In questi ultimi anni, ho avuto la fortuna di viaggiare molto. Zaino in spalla o trolley alla mano. Parti, arrivi, visiti gli highlights suggeriti, torni. Sempre di corsa. Non sempre, per ragioni di tempo/cash, si ha la possibilità di fermarsi in una città per una settimana e viverla. E per viverla, non intendo il backpacker che viaggia tutto il sud-est asiatico in due mesi e poi lo ritrovi a fare colazione da Starbucks o al McDonald a cena, perché è stanco dei noodles. Il backpacking come “way of life” ti porta a vedere molto in poco tempo, ma quello che condividi, molto spesso non è con la gente del luogo, ma con gli altri backpackers di turno.
A Bangkok, mi sono fermato per una settimana, non sono uscito tutte le sere alla ricerca della festa di grido, ma vissuto da turista di giorno e da “expat” di sera. Non mi è pesato non andare nel ristorante consigliato dalla guida, ma cenare nei posti abituali di chi vive qui. Non cambierei il divano di casa di Edo per un “8 bed dorm” in Kao San, zona centrale e affollata di BKK.
Ciò non toglie che abbia fatto tutte le cose turistiche possibili: ho visitato i Templi di Wat Arun e Wat Po, ho assaporato i colori e sapori di Chinatown e, per non farmi mancare nulla, anche tappa a Soi Cowboy, assimilabile al Red Light District di Amsterdam.
E’ stato altrettanto interessante parlare con Edo e i suoi amici italiani del loro amore per la Thailandia, capire perché si trovano così bene, ma anche perché non vedono a Bangkok e in Thailandia il loro domani.
Ciò che mi ha fatto più piacere è stato rivedere un amico brillante, che sicuramente non vedo spessissimo, ma con cui è sempre un piacere trascorrere del tempo, per le sue opinioni mai banali e scontate. (Mia mamma starà pensando: “Mi raccomando la prossima volta che torna in Italia, devi assolutamente invitarlo, così lo conosco anche io”).
Avrei potuto vedere le stesse cose in minor tempo e mettere un’altra bandierina sul mio zaino, ma è andata meglio così!
Grazie. I mean it
G.