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Davide Rondoni: Il culo dell’anima seduto comodo

Da Narcyso

Davide Rondoni, CONTRO LA LETTERATURA, ilSaggiatore 2010

Davide Rondoni: Il culo dell’anima seduto comodo
C’è una pagina in questo pamphlet che mi ha fatto arrabbiare, se non altro perché arriva a sangue freddo, a disamina quasi terminata; ma del resto, come potrebbe essere diversamente per un insegnante che combatte quotidianamente a difesa di una propria visione, non così originale, poi, dopotutto, di un modo di intendere l’insegnamento e la fruizione dei linguaggi artistici, in particolare la poesia. La riporto qui:

“Non sopporto, per esempio, la banalità di far scrivere ai bambini monconi di righe e poi chiamare tutto questo: “poesia”. Ogni sgorbietto di parole un po’ strambe lo chiamano poesia.
Ci sono centinaia di manifestazioni di poesie per bambini, dove vengono collezionate le più assurde delle velleità e le più mortificanti prove di bambini che non hanno voglia neanche un po’ di scrivere in quel mondo strano e complicato.
“Le chiamano poesie. I maestri elementari, i pedagoghi. Invece di chiamarle come si deve: monconi di righe di frase, esercizi di scrittura. Cose simpaticissime, per carità, è capace di smuovere i nostri ormai invecchiati sentimenti reumatoidi, di farci balzellonare il petto con qualche battito. Cose meravigliose, pure. Ma se indichiamo ai nostri piccoli con il nome “poesia” questo genere di cose si compie un grave errore. Si facciano sentire piuttosto delle buone poesie. E non si illudano i ragazzini della facilità, della disponibilità a scrivere facilmente poesie. Non si svenda così il valore stesso della poesia, intesa pure come momento più intenso della lingua. Mica quelle cose lì. Chiamateli esercizi, apprendistato, se proprio volete farlo. E che lo sia davvero, lasciando perdere se è il caso. (…) Scrivere una poesia per obbligo a scuola è avvilente. A meno che, come la maggior parte dei ragazzi fa, la si prenda un po’ a sorridere, e si sparino cavolate, o si scriva ciò che qualche insegnante vuol sentirsi dire.”

È via di questo passo. Considerazioni che mischiano, a mio modo di vedere, l’utilità, se condotto con tutti i crismi della correttezza umana e professionale, del laboratorio di scrittura, con la superficialità, questa effettiva e assai diffusa, con la quale molti insegnanti intendono, e spesso con buone intenzioni, instaurare un rapporto tra l’alunno e la poesia.
Insomma, mi sarebbe piaciuto che, in questo passaggio, Rondoni ci avesse messo più tempo e più impegno a sviluppare un ragionamento su un punto – la scrittura, piuttosto che la lettura – rispetto al quale egli stesso a volte si stupisce: “eppure alcuni, certe volte, consegnano – si vede bene – in quelle ridicole prove un silenzio autentico della loro anima e uno stupore della mente”.
Ma questo stupore non è dei pochi, di quelli cioè, pochi appunto che, forse in futuro, diventeranno dei poeti! Il laboratorio di scrittura non è da intendersi come un luogo in cui si formano poeti ma un’occasione per formare lettori consapevoli!
Posso ancora ribattere con alcuni principi o prassi di lavoro – il termine prassi mi sembra più consono, i principi sono cose rigide, che possono spezzarsi, e si spezzano; la prassi è costretta a fare i conti con la realtà. -
Eccone alcune:
Nel mio modo di intendere la funzione del linguaggio artistico in generale e della poesia in particolare, pratico sia la lettura che la produzione – non appena possibile – di quegli sgorbi cui fa riferimento Rondoni, e non li ho mai chiamati poesia ma pezzi di vita, scoperta dell’altrui testo attraverso la capacità di entrarvi nel modo più naturale possibile per un bambino che è l’attività dell’imitazione. Salvo poi scoprire che questa imitazione non è altro che specchio e, attraverso lo specchio, un incontro.
La scoperta del meccanismo strutturalista, il famoso congegno – l’arte non sarebbe altro, cioè, che il congegno di una cassaforte da aprire con la chiave giusta – se utilizzata quella chiave per entrare, attraverso un uso non corrispondente alle istruzioni, può causare risvolti interessanti. Per il bambino, questo congegno, non è altro che il giocattolo che egli può divertirsi a smontare a suo piacimento – se lasciato libero, anche di romperlo! – e questa è la principale fonte di conoscenza di ogni essere vivente:il gioco.
Ecco le imitazioni di alcuni miei bambini di quarta, partendo da un verso di Antonella Anedda – e certo, caro Davide, quanto lavoro c’è per insegnare a un bambino a smontare un giocattolo costruendone poi uno proprio! Io, personalmente, ho sempre invidiato quegli scolari che, non capendone di scuola, vengono dirottati dagli insegnanti nel campo delle cosiddette attività manuali, considerate attività di ripiego dove poi, invece, spesso si sono realizzati splendidamente! –

