David Grossman è uno dei più grandi scrittori contemporanei. E’ autore di romanzi, saggi e libri per bambini. Scrive inoltre su diversi quotidiani. Nato e vissuto a Gerusalemme, è un grande fautore della pace e del dialogo tra israeliani e palestinesi. Siamo andati a sentirlo alla Festa del libro e della lettura di Roma, dove è stato intervistato da Marino Sinibaldi.
SINIBALDI Perché si scrive? Tu parli del desiderio di “conoscere gli altri dall’interno”, che è anche il titolo di uno dei tuoi saggi.
GROSSMAN Da una parte c’è l’istinto di raccontare storie che trova il suo corrispettivo nell’istinto parallelo di ascoltare storie. Poi c’è il desidero di conoscere l’altro dall’interno. C’è l’istinto di riconosce una storia tra le tante cose che ci vengono incontro ogni giorno e l’esigenza di condividerla con gli altri.
Con i miei figli, ogni volta che uno di loro era nervoso e arrabbiato, quando faceva i capricci e si buttava per terra, avevo l’abitudine di dire: “C’era una volta un gatto…” e immediatamente si fermavano. Quando mi chiedono se i libri avranno un futuro – visto il digitale e tutto il resto – io rispondo che si trasformeranno in tante cose diverse, ma nulla danneggerà la possibilità di raccontare storie.
Conoscere gli altri dal di dentro: molti hanno perso la loro trasparenza nei confronti del prossimo. Sì, gli altri li amiamo, ma ci sono degli angoli bui che non vogliamo vedere e abbiamo paura che ci dicano qualcosa di noi che non vogliamo sapere. Quando si fa l’amore ci si conosce bene, ci fondiamo completamente con un altro essere umano, ma non vogliamo ricordare che questa persona è travagliata e tormentata. Anche nei racconti più intimi di conoscenza dell’altro non riusciamo a conoscerlo. Invece quando scrivo, io sono invaso da un altro. Con gli altri siamo sospettosi, in guardia, preoccupati e le persone si irrigidiscono, o indossano una corazza. Scrivere serve ad abbassare questo scudo.
Ognuno di noi ha tante possibili personalità ma alla fine ci riduciamo a una sola. Invece quando scrivo io sento che ci sono tante possibili personalità. Posso essere un uomo o una donna, un israeliano o un palestinese, uno sano di mente o un folle. Ci sono tante possibilità che altrimenti non capiremmo mai.
SINIBALDI E’ per questo che sei diventato uno scrittore, tu che sei stato un bambino prodigio della radio israeliana?
GROSSMAN Ho lavorato alla radio da quando ero bambino, avevo nove anni. Quando si scrive si crea un mondo e si è responsabili di tutto ciò che c’è in questo mondo: ciò ti ricompensa come se fosse un mondo reale. Per me il periodo più bello è quello prima della pubblicazione. Per cinque anni ho cercato di capire di cosa stavo scrivendo, cinque anni per creare personaggi, in contraddizione l’uno con l’altro, che io dovevo tenere e per i quali dovevo trovare un linguaggio. Quando scrivi crei per loro un territorio verbale del tutto speciale, psicologico, in cui inviti i lettori ad entrare. Alla radio invece parli per le masse. Io facevo la rassegna stampa del mattino. Alla radio devi essere comprensibile per tutti. Ora, ogni tanto mi propongono di tornare, ma dopo aver assaggiato la letteratura per me è molto difficile.
GROSSMAN Mio padre mi ha dato da leggere dei libri quando ero piccolo. Era molto difficile per mio padre raccontarmi la sua infanzia perché apparteneva a un mondo che era stato sterminato. Ho cominciato a leggere i libri di Sholem Aleichem che mi ha regalato, che parlavano di strane cittadine della Galizia e ne ero estremamente affascinato, un po’ come un bambino che oggi legge Harry Potter. Li ho letti per un anno, fino a quando ho avuto otto anni e mezzo. Eravamo alla fine degli anni Cinquanta a Israele. Grazie a quel libro mi sono reso conto, con la mente di un fanciullo, che nei libri le cose e la loro perdita possono coesistere. Poi alla radio c’è stato un quiz su Sholem Aleichem. Io ci volevo andare ma i miei genitori mi hanno detto: “Ma sei pazzo? Lì ci vanno i professori e tu hai nove anni!” Allora ho comprato io la cartolina e ho chiesto se mi invitavano. Era il 1963 e mi hanno invitato. Mi è arrivata una convocazione ufficiale dalla radio. Per i miei genitori era come se avessimo ricevuto una lettera di Ben-Gurion. Quando ci sono andato tutti pensavano che accompagnassi mio padre. Mi hanno fatto le domande e io rispondevo, ma al direttore non piaceva l’idea che un bambino vincesse un premio in denaro che per allora era molto cospicuo. Perciò mi hanno concesso di andare in trasmissione e di rispondere quando uno dei partecipanti non conosceva la risposta. Così è cominciata la mia esperienza radiofonica. Da bambino ho fatto quasi tutto alla radio. Ancora oggi, ogni mio libro lo leggo ad alta voce per capire se funziona.
