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Un disco di culto è un disco di cui si desidera celare la bellezza condividendola con le poche persone che senti veramente vicine. E "Left By Slow" di David Kilgour somiglia tanto ad uno di quegli album che trasformano l'ascoltatore in un vigile custode di un segreto impenetrabile. Il culto si trasforma in stupore quando ci si sorprende a pronunciare le stesse parole, le identiche descrizioni che solo pochi uomini al mondo utilizzerebbero per descrivere la stessa cosa. Una condivisione tra pochi, insomma. E' questo l'effetto che fa "Left By Slow". Se ci penso, infatti, ci sono dischi, come ad esempio "The Friends of Rachel Worth" dei The Go-Betweens, che da soli riescono nella loro particolare capacità di accomunare i pochi ammiratori. Questi parleranno di quell'album utilizzando le stesse parole, non importa in che lingua o in quale paese: quell'oggetto rimarrà imprescidibilmente svincolato da ogni definizione letteraria, da una qualsiasi classificazione venuta con la celebrità.
"Left by Slow" è un disco senza tempo, senza possibilità di descrizione unilaterale. Una chitarra in primo piano, una voce sincera, la batteria ed il basso, un pianoforte qua e là. Punto. La semplicità delle armonie basta e avanza. La deliziosa alternanza di umore, nostalgico e allegro, scanzonato a volte (da dove viene fuori "Autumn Sun" se non da un recondito nascondiglio conservato gelosamente dai Pavement?), la forza della scrittura. Ecco il mondo di David Kilgour, vecchia gloria dell'underground neo-zelandese anni 80.
Un piccolo capolavoro prezioso da nascondere agli altri, da custodire gelosamente negli anfratti meno frequentati del proprio guardaroba, da tirare fuori solo in assoluta solitudine, lontani da ogni sguardo.
Un mondo da gustare in solitudine, per riconquistare quella dimensione tipica di chi si sente solo ma eppure vivo.
Vivissimo