Dal balcone del corpo
una luce appare
davanti ai viaggiatori
dell’immaginazione:
una visione degli occhi.

*
Immagino di essere un balcone
da cui proteggo la gente,
e sono pieno di pensieri e
di sensi del mio mondo.
Se non ci fosse nessuno
io mi sentirei distrutto.
E’ come se muro e pavimento crollassero.
Come rottami.

*

Dal balcone del corpo
la frase non cambia
è un sentimento grande
come la città.
Dal balcone si arriva
al corpo e si vede
l’uomo, i corpi in movimento.

Ora, stabilire che queste siano poesie oppure no, personalmente non mi interessa. La faccenda è ben altra. Innanzitutto è chiaro come qui si stia attuando una conoscenza di se stessi attraverso qualcos’altro; è chiaro che la poesia permette una risonanza. E quindi una conoscenza. E la risultante dell’incontro tra questi bambini di quarta elementare e la parola di Antonella Anedda, poetessa riconosciuta, produce qualcosa che ha a che fare con la conoscenza di sé. Il testo, insomma, risuona nella cassa toracica del lettore. È esattamente quanto auspica Ezio Raimondi, maestro di Rondoni, in un suo splendido libretto sul gesto della lettura. Dico gesto, proprio come l’atto del tentare di riprodurre sulla tastiera di un pianoforte, non sapendo suonare, la melodia bellissima che ci piace tanto e che vorremmo raggiungere nella sua pienezza. Storpiandola, produciamo imitazioni, riverberamenti, affinità elettive, desiderio di avvicinarci a qualcosa di sconosciuto e perfetto.
Per quanto mi riguarda, ho assai brevemente sintetizzato in pochi pensieri che cosa intendo per laboratorio di scrittura poetica – o scrittura e basta – al termine del ciclo in cui ho conosciuto, avendola curata e permessa, la gioia di questi bambini di fronte al gesto di libertà che l’arte ci invita a compiere.

Scrivere è un atto di libertà. Non è dovuto neanche al maestro.
*
Insegnare ad essere non è possibile. Eppure la poesia riguarda un po’ il come si è.
*
Il bambino imita, quindi occorre che abbia dei buoni esempi da imitare. Ma anche dei buoni motivi.
*
Scrivo se so guardare con altri occhi. Allora posso vedere la pelle dell’albero che diventa viola: è il mio albero. Posso sentire la sua voce che mi parla. Allora scrivo per fare un dialogo con il mio albero.
*
Se scrivo, scrivo sempre a qualcuno, ma mentre scrivo sento la mia voce che mi parla.
*
Non è importante, alla fine, che i bambini scrivano poesie – perché dovrebbero? E’ importante che percepiscano chiaramente i loro pensieri e che siano capaci di darne una forma compiuta. Per sé e per gli altri.
*
Questi testi non sono poesie, sono approssimazioni a una compiutezza. A un desiderio compiuto. Queste poesie vengono innanzitutto da uno sguardo che poi diventa parola.
*
Abbiamo letto poesie. Il maestro non le ha spiegate. Piuttosto noi abbiamo dovuto cercarne un senso.
*
La poesia è un linguaggio. Come apprendere a imparare a leggere.
*
La poesia è presa di possesso del mondo che il linguaggio sociale spesso censura.
*
Non si può insegnare nulla i bambini se non si è liberi. Altrimenti si può solo insegnare la censura del linguaggio.
*
Il mio vero quaderno non è quello dove avvengono le correzioni e le valutazioni. Il mio vero quaderno è quello che scelgo io.
*
Che cosa “valutare” di un testo? La corrispondenza interiore; l’attenzione; l’essere capaci di sentire il mistero di una piccola cosa.
*
Si può scrivere da soli? Credo proprio di no. Si scrive in ascolto e in risposta.
*
La metafora è la vera chiave che apre le porte alla comprensione del mondo. Bisogna insegnarla. Ma quando la porta è stata aperta, la chiave non serve più.
*
Non si approfondisce nulla. Il bambino non è interessato ad approfondire. Bisogna, piuttosto, abituarlo a cogliere al volo. Sentire subito è un esercizio dell’attenzione.
*
Le parole sono oggetti; hanno tutte le qualità dei sensi. Scrivere, dunque, è attività sensoriale. La mente arriva subito dopo.
*
Se, come diceva Maria Montessori, l’amore non è un sentimento ma un senso, scrivere per amore vuol dire voler conoscere il mondo.
*
I bambini scrivono veramente solo quando sono concordi: cum cordis ,col cuore. Questo lo affermano apertamente.
*
La loro scrittura, per noi adulti, dovrebbe essere già oggetto di teoria perché essa viene dall’esercizio della pratica di qualcosa che si conosce perché sta accadendo sotto ai nostri occhi.
*
Gli incipit, le variazioni servono a mettersi in contatto, a innestarsi nella voce degli altri. Vario e invento per capire l’altro: da dove viene, cosa vuole da me, cosa posso io donare a lui.

