Quello di Wimbledon non è uno stadio nel quale si disputa un evento sportivo, è un tempio nel quale si contempla la perfezione. In silenzio.
Per me la perfezione è sempre stata Stefan Edberg, con le sue volée straordinarie, il rovescio mozzafiato e quell’incredibile gioco di gambe. L’eleganza fatta persona, paragonabile solo ad altri gesti straordinari come il gioco di gambe e di piedi di Kurt Browning nella sequenza di passi. Gli anni 1988 e 1990, ma anche il 1991, con una semifinale persa perché evidentemente era destino che la perdesse ma che comunque rimane qualcosa da ammirare destano in me sentimenti molto forti. Qualcuno potrebbe paragonarli a un’esperienza religiosa.
Qualcuno già li paragona a un’esperienza religiosa, anche se magari il nome che vi associa è quello di Roger Federer e non di Stefan Edberg.
Sono due i libri che, presenti nella mia biblioteca di anobii (http://www.anobii.com/01727bcaffb881566a/books), qualcuno mi chiede periodicamente se io sono disposta a vendere. Uno è Il manuale del falsario di Eric Hebborn, l’altro Roger Federer come esperienza religiosa di David Foster Wallace.
Il libro di Wallace è fuori catalogo, e molte persone lo stanno cercando. A breve non sarà più impossibile da trovare, perché Einaudi intende ripubblicarlo insieme a un altro testo nel volume Il tennis come esperienza religiosa, disponibile dal prossimo 4 settembre.
La quarta di copertina:
Negli anni della giovinezza e prima di diventare forse il più grande innovatore della letteratura americana contemporanea, David Foster Wallace si è a lungo dedicato al tennis, entrando nelle classifiche regionali e sfiorando la fama che ha saputo costruirsi altrove, e con ben altri esiti. E il tennis è rimasto una delle sue grandi passioni, tradotta in pagine memorabili, da Infinite Jest a Tennis, Tv, trigonometria e tornado. Fino a questi due grandi saggi, qui raccolti insieme per la prima volta e dedicati rispettivamente a Roger Federer e a un’epica edizione degli Open, ma anche a mille altre cose: lo scontro omerico tra il talento e la forza bruta, tra la bellezza apollinea di una volée perfetta e gli interessi economici «sporchi» che ruotano intorno a ogni sport; il mistero ineguagliabile di uno sport che sembra basato su una moltiplicazione geometrica delle variabili, ma che, in fondo, si riduce al confronto di un atleta con se stesso e con i propri limiti, tra solipsismo e trascendenza. Il tutto, nella lingua immaginifica e inimitabile che i fan di David Foster Wallace hanno imparato da tempo a conoscere e amare.