SINIBALDI Da dove viene Momik? Tu sei nato nel 1954, nello stesso anno di Virginia Wolf, cosa di cui vai fiero, e a 34 anni hai scritto Vedi alla voce amore, come ti è arrivato questo ragazzo? Sì perché tu non sei tecnicamente un figlio di sopravvissuti, ma hai raccontato che ascoltavi i silenzi come Momik.
GROSSMAN Prima vorrei prendermi una piccola rivincita. Sinibaldi mi ha detto che è nato nello stesso giorno di Casanova e di Marlon Brando.Allora io mi sono chiesto: se fossi stato lì nella Shoah come avrei reagito? Come avrei mantenuto la mia unicità di essere umano? Le persone erano ridotte a razza, trattate come animali, come numeri. Gli era stato sottratto tutto. E se fossi stato uno dei nazisti, come avrei agito? Sono immune da una situazione del genere, oppure no? Questa era la mia motivazione primaria per scrivere della Shoah e volevo affrontarla dal punto di vista di un bambino perché siamo come dei bambini di fronte a questo male totale. Momik è un bambino di nove anni a Gerusalemme. Negli anni Cinquanta, quando ero piccolo, io sentivo gli adulti che di notte urlavano i loro incubi in lingue incomprensibili. Loro avevano qualcosa che non potevamo capire: il paese laggiù. Le persone non erano ancora in grado di dire Polonia, o Germania e dicevano “il paese laggiù”. E parlavano della “belva nazista”, così la chiamavano. Allora io ho chiesto cosa fosse. Quando mio figlio ha scoperto la Shoah, a tre anni, era sconvolto. Mi ha chiesto: “Ma perché lo hanno fatto?” Io l’ho chiesto a Bella, ma lei non voleva dirmelo. Io però l’ho messa sotto pressione e alla fine lei mi ha detto: “La belva nazista può uscire da qualsiasi animale se viene nutrito nel modo giusto”. Allora io ho fatto degli esperimenti con un riccio, una tartaruga, un corvo ferito e altri animali, sperando che uscisse la belva nazista. Allevavo un riccio a casa dei miei genitori scampati alla Shoah, allevavo la belva nazista. Questo a nove anni. Alla fine ho conosciuto la tentazione della crudeltà e della brutalità perché nessuno ne è mai immune. SINIBALDI In Italia esiste un giorno della memoria che è quello in cui è avvenuta la liberazione del campo di Auschwitz.
GROSSMAN Penso che ciò che è avvenuto nella Shoah sia incomparabile a qualunque altra esperienza umana. Milioni di persone massacrate e prima ancora, distrutte da un’ideologia. Quello che accade oggi ai Palestinesi è altro. La tragedia dei palestinesi non è cominciata perché noi avevamo una ideologia genocida nei confronti degli arabi. Se studi la Shoah ci sono tante cose che ti possono privare del desiderio di vivere la tua vita, di avere dei figli. Per la generazione dei miei genitori è stato molto importante credere nella vita e nell’umanità: insegnare ai figli che nell’umanità c’è del bene era un gesto eroico da parte loro. Oggi a Israele si vedono gli aspetti più disperati della Shoah. I giovani vanno a vedere Auschwitz e questo diventa parte della loro personalità. Noi non siamo così, la cosa più pericolosa è pensare che noi siamo vittime e sempre lo saremo. Lo stato di Israele è stato fondato perché noi non ci sentissimo più vittime.
SINIBALDI Perché c’è così tanta letteratura a Israele? Sembra abbiate fatto un patto col diavolo. Non solo nella letteratura, ma anche nel cinema, nel teatro, nella musica, c’è una grande fioritura.
GROSSMAN C’è una sensibilità per raccontare storie e per la lingua. Già a leggere la Bibbia si resta sorpresi dalla grande quantità di storie, tutte raccontate con poche parole. Giacobbe ama Rachele e per sette anni lavora come uno schiavo per averla, poi quando entra nella tenda delle nozze trova Lea, la sorella maggiore di Rachele. L’unica frase che viene detta per raccontarlo è: “E di mattina eccola lì, Lea”. L’ha scoperto solo la mattina? Lo sapeva già? Lea non è una donna molto bella. E’ possibile che non sia stata molto amata, proprio come lui. Ci si può fare un romanzo con tutte le possibilità.
