mettendoci dentro non solo dollari, ma visione scientifica, a cominciare da “2001” (del 1968), dove la mente fisica era Arthur C. Clarke. E’ il modo giusto per fare i film di fantascienza, quelli veri, a cominciare dal primo, “Le voyage dans la Lune”, del 1902, nel quale Méliès mise il suo genio francese, ma dove lo script era di Jules Verne, e si vede.

Sicuramente, “Interstellar” diventerà un campione di incassi e prenderà molti Oscar (prevede Gloria Satta, che se ne intende), e quindi è da vedere, almeno perché qui l’impianto -scienza è solido, più di quello fanta-. Al contrario di “Solaris”(2002), per esempio, che aveva una vera base fanta-letteraria, assente o modesta in Interstellar.

La storia, o meglio il casus belli, per Interstellar, è la fame nel mondo per esaurimento risorse, seguita sia da un generale rifiuto della scienza, sia dalla inevitabile, ma segreta, ricerca di un altro mondo dove traghettare l’umanità. Non molto originale nè molto credibile, anche perché il mondo affamato che ci viene presentato sembra identico al Kansas di oggi, compreso il consiglio di darsi all’agricoltura invece di andare all’università. La descrizione di un mondo diventato invivibile era molto più efficace in “Elysium”(2013), per altri versi una boiata pazzesca, anche se distopica. Comunque, zac, i salvatori dell’umanità partono su di una astronave fatta più o meno di nascosto e via per pianeti lontani e bellissimi. Coraggio, bisogna crederci.

Per fortuna (o calcolo, non si capisce bene) proprio vicino a Giove i nostri eroi trovano la specialità di Thorne: un “wormhole”, un trucchetto della relatività generale, immaginato da lui e reso benissimo dalle simulazioni spettacolari del film. E’ una specie di tana di marmotta collegata ad un buco nero, e rappresenta un eccellente deus ex machina einsteiniano per portarci senza difficoltà su pianeti altrimenti irraggiungibili. E bisogna credere anche a questo, ma è più facile, perché questo è Kip Thorne al suo meglio, insieme con maghi del computer e immagini fantastiche.

E poi si arriva sui pianeti. Qui c’è l’effetto speciale di gran lunga più bello: un’onda gigantesca spazza l’oceano di acqua liquida che copre il pianeta dove sono appena atterrati, e dove sembrano muoversi in grande comfort, sciaguattando nell’acqua bassa con le loro tutine aderenti (ricordo di “Gravity”, che del film di fantascienza aveva solo gli errori..). La ondona in arrivo, grande come una montagna, fa paura e bisogna rientrare di corsa nell’astronave, che si dimostra ottima tavola da surf…Da vedere in IMAX, se possibile. A salvare la situazione, portando in braccio l’eroina, è il simpaticissimo robot di bordo, capace di contorsioni meccaniche come di slanci mentali. Chissà se danno l’ Oscar ai robot: lui se lo meriterebbe, anche per la recitazione.

Ma poi si deve tornare a casa, dalla adorata figlia dell’eroe della missione. Abbandonata da piccola, con strazio suo e del papà, la si ritrova invecchiata, anche qui per colpa di Einstein e degli scherzi della relatività. Poco prima, con struggente colpo di genio relativistico, si vede il papà che torna a casa prima di essere partito, e implora la figlia di non lasciarlo partire…un po’ complicato da capire, ma non impossibile da immaginare. E l’angolo di spazio-tempo dal quale il padre cerca di farsi sentire dalla figlia è un altro delizioso effetto speciale, credo pensato in omaggio ad Escher e alle sua geometrie impossibili.

E’ una delle molte citazioni del film, tra le quali sono particolarmente riconoscibili e azzeccate quelle a Kubrick e “2001”.

Fonte: Media INAF | Scritto da Giovanni Bignami


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