Ora, questo modo di leggere-scrivere ha un’altra conseguenza non meno vistosa: quella, cioè, di produrre critica, critica militante, critica che vivifica la vita, e anche quella di un bambino, più bisognosa di essere annaffiata che l’albero spesso già avvizzito di un adulto deluso.
Quale metodo per far questo?: maieutica, non ho altre parole.

***

Chiusa questa benevola polemica, non si può che condividere, dicevo prima, il ragionamento di Rondoni. Non è solo un ragionamento di testa ma di cuore, e come sempre quando si parla di scuola e di educazione, io non riesco a stare seduto a tavolino con le braccia incrociate e ascoltare passivamente.
Riporto qui alcuni passaggi che condivido: sostenendo che questi pensieri dovrebbero rappresentare un pensiero trasversale, capace di sottrarre la scuola alle derive educative e ai sistemi organizzativi, sia di destra che di sinistra che da anni l’hanno trascinata per il colletto fino a soffocarla. E aggiungendo anche che, nella pratica della propria libertà, è vero che non si può insegnare il valore di un gesto di libertà ai propri alunni senza il rischio della perdita della propria – queste idee, se professate e messe in pratica, spesso si pagano a duro prezzo, proprio perché, come dice Rondoni, il sistema si autoprotegge dalle idee-bomba, in questo caso la sua, ma soprattutto se provengono dalla scuola stessa. -

Uno degli errori di impostazione dell’attuale generale modo di insegnare la poesia e la letteratura e il tentativo di fare dei ragazzi degli esperti. Invece che degli amanti.
Pag. 29

Un primo errore è stato “mischiare” la letteratura con la storia della letteratura, addirittura facendole coincidere nei programmi di studio.
Pag. 30

L’altro grave errore (…) è la pretesa (di stampo strutturalista, pur se spesso esito di rimasticatura e illanguidimenti) di detenere una specie di scienza della lettura come se la capacità di leggere un testo raggiungesse il suo apice nel potersi trasformare in una sorta di scienza esatta. Senza più prodigio, né sospensione di stupefatto sperdimento.
Pag. 33

Si insegna a leggere solo correndo la stessa dose di rischio dei ragazzi.
La lettura non è un esercizio ginnico compiuto da anime bell’e fatte.
La letteratura non è per nulla una cosa per anime bell’e fatte.
Occorre esporre la propria anima (o chiamatela come vi pare) e il suo farsi e disfarsi, la sua metamorfosi per convincere qualcuno che è interessante fare lo stesso.
Nessun ragazzo seguirà un adulto che non sta correndo un’avventura rischiosa al pari di quelli che sente accendersi nella propria giovinezza.
Pag. 35

Un’anima bella e fatta è quella che pensa di non dover più correre rischi di non dover più scoprire niente di importante. Di averle il culo parato. Il culo dell’anima seduto comodo. Un’anima morta. La poesia e la voce delle anime che si stanno facendo, che non sanno come fare, delle anime con i lavori in corso. Che non se la cavano(…). Le anime che rischiano. Si illuminano e che a volte si perdono. Le altre, le anime tiepide, a mezzo gas, al cinque per cento, non sanno che farsene della poesia.
Pag. 64

Se in un’insegnante e in un ragazzo non è viva e attiva una domanda circa il senso della propria esistenza, la letteratura rappresenterà per loro un dazio da pagare alla buona istruzione, una faccenda di cui occuparsi per mestiere e per obbligo. Una noia da evitare in vario modo. Senza avere una domanda, nessun incontro – né con una persona né con un testo – risulta interessante.
Pag. 65

La letteratura non è una materia da imparare a scuola, ma un’attitudine da non perdere per conoscere il mondo e se stessi.
Pag.66

E via di questo passo, mi fermo qui, altrimenti dovrei citare metà del libro.

