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Davide Castiglione - Per ogni frazione

Da Ellisse

Davide CastiglioneLibro interessante e maturo, questo di Davide Castiglione (Per ogni frazione, Campanotto 2010). Partendo da alcuni punti fermi dichiarati (parentele, ascendenze, debiti letterari sono Sereni in primis, e Ungaretti e De Angelis e in qualche modo il mio adorato Stevens) Castiglione costruisce una buona raccolta, in cui per una volta essere giovani e al primo libro non è una colpa e men che mai un merito. La tradizione è compulsata  e archiviata, senza necessità né di rivoluzioni né di restaurazioni, ma semmai con un bisogno evidente di affilare un proprio strumento a partire da essa, facendo nel contempo vedere di essere un ragazzo che ha studiato. E perciò giustamente Luca Stefanelli, nella postfazione, dice che "non si ha mai, nella raccolta, l'impressione di respirare un'aria postuma, di epigonismo". Siamo ancora, comunque, nel lungo '900, il secolo che non finisce mai. E siamo ancora al centro di una poetica anch'essa di lungo corso, quella in cui l'individuo accerta la crisi, osserva la realtà (o le sue frazioni), la verbalizza e non si àncora ad essa, perchè scorre troppo alla svelta per poterla afferrare a pieno e caricarla affettivamente (e nemmeno ce ne possiamo distaccare, una croce). Vorrei evitare di tirare fuori ancora il surmoderno (Stefanelli accenna a Marc Augé e ai non luoghi, mica a sproposito), ma la temperie è quella, e sta di fatto che l'espressione artistica, paradossale ma vero,  non scorre altrettanto velocemente, e questo è tanto più vero per la scrittura creativa. C'è, nelle arti, una specie di affanno, una rincorsa dei tempi. Non resta quindi che dire bene le cose con i mezzi che abbiamo, in attesa di inventarne di nuovi, o dirle meglio di altri.

Sul piano dell'espressione, in effetti Castiglione se la cava egregiamente. Ha un solido bagaglio di artifizi, un buon senso del ritmo e, cosa importantissima, senso del limite di leggibilità, e anche una certa (per così dire) sensibilità spaziale dei pieni e dei vuoti sulla pagina scritta. Non gli mancano le parole per dire, il ventaglio lessicale è articolato e ricco, alcune invenzioni metaforiche o corti circuiti poetici addirittura eccellenti. Interessante è il linguaggio senza particolari torsioni, ma semmai sottrattivo, in modo da lasciare astutamente al lettore dei "fill in the blanks" semantici. Una modalità non nuovissima (anche qui siamo nel solco) ma comunque efficace, perchè allarga quella indeterminatezza di cui la poesia si nutre (anche), a beneficio di una lettura "aperta", attiva.  A volte il linguaggio si strama ulteriormente di proposito, serve da setaccio rovesciato che filtra le emozioni, le pulsioni, le delusioni cioè i valori primari e sentimentali, e lascia passare le scorie dell'esistere, la constatazione di certe inutilità, declinando una sorta di raffinato understatement emotivo di discreto effetto. Con esso Castiglione cuce le sue frazioni, siano esse brani di vissuto, bozzetti dal vero,  dichiarazioni di fallimenti, visioni del vento, ma sempre brani di realtà (non c'è sogno, nè simboli), senza però minimalismi (se non altro per la densità della parola a cui accennavo) e con una interessante collocazione dell'autore rispetto al descritto, come se fosse un "io" immediatamente al di fuori del cerchio degli accadimenti, a volte un interessato osservatore esterno, a volte uno che attraversa come un passante l'area poetica per poi lasciarsela accaduta alle spalle. Se la narrazione è per forza di cose (per l'età, il vissuto dell'autore) episodica, frammentaria, la compattezza complessiva del libro non ne risente affatto, perchè appunto il giusto strumento stilistico c'è e il livello estetico è quasi sempre costante. Se è vero, come mi pare di aver letto da qualche parte, che il libro è frutto di un lavoro di qualche anno, sarebbe interessante osservare Davide alle  prese con qualcosa di più "progettato". Staremo a vedere. Intanto leggiamo qualcuna delle sue poesie.


C'è un passare di gente,
di visi in vetrina e sotto i portici
l'arco più basso delle labbra.
Non è l'inverno ad abbottonarla,
mi convinco, se i cappotti
stringono i gesti a farli simili
a un viale senza deviazioni;
sarà la paura di urtarsi
pari al desiderio di urtarsi,
sui marciapiedi un vestirsi a sorriso
che più eccede e più lascia
nudi: così, per non sentirci
assenza o incrocio mancato,
gente a passarsi in mezzo,
in vetrina, a passare, a non conoscersi.
SE ANCHE QUESTO È VIAGGIO
Smarrita, tra viali
che non cercano un mare genovese,
con te stessa ti apparti in un chiaroscuro
di carruggi. Pochi sguardi, e il mio
ti insegue fra malfamati e miraggi
africani, piccola
che trasfiguri stanze
in sfondi di viaggi, che cambi
mediocrità in malinconia.
Ora c'è tutto un castello da fare,
un divano in vantaggio
sul poco spazio
e nessuno mai che viene
e lo porta via.
Io ti ascolto, chiedo
quale turbine ti ha lasciata
   divisa.

