I libri Quinto e Sesto descrivono la seconda invasione della Britannia e della Germania (anni 54-53). Certamente per un letterato hanno un grande valore e consegnano il Divo alla Storia come un antropologo ante litteram, ricchi come sono di notizie sulle società barbare. D’altra parte sanciscono una Grande Verità: Cesare se ne infischia della rischiosità delle sue imprese. Non ragiona mai in termini di quanti vantaggi gli porterà la tale spedizione — voleva vedere cosa c’è oltre il Reno, si è progettato il ponte da solo e c’è andato; voleva farsi un’idea della Britannia, s’è disegnato le navi adatte ed è partito; una volta arrivato gli rompeva di aspettare le navi con le macchine da guerra ed è sbarcato sotto i proiettili nemici (ricordate i legionari che saltano nella melma con l’acqua alla cintola, giavellotto e gladio in pugno, bagaglio in spalla); un’altra volta ancora aveva fretta di attaccar battaglia, non ha tirato in secco le navi e se l’è fatte distruggere da una tempesta. Perché lui vale.
E troppe volte ha consapevolmentesfiorato il disastro. Ironia della sorte, lo ricordiamo come un tipo prudente. Bella pensata, Giulio.
Dov’eravamo rimasti
Essenzialmente a quando lui ha allegramente abbandonato i suoi ufficiali, perso una legione e mezza, rischiato le tre di Labieno e dovuto personalmente salvare il piccolo Cicerone, assediato da sessantamila germani. Quanto a questi ultimi, li ha invasi solo per constatare che in confronto a loro i Romani sono anemici e se n’è tornato da questa parte del Reno dopo pochi giorni. Figuraccia.
Normalmente, Roma avrebbe riso di queste “imprese”, volte a riacquistare la dignitas del generale e portate a termine per miracolo. Invece la stella di Cesare è in continua ascesa e il Senato è costretto a dedicargli decine di giornate festive, nonostante la strenua opposizione di Marco Porzio Catone e compari.
Sempre fra i piedi, ‘sti conservatori tutti fichi e mos!
Catone combatte sempre contro i mulini a vento, ma ha ragione. È assurdo che un generale se ne vada a zonzo per l’Europa con un esercito enorme quando Roma è in piena crisi politica e finanziaria!
In città però si parla di tutt’altro. Il tribuno Clodio, idolo delle masse, è appena stato massacrato dal rivale Milone e lasciato letteralmente a morire per strada. Il popolo lo cremerà mandando in cenere la Curia Hostilia, sede delle riunioni del Senato per seicento anni. Ovviamente Cicerone difenderà l’assassino con un’orazione vergognosa.
***
La Gallia è una polveriera. Gli indigeni sono pronti a ribellarsi al primo passo falso di Cesare. I Romani hanno perso la loro aura d’invincibilità e sanno che non riceveranno aiuti dalla penisola né possono permettersi di farsi rubare le salmerie, perché il cibo scarseggia.
Momento: perché non dovrebbero arrivare rinforzi dall’Italia?
E su proposta di chi? Pompeo l’ha già rifornito di soldi e soldati, e in più il decreto originario del Senato prevedeva che Cesare si facesse bastare due legioni. Se la dovrà cavare da solo.
Tale situazione ha qualcosa in comune con quella greca alla vigilia delle Guerre Persiane: la potenza livellatrice che invade tutto quel che vede, l’estrema divisione politica che convive con uno spiccato senso di appartenenza, la volontà comune di sacrificare tutto per resistere, le scarsissime possibilità di successo. Inoltre, sia Greci che Galli le tentano un po’ tutte per vincere: i primi combinando battaglie terrestri e navali, gli ultimi azzardando assalti diretti, guerriglia, assedi. Ed è proprio con questi ultimi che i Galli si condanneranno, fra poco.
Start!
