De Nicola e Tremonti, i giganti e i nani. Ogni nazione ha le stature che si merita
Creato il 12 agosto 2011 da Massimoconsorti
@massimoconsorti
C’è un tempo in cui si giganteggia e uno in cui si naneggia. In questo, evidentemente, prevalgono i nani. Giulio Tremonti va in Commissione Bilancio, espone la sua “ricetta” anticrisi come se fosse il menu del Ristorante dei Senatori, scontenta tutti, si becca fischi e reprimende e dimostra ancora una volta, costringendoci alla reiterazione concettuale, che di economia non capisce una mazza. E che quel poco che capisce, si riduce a tasse, tagli e licenziamenti. Ma sempre dei poveracci perché i ricchi, e lui lo nacque, non devono piangere. Mai. La sua ricetta è semplice: libertà di licenziamento, blocco delle pensioni di anzianità fino alla cancellazione, revisione dell’età della pensione per le donne nel settore privato, contributo straordinario di solidarietà (nei confronti di chi e di cosa?) per i percettori di redditi annui superiori ai 90mila euro, liberalizzazione di tutti i servizi pubblici locali, tagli alla politica? “Non so, vedremo, però ci sono eccessi”, limite all’abuso dei contratti a tempo determinato(e questa sarebbe l’unica nota positiva) ma nessun accenno, ad esempio, alla lotta all’evasione fiscale tanto sbandierata con gli spot televisivi, alla soppressione delle province, al pagamento dell’Ici da parte della Chiesa, al taglio dei contributi alla scuola cattolica, alla ridefinizione dell’8 per mille che ogni anno i cittadini destinano allo Stato e che finiscono invariabilmente in Vaticano. Per Tremonti esistono le caste degli intoccabili e i vescovi lo sono, come le cricche dei suoi amici, come le P2, P3, P4 e P² che avvelenano l’Italia e non pagano una lira di tasse (vedere su tutti il caso-affitto in nero a Milanese). Inutile dire che terminata l’audizione del superministro dell’economia in commissione bilancio (alla presenza di tutti i leader dell’opposizione), si è aperto un fuoco di fila che ha investito in pieno l’ideatore della finanza creativa che di creativo ha solo la cripticità delle proposte formulate appositamente in modo fumoso perché non sono proposte ma boutade da cabaret anni ’80, il più insulso. Tutti contro Giulio, che se la prende perfino con Casini il quale, andando oltre il linguaggio pacificante democristiano appreso stando sulla spalla di Arnaldo Forlani come il pappagallo Loreto, lo rimbecca con un “Questo è scemo, è da ricoverare”, che la dice lunga sull’attuale stato mentale di un ministro che non sa dove mettere le mani. Fuoco di fila anche da parte dei parlamentari della sua stessa maggioranza. Stracquadanio, Crosetto, Malan e la Bertolini hanno fatto sapere che il loro voto in Parlamento non è scontato. Ferrara, Fallica e Fleres del movimento di Micciché hanno dichiarato che non voteranno mai provvedimenti che potrebbero danneggiare il Sud mentre Fini si è detto semplicemente “allibito”. Gli scazzi poi fra Tremonti e Berlusconi davanti al presidente Napolitano sono stati la ciliegina sulla torta di uno stato delle cose di Paese alla deriva che tutti ormai hanno sotto gli occhi. Il più patetico, manco a dirlo, è stato ancora una volta Umberto Bossi, che non si capisce più come diavolo faccia a fare il ministro di questa repubblica non essendo, l’Italia, né un Cantone Svizzero né una contrada di Bergamo. Sapete a chi ha dato la colpa Bossi della confusione che regna in Italia? A Mario Draghi il quale, secondo il complottista paranoico senatùr, ha scritto di suo pugno la lettera che la Bce ha poi inviato a Tremonti, nella quale erano elencati nero su bianco i provvedimento che il governo avrebbe dovuto adottare. Insomma, Mario Draghi fa parte, sempre secondo “cervello in pappa”, della cospirazione demo-pluto-giudaico-massonica che sta minando alle basi la solidità della Nazione. Dopo essersi finalmente deciso a mandare il Trota, erede al trono delle camicie verdi, al Cepu per comprargli una laurea in piena stagione di svendita di titoli di studio, Bossi attesta che fuori dai luoghi comuni leghisti non riesce ad andare e che, non potendosela prendere con i negher (almeno non in questa occasione), se la piglia con Draghi e Tremonti che, secondo lui, qualche origine ebraica devono averla per forza. Eppure viviamo in un paese che ha dato i natali a veri e propri giganti dello scibile umano. L’Italia è la nazione che ha visto nascere Dante Alighieri, Montale e Quasimodo. Giotto, Michelangelo e Raffaello. Verdi, Bellini e Puccini. Statisti come Cavour, Mazzini e De Gasperi. Politici del calibro di Pertini, Berlinguer, La Malfa (padre) e quell’Enrico De Nicola che, da Presidente della Repubblica, non si comprava un cappotto per non pesare sul bilancio degli italiani. E non abbiamo fatto che la sintesi estrema di un elenco che sarebbe lungo, da solo, un intero blog e non un misero post. Giganti, veri e propri giganti dell’umanità che erano nati in Italia, parlavano italiano e pensavano italiano. Poi sono arrivati i nani, i buffoni, i pagliacci, i quacquaracquà, le mezzeseghe,le siliconate dentro e fuori, gli arraffoni e gli analfabeti totali autopromossisi statisti, ed è iniziato l’inarrestabile declino di un paese popolato per la maggior parte da idioti. D’altronde la teoria dei nani che viaggiano sulle spalle dei giganti è vecchia come il cucco. “Bernardo di Chartres diceva che noi siamo come nani che stanno sulle spalle dei giganti, così che possiamo vedere più lontano di loro non a causa della nostra statura o dell’acutezza della nostra vista, ma perché, stando sulle loro spalle, stiamo più in alto di loro”. (Traduzione dal latino di Umberto Eco, da “A passo di gambero”, Bompiani, 2006/2007). Noi le fonti le citiamo sempre. Noi.
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