Davide Riccio - Parracine e altre poesie

Da Ellisse

Non so quasi niente di Davide Riccio. Mi manda a leggere le sue poesie (almeno tre raccolte) con la laconica frase "Perché da cosa nasca cosa, oppure no... à suivre". Alla mia domanda, forse peregrina "sì, va bene, ma chi sei?" risponde "sono amico di...che mi ha consigliato di...Sono quel che leggi soprattutto". D'accordo. Ecco alcuni dei suoi testi.

da “L’albero sottosopra”

8.

RABDOMANZIA PER GIOCO

Provo a sentire la rete di Hartmann

L’ansimo del tellure che vortica,

Io, mentre impugno mano salda

Le antenne a cercare energia che chiuda

O diverga i fili di ferro ai moti

Inavvertiti dello sperimentatore

Sensibile che sarei, se sapessi

Allo stesso modo – e non per un gioco –

Aspettare a (non) muovere la penna

Verso la fonte di ogni parola,

Un illuminato silenzio interiore.

23.

BASTONE DELLA PIOGGIA

(A Pietro Paolo Parzanese)

Ecco, io suono un’acqua

di ghiaia e spine di cactus

dentro un bastone della pioggia

proprio come il poeta

parla del mare

e non è il mare

della pioggia

e non è la pioggia

della vita

e non è la vita

della morte

e non è la morte…

26.

I LUPI

Irpinia, fonda notte che l’assiolo

scandaglia, ecogoniometro, monotono

sonar le cui onde nel vuoto si perdono

dove sono io, immobile, da solo.

Poi giorno, di schiatta normanna e fieri

frugali sanniti incroci io ritorno,

austerità, obbligata sussistenza

contro rinnovata romanità.

Gli amori miei mietuti han di questi

colli bruciati, dove anche le stoppie

residue ardono d’un cenere spento.

Al piacere che sbrama un dispiacere

che sbrana: dopo la pietra e i giganti

non risolse il farci l’uomo dal fango.

34.

SEGNI SEMPRE INCERTI

A Monte Sant'Angelo,

dove la roccia si spalanca

e perdona, più volte apparve

sua scelta l'Arcangelo Michele.

Qui la Basilica Celeste

unica al mondo consacrata

da Chi come Dio.

Forse per caso

giù per le mie cripte

la città m’ è apparsa

iniziando Paul Hindemith

il Concerto degli Angeli

nell’autoradio.

(Monte Sant'Angelo, Celeste Basilica sul Gargano)

40.

LA LEZIONE

(C'è Steve Reich

in tutte queste cicale

vera musica minimale)

Non è il frinire delle cicale -

sia canto sesso o chiacchiericcio futile -

né la muta sensatezza industriosa

delle formiche in fila

a farmi oggi da lezione, ma quando

il libeccio scuote le frasche agli alberi

suonando quasi un mare tutt'intorno

e io, esposto seminudo al sole, stanco,

sentirmi l'Odisseo sonnacchioso

sulla zattera comunque verso casa

e un vero, dolcissimo risveglio.

45.

SUI PATTINI IN LINEA

A muovermi e frenare, a pattinare

in equilibrio dinamico imparo;

semmai annaspare e ridere o cadere.

La risultante di forze applicate

e il momento rispetto a ogni punto

risultante si annullano, si equilibrano.

Si annulla e si equilibra in ciascun istante

quel che conquisto, poi che di vivere

ho sempre meno il tempo; ma vi spero

che infine tutto e questo anche concorrano

a rendere migliore la mia essenza.

49.

SINFONIA OLOFONICA
(e musica concreta)

(a Pierre Schaeffer)

La mia testa è un olofono:

maracas di cicale,

vaevieni dell’upupa

l’usignolo gorgheggia,

freno motore che soffre in discesa

trattore che arranca

ronzio del bombo

e della xylocopa violacea

il cannone antigrandine

le campane del vespro…

E mia madre che dice

“Fai qualcosa di concreto!”

da “Mespoèmes”

24.

CENTRE POMPIDOU - BEAUBOURG

Museo d’arte moderna e museo d’arte contemporanea

Pangaea Ultima

Tutta l’arte era moderna

Tutta l’arte era contemporanea

Tutta l’arte è già classica

Tutta l’arte è già antica

Di massa o d’élite tutta l’arte è scomparsa

nel peggiore o nel migliore dei mondi possibili

E quadriliardi centilioni deperibili del tutto

sono troppi da conservare e da risapere

Non ci sono più luoghi sacri alle Muse

nella Novopangea o in Amasia

né più esiste il pianeta

sotto la gigante rossa

Anche le arche nello spazio

non sanno dove andare

25.

PLACE STRAVINSKY

A Jean Tinguely

Routine di cicli

sprechi o ricicli

melodie / stridori

Siamo macchine antimacchine

che giocano

col nulla forse al fondo

finito illuso di mai finito

Se amo stare quaggiù

è per gli Stravinsky e i Tinguely

e monamù

Place Stravinsky, 2010.

Promotrice delle Belle Arti, Torino 1988.

da “Parracine”

6.

DAVANTI A UN MURO A SECCO

Al ritmo dell’istmo che andiamo,

tra shopping logorrea e spizzicherie

incastrare parole vicine a parracine

senza malte cementizie,

con un ramarro a sorpresa.

21.

A ERCOLANO

Sedevo di sicuro lì

in un thermopolium

vicino al dolium

e ruttavo al fresco

Falerno rosso

passito al sapore

di miele attico

antico

quando 'o Vesuvio

eruttava e la lava

ci sorprese a Ercolano.

Anche adesso bevo

birra fresca in bottiglia

fino a che il sonno

mi piglia e lava.

Domani vedrò

oppure no.

Tu

   scava.

25.
SANATORIO

Tra una panca nel parco,

davanti ai fiori di Brugmansia,

e un bagno di sole

seguo le mie blande terapie

dell’asma e dell’ansia;

mi fingo un po’ di Ottocento

tornando al giovane borghese

di un romanzo di formazione

al sanatorio.

E tu sei Madame Chauchat.

Fine a se stessa

questa pienezza d’animo,

ora che torno al piano

dove c’è guerra.

Note.

Riferimenti a “La Montagna incantata”, romanzo di Thomas Mann.

Ecco, abbiamo letto. Chi è dunque Davide Riccio, a parte quello che possiamo scoprire della sua (auto)biografia (v. QUI)? Diverse cose, ma chissà quali di queste concorrono a farne un poeta. Un poeta viaggiatore (anche sur place) di luoghi e nomi, un curioso collezionista, uno che si porta dietro e a volte usa una nomenclatura culturale eclettica, in maggior parte musicale, ma anche scientifica, filosofica, letteraria; uno che a volte osserva in maniera un pò egoica le cose e i luoghi, facendoli parte di una biografia d'artista, migliorandoli con la sua propria presenza; uno che altre volte invece carica, anche in pochi versi, le cose di un dubbio esistenziale, di uno spleen che traspare; un sentimentale (sia detto in senso buono) con una buona dose di sana disillusione; uno che ha un evidente bisogno di scrittura, a volte regolata e pensata (come nei testi qui pubblicati), a volte più incontrollata e jetée e forse secondo me bisognosa, se Riccio decidesse di dare alle stampe questi versi, di qualche deciso ripensamento (come i testi che qui non sono). Resta il dubbio (positivo) di qualche riserva nascosta, di qualche scheggia di energia ancora non chiaramente espressa, di un "da farsi". Niente però che debba "maturare", sarebbe ridicolo, non stiamo mica parlando di un poeta "gggiovane". Qualcosa che c'è già lì da qualche parte. À suivre...



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