Dopo aver assistito all’esibizione di Davide Van De Sfroos nel padiglione nuovo tutto vetrate del parco di Villa Erba di Cernobbio (Como) non si può che giungere a una conclusione: sulle due sponde del lago è celebrato quasi come se fosse l’ “Eroe dei due Mondi”. Venerdì sera, graziata dalle condizioni del tempo, una volta tanto – in un’estate “anomala” come quella in corso – non avverse, una folla nutritissima lo attendeva impaziente, i più fortunati avevano occupato gli esigui posti a sedere messi a disposizione (si voleva forse fare economia?), io ero in quarta fila e i “ritardatari”, tutti in piedi, alcuni addirittura rassegnati a passare le due ore circa di spettacolo nel viottolo ghiaioso davanti all’ingresso, all’aperto. L’accoglienza riservata al musicista è stata non solo calorosa, persino confidenziale, come se si stesse salutando un amico e probabilmente, per qualche gruppetto presente, un compaesano, c’era chi srotolava striscioni della società calcistica locale, di cui De Sfroos è tifosissimo e chi faceva, entusiasticamente, nelle ultime file, un baccano d’inferno, quasi fosse suonata la ricreazione a scuola. Dal personaggio bisogna attendersi sempre qualche trovata originale e tanta improvvisazione e così puntualmente è stato, invece di presentarsi subito sul palcoscenico, ha scostato le tende che coprivano un finestrone in alto in fondo alla sala e si è semplicemente affacciato, come se fosse da casa sua, salutando e ringraziando i presenti. Ha poi raggiunto il suo “posto di combattimento” di fronte alla platea e ha attaccato infaticabilmente con il suo repertorio, con appena qualche interruzione, dandone una panoramica esauriente, seduto su uno sgabello e con l’immancabile chitarra, accompagnato anche da un violinista. Su uno schermo di fianco a lui, negli intervalli previsti, scorrevano filmati riuniti sotto l’intitolazione “Terra & Acqua” in cui appariva egli stesso in qualità di “guida” d’eccezione, che ritraevano un “piccolo mondo antico” che oggi sembra scomparso, soffocato dalla civiltà ipertecnologizzata e invece, nei piccoli centri del fondolago è tuttora vivo e pulsante, De Sfroos ha percorso a piedi itinerari (fisici ma anche, anzi, soprattutto, dell’anima) battuti raramente, attraverso luoghi impervi, regno incontrastato, ha detto “dell’aquila e della vipera” da cui si gode una vista che toglie il fiato, di brume e sottostanti paesaggi lacustri, è stato alla Madonna del Ghisallo, cara ai più grandi ciclisti, che sono passati di lì, ha raccontato un microcosmo di “dimenticati”, come un pugile della zona, “detronizzato” tanti anni fa dal podio praticamente col titolo mondiale già in mano e poi chi esercita, coraggiosamente, mestieri che nessuno più ricorda, come chi ancora scava nelle (poche) cave di pietra rimaste in quel territorio e chi intaglia maschere per il Carnevale di Schignano, molto nominato in tali contrade, curiose alcune figure in cui i partecipanti amano travestirsi, fra cui la tradizione prevede l’”emigrante ricco” e il “brutto”, non poteva mancare naturalmente, cavalcando miti e leggende, l’accenno ai tanti roghi di streghe, di cui furono fatte innumerevoli stragi nelle valli circostanti, rievocati, a cadenza regolare, come si è fatto vedere nelle immagini, dall’annuale festa della “Giubiana”.
Trascinante il ritmo dei brani musicali, che spaziano dall’etnico-folk-country al rock duro, anche se quest’ultimo non è lo stile prevalente mentre è pressochè incomprensibile ai non nativi (è il mio caso) il dialetto, più aspro del milanese, che, come ha detto De Sfroos, è “lombardo occidentale variante laghée (ndr ossia del lago)”, con molti suoni onomatopeici, inframmezzato da parole (sembra anche inventate) in inglese, tuttavia il combinarsi di tutti questi elementi dà vita a un effetto “calderone” colorito, piacevole e divertente.
Il pezzo più celebre, su cui si è levato all’unisono il coro di tutti quelli che masticavano con scioltezza questo singolare “idioma” è stato “Yanez”, arrivato quarto a Sanremo 2011 e certificato disco d’oro, nel 1999 De Sfroos ha ricevuto il prestigioso “Premio Tenco”; il suo ultimo lavoro, innovativo per un “sound” che esce un pò dai binari per lui consueti è “Goga e Magoga”.
E’ uno degli ultimi cantastorie.
by Fede