Mi sento anche dal mettere in guardia Rondoni, però, dalle conseguenze di dichiarazioni come queste:

“2500 ragazzi in silenzio a sentirmi commentare versi della Commedia o del Canto Notturno.”
Pag.111

Al di là della preparazione e della serietà con la quale si possono preparare esperienze del genere, dico questo: ho avuto parecchie esperienze di conduzione di gruppi di ragazzi sulla pratica, nel mio caso, del laboratorio teatrale e so benissimo che differenza possa passare tra un approccio formativo educativo personale, socratico, nel senso di passeggiata a tu per tu – per esempio fare la regia a un gruppo piuttosto che fare la regia a un singolo – e il narcisismo incondizionato che può esplodere in situazione di raduno dove la conoscenza, spesso, è alquanto superficiale e si basa su reazioni emotive autogratificanti: dove gli spiritelli malvagi e cattivi sono l’ansia di prestazione di tutti, la seduzione del conduttore, e altre bazzecole di questo genere. Insomma, insegnare a una classe, occuparsi della crescita di un singolo alunno non è la stessa cosa che comunicare qualcosa davanti a 2500 persone, seppur motivate. La lettura è poi, alla fine, un gesto e un’esperienza sempre assolutamente personale, condotta tra le pareti silenziose di una stanza, chiusa in noi stessi e aperta, solo per un lato, al mondo.

“L’insegnante di lettura deve essere in grado di svolgere una lezione teatrale o, come si dice oggi, di “performare” la lettura e il suo processo che ha peraltro diversi legami con l’esperienza del corpo, del respiro, della scoperta di se stessi in una dimensione spirituale ma inseparabile da quella corporea.”
Pag. 126

Questa è un’affermazione che piacerebbe tantissimo agli amici del poetry slam, che di queste problematiche si occupano. Leggere bene, però, non è fare uno spettacolo. Non devo far vedere il mio io nella lettura. Io devo essere trasparente. Io non amo Benigni che legge Dante. Anzi, lo detesto proprio perché vedo Benigni e non Dante e la gente questo vuol vedere; perché anche Benigni a suo modo, malgrado giochi il ruolo dell’intellettuale impegnato di sinistra, è cosciente di utilizzare le stesse armi di seduzione che si usano a destra e a sinistra. Mi interessa di più, a questo riguardo, l’umiltà e la partecipazione del lettore Caproni – quale miglior insegnante per i bambini, ma anche il più invidiato e incompreso dai colleghi, del maestro poeta! -

Ultima cosa: la letteratura, l’arte in generale, proprio perché espressione di un innato sentimento umano, non detengono un vero potere e per questo sono più fragili e attaccabili. Non sottovaluterei, come, mi sembra, tenda a fare Rondoni, anche se in funzione di un contrastare il vizio a un’inadempienza educativa, il problema di cosa sia diventata oggi la comunicazione e lo sanno molto bene gli insegnanti, sia quelli che si sforzano di insegnare bene, sia quelli che insegnano male. La comunicazione oggi è un diavolo dal quale è sempre più difficile difendersi.
Molte volte mi sono detto, o è stato detto, soprattutto da genitori o da qualche collega sensibile e intelligente: “ ciò che hai loro insegnato se lo porteranno per sempre nella vita”. Ci ho creduto anche io, ma ultimamente non più. Dimenticano, invece: perché la comunicazione, oggi, non è mettere parole insieme, come si fa col pane tra amici, tra pochi, ma riuscire a sedurre più dell’altro. La scuola successiva fa dimenticare, proprio perché è predisposta a considerare solo il valore delle esperienze standard, non delle esperienze extra ordinarie. Il diavolo della comunicazione, marchingegno a basso costo o gratis, specchietto per le allodole, fa poi il resto. E a scuola, in genere, fra gli insegnanti, vige la regola di una mediocritas, e questo per non pestarsi i piedi, per non suonare né troppo sotto né troppo sopra il rigo musicale dell’insegnamento e della vita.

Sebastiano Aglieco


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