di Giovanni Agnoloni
Davide Sapienza, La Valle di Ognidove (Galaad Edizioni)
C’è un’intuizione potente, alla base de La valla di Ognidove di Davide Sapienza: quella dell’ovunque, dell’ispirazione cosmica. Un’intuizione autenticamente musicale, del tipo di quelle che ispiravano la musica del (da Sapienza amatissimo) George Harrison. Una fusione olistica con il Tutto, che trae e restituisce costantemente respiro dalla e alla Natura. È in questo seno immenso proche si muove un personaggio, Ishmael, che del cosmo e del suo incessante rivelarsi è allievo e, in qualche modo, “profeta”.
La soggettività del protagonista – come del resto quella dell’autore – si diluisce in quello spirito cosmico, che è suo “termine fisso d’eterno consiglio”, per parafrasare Padre Dante. Diventa declinazione, ritmo e segreta melodia interiore: una sorta di rosario di esperienze di mistica naturale, nel quale disegnare una carta sarebbe inutile e perfino contraddittorio. Quello che conta, infatti, è lo scoprire mentre si avanza, disegnando un percorso che finisce per ricalcare, spontaneamente, le linee di un profilo geo-spirituale.
Nelle righe di questa fondamentale opera di Davide Sapienza, riecheggiano riflessi di spunti contenuti nei suoi Diari di Rubha Hunish (Galaad), La strada era l’acqua (Galaad) e La musica della neve (Ediciclo), oltre alla sua ricca esperienza di traduttore di Jack London (come sottolineato da Raul Montanari nella sua prefazione). Affiora, cioè, la circolarità del suo sentire creativo, che si fa narrazione pur mantenendosi sempre libero da egoiche affermazioni di autorialità.
Foto di Davide Sapienza (da paolomarzola.com)
Davide, infatti, non è “autore”: è, intrinsecamente e irrimediabilmente, tramite con qualcosa di più ampio, profondo e diffuso. Mi piace dunque – con consapevole provocazione e senza voler suonare blasfemo – parlare di scrittura evangelica, per lo meno se si guarda ai Vangeli (canonici e apocrifi) non come semplici “storie” o “campionari di parabole”, ma come scritture impregnate della percezione intuitiva delle radici viscerali della dimensione umana.
Come per i veri poeti della Natura, da Lucrezio a Mario Rigoni Stern, l’Ognidove di Sapienza va dunque letto come parte di un flusso che inizia prima della prima pagina e prosegue ben oltre l’ultima.
È un viaggio senza origine né meta, ma con un costante durante/ovunque, nel quale si parte, si arriva e si procede, ospiti della goccia di Eterno racchiusa in ogni attimo di vita materiale.
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