Il Settimo Libro inizia con Cesare che, tornato in Italia, si mette a reclutare come non ci fosse un domani. Per la trentordicesima volta, i Galli tentano di separarlo definitivamente dall’esercito, che come al solito è rintanato un po’ qui e un po’ là oltre le Alpi. Il popolo più motivato sono i Carnuti, gente mai sentita prima, che pensa bene di ammazzare tutti i cittadini romani di Cenabo. Tra cui, per la cronaca, anche un fornitore di grano di Cesare.
Solita cartina OGM. In rosso l’ubicazione dei Carnuti e di Cenabo, la loro città principale.
In quindici ore la notizia si diffonde fino alla nazione arverna. E fra gli Arverni c’è un certo Vercingetorige.
La distanza percorsa è pari a quasi 260 km, la stessa che separa in linea d’aria Firenze e Roma. Sapendo anche il tempo impiegato, possiamo ricavare la velocità media: fra i 15 e i 20 chilometri orari. Credibilissimo, eh? :D
Il giovane principe incita immediatamente i propri clienti alla sommossa, prima dalla capitale e poi, quando ne viene cacciato, dalle campagne. In questo modo forma un esercito di sbandati, con cui accelera i tempi: in men che non si dica prende possesso di Gergovia, si fa re degli Arverni, riunisce tutti i popoli dall’oceano all’odierna Parigi e si pone al comando della fazione gallica.
L’idea è quella di reclutare a forza anche i Galli fedeli a Roma. Per questo divide l’esercito in due: la parte scelta da Vercingetorige si dirige a nord, l’altra a sud, invadendo la Gallia Transalpina*, Provincia romana, e minacciando Narbona.
Altra cartina OGM. In realtà Cesare non dice se Lucterio, capo della spedizione a sud, abbia fatto quel viaggio tutto curve. Certo è che sia stato presso tutti quei popoli.
L’obiettivo del re sono i Biturigi. Essi vanno a lamentarsi dai padroni edui i quali, dietro consiglio dei legati di Cesare, inviano i rinforzi. E che gran bei rinforzi! Arrivati sulla Loira, confine coi Biturigi, si siedono lì per qualche giorno e poi se ne tornano a casa senza aver fatto niente. A detta loro, se avessero passato il fiume sarebbero stati accerchiati da un enorme esercito nemico. Come Cesare si premura di specificare, non c’è da credere a queste pappemolli. L’unica cosa è sospirare e lasciar correre.
A proposito del Divo. Quando viene a sapere delle prime manovre di Vercingetorige è ancora in Italia, ma si muove così in fretta che, all’arrivo di Lucterio, la Narbonense e le nazioni che si frappongono tra essa e i nemici pullulano di legionari.
Respinto Lucterio, siamo nelle condizioni di infierire sugli Arverni in tutta calma. Certo, sono un tantino fuori mano — attraversare le Cevenne con due metri di neve non dev’essere stato il massimo — ma il vantaggio è grande: Vercingetorige, che abbiamo lasciato in un punto imprecisato “a nord”, è ora privo di alleati e con un popolo sofferente. È dunque costretto a tornare in picchiata verso la patria. Cesare gli taglia la strada presso i Lingoni (intorno all’attuale Champagne) con tutte le legioni a portata di mano, costringendolo a deviare attraverso i Biturigi e ad assediare Gorgobina, unico oppidum dei Boi.
I Boi sono gli ebrei della situazione, ogni tanto vengono cacciati in un angolo dimenticato dagli dèi e resi vassalli di qualche popolo più utile. Cesare per esempio li ha recentemente deportati fra gli Edui, dove si trovano tuttora.
A questo punto il valoroso Cesare condivide con noi i suoi dubbi amletici: attaccare o non attaccare? Naturalmente, spostarsi è una seccatura: è inverno, c’è la neve e c’è il solito problema degli approvvigionamenti.
Però…
Però…
Okay, si parte. Destinazione: i Biturigi.
Perché non azzannare direttamente Vercingetorige?
