Se c’è un regista che ha fatto dell’esagerazione la sua ispirazione personale, questi è l’australiano Baz Luhrmann.
Esagerazione come modello da seguire, esagerazione come chiave di lettura dei suoi film di maggior successo, esagerazione come atteggiamento nei confronti di testi che non sono proprio alla portata di tutti, e mi riferisco agli adattamenti cinematografici del dramma Romeo e Giulietta e del romanzo il Grande Gatsby, rispettivamente di due padri fondatori della letteratura mondiale, William Shakespeare e Francis Scott Fitzgerald.
Avere a che fare con l’arte che questi due signori hanno scritto nero su bianco metterebbe in crisi qualsiasi regista moderno, anche perché tradurre in immagini quello che le opere suscitano nella testa dei milioni di lettori che le hanno apprezzate è un’impresa parecchio difficile, quasi impossibile. E la strada per arrivare ad una trasposizione accettabile, o onesta come direbbe Hemingway, è delimitata dalle decine di tentativi di chi ci ha già provato prima fallendo più o meno miseramente. Vi basti pensare agli Amabili Resti di Peter Jackson, o ancora peggio al suo Hobbit. Tolkien si sta rivoltando nella tomba.
Ma torniamo a Baz e alla sua esagerazione.
Tanto in Romeo+Juliet quanto ne Il Grande Gatsby, Lurhmann stupisce per il metodo attraverso il quale manipola una trama complessa e la arricchisce con elementi che, presi separatamente, farebbero storcere il naso anche al modernista più eccentrico, ma che nell’insieme formano un qualcosa di:
1) nuovo
2) originale
3) adorabilmente esagerato
Se il riadattamento in chiave moderna, e in forma credibile, dell’opera di Shakespeare aveva comportato un coefficiente di difficoltà piuttosto alto, il risultato finale è convincente e coinvolgente e, soprattutto, attira i più giovani, quelli che manco sanno chi è Shakespeare e chi sono Romeo e Giulietta, rischiando di realizzare uno dei miracoli che nell’era moderna significherebbe davvero qualcosa di positivo: riavvicinare i giovani ai classici della letteratura.
Ne Il Grande Gatsby il genio di Luhrmann è ancora più evidente ma anche la difficoltà è più alta. E di molto. Non perché Fitzgerald sia uno scrittore migliore di Shakespeare (i due sono inconfrontabili) ma piuttosto perché la storia dello scrittore americano procede per passaggi molto complicati e interconnessi, in cui i vari personaggi si auto-descrivono attraverso le azioni che compiono. Questo da riportare in un film è, secondo me, molto difficile. Allora giù a esagerare già nella fotografia, e poi anche nelle inquadrature e infine nella musica: l’uso della musica elettronica potrebbe far accapponare la pelle ai non appassionati del genere (io sono tra quelli) però l’utilizzo razionalizzato e la scelta delle immagini fa il miracolo e quasi non ti accorgi che stai guardando un film ambientato negli anni 20 con un sottofondo di musica elettronica!
La misura si colma con il brano usato per il trailer (e purtroppo non per il film): una cover di Happy Together dei Turtles. Una splendida cover elettronica realizzata dai Filter, che sono classificati come band industrial rock.
E se non è esagerare questo!!
Ringraziamenti: è strano ringraziare alla fine di un post ma non posso astenermi. Grazie all’amico Marco Goi di Pensieri Cannibali per aver ispirato il post. Seguite il collegamento per approfondimenti sul cinema, ve lo consiglio vivamente.
L’altra ringraziamento va a Giuseppe Causarano, il nostro Giuseppe, a cui ho invaso il settore di lavoro con questa mia digressione.