Gli artisti come ben sappiamo sono persone che vivono di estremi, assoluti. Conservano in loro lo scibile non ancora espresso, lo sfociano da bravi interpreti di sogni quali sono, e nelle loro creazioni vi è sempre un qualcosa di ben più della creazione stessa: vi è l’idea, l’archetipo divino a cui sono riusciti a far prendere forma.
Questa premessa calza a pennello per la figura di David Cage, visionario game designer, una delle figure più importanti del mondo videoludico moderno. A lui si devono molte delle conquiste che hanno portato il videogioco al livello narrativo che ora, finalmente, gli è definitivamente proprio. Creazioni come ‘Fahrenheit‘ e ‘Heavy Rain‘ sono state fondamentali per far svegliare dal torpore creativo molti publisher e molte case di sviluppo che, accortesi della possibilità di cinematizzare il videogioco, hanno inserito nei propri titoli sempre più quote di questi elementi così spiccatamente cinematographic oriented.
Ma, lo stesso sviluppatore, come ci è ormai chiaro dalle sue passionalissime periodiche interviste, con questo ambiente, anche se in costante evoluzione, non sembra trovarsi perfettamente a suo agio. Le resistenze dei publisher, le opinioni di una critica sempre abbastanza ferma sulle sue canoniche e poco elastiche valutazioni, l’utenza stessa – così ipnotizzata dai soliti marchi, brand, e dalla ‘shooting ossession’-, indispongono periodicamente l’autore che nel videogioco vede, da sue parole, ‘il medium più affascinante mai creato nella storia umana’.
Come dicevamo sopra Cage è un personaggio dalle posizioni estreme, una figura sicuramente ricca di amore, di passione verso il videogioco e dell’arte di cui si può fare portatore. Una figura di quelle che diciamocelo: fanno bene a questa industria. Basti pensare anche solo alle capacità latenti del corto ‘Kara‘ per averlo indiscutibilmente ben chiaro.
Tutto bene e tutto bello fino alla recente intervista rilasciata a Play Magazine dove sembra proprio che il buon David abbia deciso di farla fuori un po’ troppo dal vaso. Le parole sono forti, le critiche non moderate e sufficientemente qualunquiste, quasi volutamente ostinante. L’industria, dalla sua analisi, sembra fatta solo di prodotti pregni di violenza e il medium videogioco difficilmente si avvicinerà per raffinatezza e potenza semantica a medium come cinema e letteratura, sia a causa di un industria ormai troppo stantia, che di un’ utenza sempre e comunque decisamente immatura e ferma sulle solite richieste che l’industria stessa asseconda vorace.
Al sentire una voce del suo calibro parlare così piange davvero un po’ il cuore.
C’e da fare una premessa, nessuno ha le fette di salame sugli occhi: lungi dall’essere un ambiente perfetto, sicuramente molti dei punti sollevati trovano più di una minima parte di ragione. I modi e il tono volutamente estremizzato divorano però tutta l’altra parte, ponendo Cage in una situazione di evidente difetto, e fanno apparire queste uscite, che sarebbero potute divenire un buonissimo spunto di partenza, solo una lagna isterica fine a se stessa, uscita dalla bocca di chi si è accorto che l’ultimo lavoro svolto era tutt’altro che perfetto, o anche solo ben sviluppato (e non per demeriti di mezzi di sviluppo).
Non si può accusare al contempo un medium (tra l’altro assolutamente giovane), un’industria, una sfera di utenza, sottolineandone l’inadeguatezza ponendosi al di sopra delle parti, esponendo (spocchiosamente) la propria manifesta superiorità in maniera tutt’altro che obiettiva, prendendo solo i dati che più fanno comodo al proprio ragionamento, eclissando volutamente tutto ciò che lo porrebbe perlomeno in discussione.
Il solo paragone tra film e videogiochi è un paragone che è vero si va sempre più via via affermando (proprio in virtù della stessa rivoluzione da lui iniziata) ma l’accostamento eccessivo è un accostamento ingenuo. che non deve far perdere la linea di scisma tra due medium che puntando su due intenti netti e separati, trovano delle applicazioni che non sono accostabili e paragonabili. Dando invece il via a questo paragone si scade in un deprezzamento del videogioco che proprio da un game designer come lui non ci si sarebbe aspettati. Le meccaniche che lui indica come ‘frenanti‘ per l’espressione dei contenuti maturi di cui si vorrebbe far portatore sono le stesse che ‘premiano’ il videogioco e lo definiscono come tale, e questo è un fattore che non dovrebbe essere così semplicemente dimenticato.
Se Cage vuol fare il regista, lo dica, avrebbe porte aperte in qualunque salone hollywoodiano. Ma non pensasse che in quelle sale, la stessa industria non richieda a gran voce prodotti pregni di violenza, d’azione e di quant’altro ovviamente faccia gola al grande pubblico, relegando ad una fetta più piccola lo spazio dedicato a prodotti più di nicchia, più artistici, meno mass-oriented.
Come del resto nel videogioco stesso: ‘Journey‘ ‘Papo&Yo‘ ‘Brothers‘, sono solo alcuni dei titoli che mirando ad esprimere contenuti assolutamente ricercati (e che gli altri medium invidiano per come lo fanno) , nobilitano un industria che, per quanto giovane, sgomita nel gigantesco fatturato che smuove per proporre ad ognuno il prodotto che dalla stessa richiede, provando ad innovare e rinnovarsi lentamente, sia nei mezzi che nei contenuti.
Il modo, il mezzo, non frena assolutamente niente. Il fatto che alcuni elementi debbano essere inseriti ‘di forza’ (se proprio di forza vogliam parlare), è un aspetto che ogni medium ha e che ogni medium sa far proprio sfruttandone pregi e difetti: non c’è libro, non c’è film, che pur innovandosi e rinnovandosi nei modi e nei contenuti possa a fare a meno del l’essere fruito come film e come libro stesso.
Tantomeno, pur prendendo queste critiche per il loro lato benigno, non ci si può aspettare che il videogioco cambi da un giorno all’altro e diventi un qualcosa di diverso, anche perchè, e forse questo dovrebbe essere più chiaro, nessuno vuole che lo sia.
Tutti vogliamo un’industria che sappia essere però equilibrata, che dia al pubblico, ad ogni pubblico, il prodotto che richiede. Vogliamo divertirci ed emozionarci, senza fare a gara con quale prodotto meriti o meno di essere prodotto. Lo stesso The Last of Us, indicato come ennesima dimostrazione di un medium che per farsi notare deve per forza ricorrere alla violenza, è un prodotto che può emozionare quanto e forse più di un libro, di un film, e di ergersi a metro di paragone per le modalità con cui vengono trattati temi umanisticamente importanti pur senza rinunciare alla sua essenza di videogioco, di cui non si vergogna, e di cui assolutamente non si lamenta trovando anzi modo di farsene addirittura vanto.
Forse sono le parole di un artista che ha voluto portare su di sé un po’ di attenzione, forse sono le parole di un professionista che dopo tanti anni di permanenza nell’industria sente un po’ una fase di stanca ed una voglia di rinnovo. Forse.
La cosa certa però è che Tetris continua a divertire, To The Moon ad emozionare e Gone Home ad affascinare.
Per chi non sa cogliere queste cose ci sono sempre film, libri, fumetti.Il videogioco è un’altra cosa; e a noi, piace che rimanga tale.