La realtà di Israele è talmente estrema che è impossibile per una persona normale, ma è il paradiso per uno scrittore. Io comunque sono pronto a fare un patto col diavolo per avere meno letteratura e più pace.
Quali libri ti piacciono?
GROSSMAN Mi piace un libro quando mi permette di riorganizzare la mia anima. Quando, dopo averlo finito, non mi sento più forte, ma più debole. Quando mi aiuta ad abbassare le mie difese. I libri leggono noi, non siamo noi a leggerli. Un libro mi racconta la mia storia in modo diverso, mi amplia, mi permette di ascoltare cose di me stesso che altrimenti non potrei accettare. A volte mi dico: ma che bel libro, ma perché non l’ho scritto io? Ma che cavolo stavo facendo in quel periodo? Quando leggo un bel libro alla fine sono un uomo diverso. Quando leggiamo una cosa bella, di colpo ci sembra di respirare a pieni polmoni.
SINIBALDI A un cerbiatto somiglia il mio amore è un grande libro sulla guerra. Se la guerra c’è non si ferma. La guerra è uscita da quel libro per entrare nella tua vita. Riesci a parlarne come hai fatto con Momik?
(Sinibaldi fa riferimento alla morte del figlio di Grossman nella guerra israelo-libanese del 2006.)
GROSSMAN La letteratura è il luogo in cui le cose e la loro perdita possono coesistere. Qual è il prezzo che stiamo pagando per sopravvivere in questa realtà? La famiglia per me è una struttura umana stupefacente. Io cercherò sempre di capirla e documentarla. Per anni ho pensato di non poter parlare della situazione. E’ la maledizione di questa realtà e pensavo di aver bisogno di un linguaggio per redimerla.
SINIBALDI Come la donna che non vuole ricevere la notizia della morte del figlio.
GROSSMAN Ci vogliono due persone per fare una cattiva notizia: una che la dà e una che la riceve. Perciò lei scappa di casa, così magari qualcosa verrà invertito. Scappa ai confini e rapisce l’amore della sua gioventù che non aveva sposato. Lui nel frattempo era stato fatto prigioniero dagli egiziani ed era tornato completamente rovinato. Lei gli racconta la vita del figlio che non ha potuto sottrarre all’esercito. Gli racconta la storia nel modo giusto, così forse potrà cambiare qualcosa di piccolo, forse si potrà correggere qualcosa del mondo. E in questo modo riporta alla vita Avram, lo cattura nell’umanità, raccontandogli la storia del figlio. Quando si legge questa storia si capisce come la guerra ci usi come carburante. Bisogna opporsi alla tentazione della guerra che è così forte. Io ho respirato la guerra da quando sono nato, l’ho combattuta e vedo come ci privi dei principi umani fondamentali e del futuro: siamo intrappolati in questa situazione. Riraccontare la storia è un modo per respirare e non dover essere sempre dei nemici.
SINIBALDI Tu l’hai definita: “Una guerra che non si può vincere”. Come valuti quello che accade nei paesi del mondo arabo?
David Grossman all'Auditorium di Roma
GROSSMAN E’ difficile parlare di politica dopo aver parlato tanto di letteratura. Ci sono grandi cambiamenti e sconvolgimenti politici. Come uomo sono molto colpito dalla rivoluzione egiziana. Per Israele era facile trattare con Mubarak, anche se era un regime molto corrotto. Ora stiamo a vedere cosa succede in Giordania e in Siria. La democrazia è sensibilità nei confronti delle minoranze. L’ineguaglianza delle donne è la malattia più grave del mondo arabo e questo vale per tutte le minoranza ora schiacciate.
La gente riduce il proprio contatto con la realtà. C’è la tentazione di restringere i nostri orizzonti. Noi abbiamo perso un figlio in questa guerra del Libano, ma dopo il settimo giorno sono tornato a scrivere perché sapevo che era l’unico modo per rimettere insieme i pezzi della mia vita. Per ricostruire il mio posto, la mia casa, la mia vera casa. Fuori il mondo mi crollava a pezzi e io mi chiedevo: come puoi sforzarti di scrivere una bella frase? Una correzione può anche essere secondaria, ma qualcosa di più grande viene corretto nel mondo. Io posso scrivere una buona frase e mettere la parola giusta nel posto giusto e in quel momento ho fatto una cosa buona.