Valicherai queste sedute,
in mare non saremo barche
ma un'onda sola,
armonia tornata ignara delle parole.
Me lo ripeto; e se il vento
se stanotte il vento è presente
più di noi
c'è un muro d'archi, affondato
nella terra ai margini di Pavia;
ricordi? con te mi sono promesso
d'oltrepassarlo,
   se anche questo è viaggio.
DISSOCIATA
I
E' un prato, l'acqua verde
del Po lungo l'insonnia olimpica di Torino,
e alberi in fioritura le fontane
alzate per l'evento.
(Sulla banchina, fra i turisti, c'è cicaleccio
di hamburger che friggono, di immondizie non rimosse).
Eri, gioco d'accordi, una solitudine
con sguardi sul bitume e feritoie nessuna;
ero là a sostenerti, teso
a un letto negato dal flusso in paralisi...
... prato acqua verde...
«ma che stai sparando?».
Così, leggere, indisturbate per un soffio,
le ombre definite nei miei pressi
buttano voci, giù in gola e a piombo me le spingono.
E' che il prato è prato il fiume è fiume l'accordo è dissociare
per voi

(ma l'ho omesso
   ho sparato a salve
   abortito la risacca sul fondale).
II
Lo dice così il suo unificarsi,
l'incomprensione della riva:
da coro non corale.
È troppo integralmente altra
l'unità che può comporre l'infinito
variare
in una sola voce.
Ti si vorrebbe radice, terra musicata,
verbo coniugato alla terra
e invece
ti svesti in un dissidio inerte,
poesia; e io troppo presto
sono dalla parte loro, da una parte comunque.
SENSI DELLA PIAZZA
I
Il vento, se fa tanto, lascia che i panni oscillino,
mai imparata l'urgenza di tenersi o andare.
Come i loro, ammansiti dal sole (perché c'è,
è un fatto), sono i toni di un contrasto dalla strada,
da una finestra, scivolati alla veranda dove siedo.
Un foglio diviene semplicemente aeroplano,
a lanciarlo quasi docile giunge a chi si vuole;
nel soggiorno, senza identità o concordanza
aprire un giornale è lo stesso che accendere il televisore:
la cronaca non ferma la forchetta a mezz'aria,
il fuori del fuori si fa soffio - fino a schiacciare.
NOTTE DI FESTA
I
E' tanto stare con la cenere
attorno, stasera; e forzarsi a derivarla
da una sigaretta - la via più facile era
andata persa
a Pavia coi suoi vicoli a incuriosire
e poi scaraventarci
in ciò che già si conosceva:
da immisterirsi
a immiserirsi,
in un attimo.
II
Una specie inestinta di cenere.
L'avevo addosso come una mossa
maldestra,
la loro, lì, insieme, a grappoli, a cantare.
Perciò cantino, che canto.
È un venirsi meno, ma alla fine grazie
per avermi orientato a me:
non sentirsi più soli, e da così tanto,
a volte spaventa
come qui rispuntare comunque
sempre e comunque sul Corso.
CONGEDO
Quasi dovessero animarsi, non ho risparmiato
di una carezza
ringhiere e corrimani, le spine dorsali di supporto
per chi invecchia di tenerezza lasciando un luogo.
Ecco, ci si fa sentimentali per poco (ma per poco)
solo osservassi che la loro costituzione
è robusta, di vertebre incorruttibili
ma illiberale verso, per dirne una, i monchi o i nani.
Non basta, e avanza pietà a prezzo basso.
Si sono visti
musei gratuitamente, collezioni private
cui seguiranno le proprie: asciugamani
con rughe impresse dai corpi, bottiglie, abbracci,
me sul punto di cambiarli
con un mio qualcosa
che non saprei.
Via i numeri recenti
già vecchi
   ora che domani smette di valere
un giorno; ora che, inflazionato,
pretende ad anticiparlo
un
indeterminativo.

Ci si fa sentimentali, e l'esempio
è della cabina da cui
si stenterà - e non sarà dei codici la colpa -
a dire «soy yo, hace cuànto tiempo».
INTESA
Centro vuoto, uscendo dall'aula. L'estate si dice avanti,
e mente: gli edifici non si tramutano, l'afa è apprendista
- non beffa.
Piante mezzo essiccate e tra queste un guizzo,
modesto, fogliame sul castano (più lungo il settembre scorso,
giù sul visino e sul maglione bianco...
   poi il taglio
e il buffo messaggio
   la corsa il bus
la febbre il Broletto
   il muro il secondo
messaggio il pianto
   la panca e
«c'è intesa, tra noi»: la frase).
Tredici e trenta. Questa fame fa muovere alla mensa soltanto.
L'altra era di te, per te.
È ora sepolta in una parentesi persa, pulsante
un periodo...
   e tu,e te,
te che da un realissimo,
da un irreale angolo mi avvicini
avanzi di focaccia, da un sacchetto di carta.

Allora
oltre i messaggi i referenti oltre la corsa
l'ansimo oltre il bus la carreggiata
   oltre la febbre
il guarire oltre il Broletto tavoli oltre il muro
sterpaglie oltre il pianto scie di sale
   oltre la panca
stare seduti oltre la frase
la sua grammatica, o un suono nell'aria.
DALLE DITA ALLA MANO
In un punto che poteva essere se stesso
o un altro, cinque uccelli alla finestra.
Erano al suo interno, ingessati,
distinti da una luce
chirurgica
(la mia sintesi è stata
sono nati museo per non morire
- l'ossessione con cui pesavo
il mio scrivere).
Lì hai liberato dalle mie dita
la mano
   e con uno scatto migrato
quelle penne da un pianterreno
a un ricordo vivente.
Mica a una memoria
di magnesio. Da un interno
si può rifare una strada, respirarla
e come, respirandola, l'aria si realizza
ora c'è un piccolo stormo e non c'è
sintesi mia né di foto
che tenga, ma un gesto dove gli occhi (di chi?)
si vedono giovani e non distinguono.


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