Perché qui conviene davvero essere prudenti e staccare una a una le membra del corpo gallico: lo scopo è pacificare una futura Provincia, prima ancora che sconfiggere il capo di turno. Infatti il Settimo è il libro degli assedi.
Nella marcia, già che c’è, il nostro assedia tutte le città a tiro. Vallaunoduno, oppidum senone, si arrende in due giorni. Cenabo, dei Carnuti, viene saccheggiata e distrutta.
A questo punto Vercingetorige inizia a mostrare di che pasta è fatto. Lascia perdere l’assedio a Gorgobina, tanto ormai si è capito che a Cesare non importa niente di soccorrere i propri alleati, e gli corre dietro. Con un tempismo tale da far sanguinare il naso a un otaku della storia, lo raggiunge proprio mentre Novioduno gli sta consegnando ostaggi.
I cittadini, Biturigi, si fanno forza e chiudono le porte della città, non intrappolando per un soffio i centurioni già entrati. Nonostante uno scontro di cavalleria abbastanza preoccupante da richiedere l’impiego di quattrocento Germani, i Romani se la cavano con poco (e alla fine Novioduno si arrende davvero).
Basta schiacciare un ultimo oppidum affinché i Biturigi cadano in ginocchio: Avarico.
Per Vercingetorige è il momento di cambiare tattica. Ha visto che è stato facile spaventare i nemici con la cavalleria che si ritrova, quindi avrebbe senso usarla per farli morire di fame: incendiare campi, sgraffignare bagagli alle colonne in marcia e altre cose da teppisti. Uhm, dov’è che ho già sentito questa storia? Ah, forse in praticamente tutti gli altri Libri del De Bello Gallico. Be’, tu impegnati, Cingy caro.
E se il giovane gallo ha dimostrato di non essere un idiota, adesso vedremo quanto grezzo sia il suo genio.
Supponendo che Cesare sia attratto dai grandi centri abitati — che di solito sono i meno fortificati — convince il consiglio di guerra a radere al suolo le città diventate rifugio di chi non può o non vuole combattere. Giustissimo! Se l’avesse fatto prima i Romani avrebbero avuto vita dura. E così in un solo giorno vanno a fuoco venti villaggi biturigi e molti altri in tutta la Gallia. Tranne uno…
Già, proprio Avarico. Dopo molto tentennare, Vercingetorige la risparmia in quanto “città più bella di Gallia”.
O almeno Cesare la racconta così. In realtà la prossima mossa del condottiero gallo fa pensare che avesse previsto il comportamento del Divo. Infatti le legioni puntano proprio su Avarico, e Vercingetorige le segue con calma. Sotto le mura della città le due armate si accampano l’una a ventiquattro chilometri dall’altra.
Il terreno è inadatto a un vallo, così il castra romano viene protetto solo con un terrapieno, delle tettoie e un paio di torri. Inoltre gli Edui e i Boi, vuoi per la generale povertà al settimo anno di guerra, vuoi per la scarsa lealtà alla causa, portano ben poco cibo in dono.
In queste condizioni, come sempre nella carriera di Cesare, l’esercito è di ottimo umore. Il generale può anche permettersi di assicurare la ritirata, se i soldati lo vogliono: tanto quelli gli rispondono che non hanno mai lasciato un’impresa a metà né vogliono iniziare ora. Anzi, fosse per loro si scaglierebbero a corpo morto contro Vercingetorige, or ora piazzatosi in un’ottima posizione, e Cesare deve calmarli: Avarico verrà presa solo e soltanto per assedio.
Nel frattempo Vercingetorige passa i suoi guai con gli alleati, costretto a difendersi dall’accusa di tradimento. Lo lasciano parlare un po’ e la conclusione è
Vercingetorige era il loro capo supremo, non si doveva dubitare della sua fedeltà, nessuno avrebbe potuto condurre la guerra con senno maggiore.
