Quella di Stefano Papetti sembra davvero una favola, ed è bellissimo ascoltarla tanto da desiderare al più presto condividerla, perché rappresenta il classico sogno divenuto realtà, con una passione coltivata per anni che per caso o per magia si è concretizzata nell’azienda De Fermo a Loreto Aprutino.
Era ancora un ragazzino quando Stefano insieme all’amico Federico Orsi (oggi titolare dell’azienda Orsi Vigneto San Vito) incominciò ad appassionarsi di vino. Ogni paghetta la investiva in bottiglie e curiosava in questo mondo affascinante, col sogno di avere un giorno le sue vigne e produrre il proprio vino. Cresceva, beveva vino, e diventava avvocato. Nel frattempo conosce la futura moglie Nicoletta De Fermo, di origine abruzzese, e già nel 2001 mette piede sulle terre aprutine, ancora ignaro del suo futuro. Stefano si sposa con Nicoletta, proprio a Loreto Aprutino, ma è il 2005 e continua ad essere all’oscuro del suo futuro. Passa qualche tempo e l’ambiente di lavoro e il caos cittadino bolognese mettono a dura prova i nervi di Stefano, che sente il bisogno di resettare, così Nicoletta gli suggerisce di andare nella vecchia tenuta di famiglia, nelle campagne di Loreto Aprutino. E’ lì che scocca un altro colpo di fulmine, quello con le vigne, allora gestite da un fattore locale. Il paesaggio e la forza di queste piante sprigionano una bellezza che affascina Stefano, che decide ben presto che questo patrimonio è da recuperare opportunamente e valorizzare. Allora non correva grande amicizia col fattore che occupava la proprietà De Fermo, e Stefano non si era permesso di curiosare nei portoni del piano terra. Un giorno però scatta la curiosità, e come in un film apre il primo portone e trova una vecchia Fiat Campagnola parcheggiata all’interno, tra attrezzi impolverati e ragnatele. Ma dietro la porta successiva gli si rivela la scena che cambierà la sua vita.
Spalancati i battenti vede davanti a sé alcune botti grandi e piccole sui lati, vasche di cemento, e una pompa per il travaso, tutto posizionato come se chi lavorava in cantina si fosse appena allontanato col proposito di riprendere a breve le sue operazioni. Ma la realtà era quella di difficoltà economiche che avevano interrotto le attività della cantina nel 1955, e da allora tutto era rimasto immutato dietro quei portoni di legno.
Nel 2010 parte la prima prova di vinificazione, con sole 4000 bottiglie, un piccolo esperimento considerati i 17 ettari totali di proprietà, di cui ricava solo lo stretto necessario per la sua produzione, veramente a livelli artigianali, che conta oggi circa 25 mila bottiglie annue. Se in cantina ama lasciare i vini a contatto con l’aria e non intervenire tecnicamente, lasciando che il tempo e la qualità della materia la faccia da padrona.
La vigna è la cosa che ha conquistato Stefano al primo incontro, con un ambiente dove si trova a suo agio, dove ritrova se stesso e la propria pace, tanto da sentirsi quasi meglio tra i filari che in mezzo ai bipedi. Persino la figlia di 5 anni gli ha chiesto “perché quando sei qui cambi cervello?”. La domanda contiene in sé la risposta, e Stefano mostra tutto il suo attaccamento al lavoro, alle fatiche della campagna che riallacciano l’uomo con una dimensione più concreta ed essenziale della vita, allontanandolo da problemi futili e concentrandolo sulla fatuità della vita, rendendolo consapevole della provvisorietà delle persone e delle cose, così facilmente preda degli eventi, in campagna specialmente di quelli atmosferici, capaci di sovvertire intere stagioni di lavoro. La vigna come scuola di vita, come esperienza che andrebbe fatta provare a tutti, per tornare in contatto con la terra e con se stessi.
Il suo amore per la terra si traduce anche nella scelta di seguire i principi della biodinamica, per ottenere un prodotto prima di tutto sano, nelle uve come nell’olio, di cui ha una piccola produzione, e dei grani, che coltiva per garantire una fornitura di pasta a familiari ed amici, nella certezza della salubrità del prodotto d’origine (argomento dibattuto e condiviso anche con Francesco Paolo Valentini).
Purtroppo saltiamo il giro in vigna, ripromettendocelo tassativamente per la prossima occasione, perché capito in una giornata convulsa, dove ho il piacere di incontrare Alessandro Morichetti (Doyouwine e Intravino) e scambiare con lui idee e opinioni, e incrociare un personaggio incredibile (grande accademico del vino, dell’olio e non solo) come Leonardo Seghetti.
Ripetiamo l’esperimento dei bicchieri anche sul Prologo 2012, da annata ancora più calda, che regala forti sensazioni balsamiche, note di alchermes che si mischiano a ciliegia matura e cioccolato. Anche qui la beva è scorrevole nonostante la materia, e chiude un poco asciutto su belle note di amarena in confettura e cacao, con tannino ben integrato e fine.
Prima nella scala degli assaggi si presenta il Pecorino Don Carlino 2014. Si apre generoso su frutto giallo maturo di pesca e banana, con note erbacee di salvia e mentuccia. Vivida la sua verve acida, perfetta a sostenere la sua trama ricca (14%) dal finale di frutto dolce e fini note di aromatiche, con tanto sale e ricordi di cereale.
E’ l’imbrunire quando lasciamo De Fermo, con la promessa di tornare presto, e con la certezza di un’altra produzione che non potrà mai mancare nella mia cantina.
PS: i caratelli della foto ospitano il passito Piè Tancredi, da uve pecorino, in produzione ovviamente esigua, provato al Vinitlay a marzo, una vera bomba.
Tagged: autoctoni, biodinamico, cerasuolo, Cince, Don Carlino, Launegild, Montepulciano, pecorino, Prologo