Inizia ora una parte un po’ sconnessa, in cui Cesare si concede qualche intervento personale in più e che mi diverte immensamente. Quindi la spezzetterò in tre episodi, anche se potrei tranquillamente saltarla. ^_^
Prima digressione: i Galli imparano dagli avversari
È nell’interesse di Cesare esaltare l’ingegnosità del nemico sconfitto, ma d’altra parte è dovuto: finora i Galli ci sono sembrati dei bambini che giocano alla guerra. Certo, io stessa ho contribuito a rendere grottesche le loro azioni — ricordate i Germani che vanno col bob? O che pensano di bloccare la corrente di un fiume coi propri corpi?
Fatto sta che
i Galli, popolo di grande vivacità, capacissimo di imitare e rifare qualunque cosa da qualunque persona gli venga insegnata
stendono dei lacci perché le falci non trovino l’appiglio sulle mura, se ne impadroniscono, scavano sotto il vallo per farlo crollare, erigono torri tanto più alte quanto più il detto vallo cresce (proteggendole tra l’altro con delle pelli), fanno sortite notte e giorno, ostruiscono le gallerie scavate dai legionari con pali appuntiti, pece bollente e massi e in generale danno un gran fastidio. Si rendono così inattaccabili dal terreno.
La reazione romana, come sempre per niente esagerata.
Fa freddo e piove, si lamenta con noi Cesare. Nonostante ciò, in venticinque giorni appare dal nulla un terrapieno lungo cento metri e altro ventiquattro, che i difensori si affrettano a incendiare. Segue una massa di Galli che erutta dalle porte della città e lancia fiaccole dalle torri.
Era quindi difficile, in tale situazione, decidere dove accorrere e portare aiuto.
Così difficile che le due legioni lasciate appositamente a riposo con l’unico scopo di proteggere il castra riescono sia a respingere i difensori che a spegnere gli incendi. L’hanno proprio colto di sorpresa, povero Cesare!
Seconda digressione: Cesare intellettuale
Nel solito momento in stile “Tutto è perduto, non v’è speranza alcuna!” che precede la rimonta dei legionari,
accadde, davanti ai nostri occhi, un fatto che ci sembra veramente degno di ricordo e che perciò non tralasceremo di narrare.
C’è infatti un punto, sulle mura di Avarico, che gli scorpiones raggiungono particolarmente bene. Nonostante il gallo che occupa quella posizione venga puntualmente abbattuto dai proiettili, c’è sempre qualcuno a prendere il suo posto, all’infinito. Non gli importa un fico secco di andare incontro a morte immediata (e inutile)! Bah.
Pillola di LOL: si salvi chi può!
I galli misero in opera ogni espediente, ma visto che non riuscivano a ottenere alcun vantaggio, il giorno dopo decisero di fuggire dalla città, per consiglio e ordine di Vercingetorige.
Ora, lasciatemelo dire: ma a che diavolo sta pensando Vercingetorige? Prima risparmia Avarico in quanto “bella”, poi si apposta a distanza di sicurezza sia dalla città che dai Romani, inviando rinforzi insufficienti (10.000 armati, e i legionari sono tre volte tanto). Adesso ordina di abbandonare il posto senza nemmeno tentare un attacco congiunto? Chiamasi spreco di risorse.
Ad ogni modo le donne non ci stanno. Che fanno i mariti, se la svignano lasciando indietro i bambini? Visto che le lacrime non li smuovono di un millimetro
— per lo più, infatti, al momento del supremo pericolo la paura non lascia posto alla pietà —
(Cesare, meno osservazioni geGnali, per favore) le mogli fanno la spia agli assedianti e il tentativo di fuga non parte nemmeno. Complimenti ai Biturigi. Se fossero sopravvissuti sarebbero certo stati il primo popolo barbarico ad approvare una legge sul divorzio.
L’agger e le file di vineae, gallerie mobili di tettoie coperte di pelli, in un’illustrazione di Adam Hook.
I difensori, non sapendo come destreggiarsi tra madri/mogli/suocere e Cesare, hanno il morale a pezzi. È il momento di attaccarli!
Ventiquattr’ore dopo la tentata fuga questi Prodi Guerrieri hanno abbandonato il muro in favore di un più virile schieramento a cuneo negli spiazzi della città, decisi ad affrontare i Romani in regolare battaglia. Questi però salgono sulle mura e li accerchiano. Sono così incattiviti da anteporre l’inseguimento al saccheggio. Così, da 40.000 che erano, al campo di Vercingetorige arrivano in 800 – il 2%, “quelli che erano fuggiti alle prime grida”.
Al capo della coalizione gallica tocca accoglierli con parole d’incoraggiamento e smistarli nell’accampamento, ma di nascosto — la disciplina è tale che, se si venisse a sapere del loro arrivo, si solleverebbe un gran chiasso. E non c’è bisogno di chiamarsi addosso un’orda di legionari assetati di sangue!
Comunque, ben lungi dall’ammettere il suo errore, Vercingetorige rimprovera i rifugiati. Eh sì, lui gliel’aveva detto di abbandonare la nave, ma hanno voluto essere indulgenti e adesso guarda com’è finita. Ma fa niente, aggiunge, ci pensa lui a risolvere tutto!
Avrebbe stretto in un solo fascio tutta la Gallia e di fronte a questa unità neppure il mondo intero avrebbe potuto resistere.
*Inserire qui risata malvagia*
Per la prima volta, allora, i Galli cominciarono a fortificare il campo, ed erano così sconcertati che essi, uomini insofferenti a ogni fatica, erano decisi a ubbidire a ogni ordine.
Persino difendersi? Roba da matti.
Ma torniamo ad Avarico. Cesare la trova così piena di scorte che decide di fermarsi fino alla primavera. Nel frattempo fa anche visita agli Edui, che sinceramente in questo libro sono dei gran rompiscatole.
Cesare baby-sitter
Come tutte le mamme premurose, il Divo si fa in quattro per risolvere i problemi dei suoi bambini. Adesso il dramma è che devono cambiare re, ma hanno due candidati! Sono persino arrivati sull’orlo della guerra civile e c’è il rischio che uno dei contendenti si allei con Vercingetorige. In più i magistrati edui non possono viaggiare, quindi Cesare deve assentarsi nel bel mezzo della guerra.
A fine inverno l’esercito si divide. Labieno marcerà su Senoni e Parisii con quattro legioni (perciò lo perderemo di vista a lungo), Cesare sugli Arverni e Gergovia con sei. Vercingetorige, ovviamente, seguirà il secondo gruppo.
Dapprima i due eserciti viaggiano di pari passo, separati dal fiume Elaver (Allier) — Cesare sulla sponda sbagliata. Tocca attraversare, ma non ci sono ponti né si riesce a guadare. Il trucco che escogita fa molto Looney Tunes e consiste nel nascondersiin un bosco con due legioni, mandando avanti le altre. Vercingetorige l’Astuto passa oltre senza accorgersene, le due legioni ricostruiscono indisturbate un ponte distrutto, attraversano e proteggono il passaggio del grosso dell’armata, che nel frattempo è tornata indietro. Trollato, il nostro Vercingetorige se ne scappa più avanti “per non essere costretto a combattere contro la sua volontà”.
Così si giunge a Gergovia, un posto interessante di cui parleremo nella seconda parte.
Fine prima parte del Libro Settimo: guerra contro i Biturigi.
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*Ci sono un sacco di sinonimi per distinguere la Gallia meridionale da quella italica, rispettivamente: comata/bracata e togata, ulteriore e citeriore, transalpina e cisalpina. Per semplicità d’ora in poi userò il termine Narbonense, visto che la città di Narbonne esiste tutt’oggi.
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