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Dead man's shoes - Cinque giorni di vendetta

Creato il 16 novembre 2011 da Misterjamesford
Dead man's shoes - Cinque giorni di vendettaRegia: Shane MeadowsOrigine: UkAnno: 2004Durata: 90'
La trama (con parole mie): Richard, militare in congedo, torna nella cittadina d'origine - una qualsiasi della campagna inglese - accompagnato dal fratello ritardato Anthony per regolare i conti con un gruppo di piccoli criminali responsabile di una serie di abusi subiti dallo stesso giovane, completamente in loro balìa nel periodo della ferma dello stesso Richard.
Ha così inizio un vero e proprio gioco al massacro racchiuso in cinque giorni che l'ex militare ha intenzione di dedicare alla vendetta e all'eliminazione di ogni responsabile del dolore patito da suo fratello: Sonny e i suoi, da cacciatori, divengono dunque prede costrette a giocarsi il tutto per tutto per poter sperare di sopravvivere.
Dead man's shoes - Cinque giorni di vendetta
Devo dare atto a Shane Meadows di essere davvero un tipo con le palle.
This is England, la bomba sganciata qui in Italia con un colpevole ritardo di cinque anni rispetto all'anno di produzione, è stata l'apripista per la mia riscoperta dell'autore anglosassone, che passa attraverso quest'altra sorprendente pellicola prontamente segnalatami dal mio compare expendable Frank Manila.
Pur senza il respiro ampio della vicenda del piccolo Shaun, la storia di Richard e Anthony ha tutta la forza delle grandi occasioni, e si inserisce prepotentemente nel filone sempreverde che il Cinema continua a dedicare alla vendetta, uno dei più grandi leit motiv della storia della settima arte. 
Attraverso una vicenda in perfetto equilibrio tra momenti di bucolica attesa ed esplosioni di violenza incontenibile eppure mai sbattuta in faccia allo spettatore - un approccio che mi ha quasi ricordato, in questo senso, quello di Haneke -, la pellicola cattura ribaltando continuamente i punti di vista, riuscendo a creare un legame profondo con il pubblico sia che si guardino le vicende attraverso lo sguardo di Richard - con il suo piglio glaciale da cacciatore esperto -, di Anthony - un innocente perduto, divorato da una società in cui trovare spazio, per i deboli come lui, pare impossibile - o di Sonny e i suoi, che neanche fossimo nel pieno di un film horror passano da carnefici a vittime sacrificali senza quasi rendersene conto, se non nel momento in cui per loro sarà troppo tardi.
La stessa escalation, ritmata dall'imperturbabilità di Richard, assume connotati differenti di scena in scena, passando dal grottesco - il trucco dipinto sul viso dei criminali addormentati, la maschera antigas - al quasi gore - il confronto fuori dal rifugio dell'ex militare, che mi ha riportato alla mente una delle scene più clamorose del Capolavoro A history of violence -, senza dimenticare le fasi di scontro più concitate, che paiono debitrici - pur se con un approccio meno esplosivo nella messa in scena degli atti fisici - della sorprendente trilogia di Pusher.
Un piccolo, grande film, dunque, che mostra una provincia anglosassone quasi sospesa, in bilico tra la bellezza del paesaggio ed i miserabili uomini - in tutti i sensi - che lo popolano, mantenendo un equilibrio invidiabile - neanche, di nuovo, fosse Richard a caccia delle sue prede - dedicandosi solo ed esclusivamente ai protagonisti ed inserendo - probabilmente anche per motivi di budget - un numero di comparse e comprimari limitatissimo.
La scelta, inoltre, che potrebbe apparire forzatamente autoriale di inserire il bianco e nero come elemento dominante dei flashback, non toglie nulla alla genuinità dell'intero lavoro, che proprio sul finale cambia marcia acquistando una solennità potentissima rivelando un vero e proprio gioco di prestigio non nuovo al Cinema - soprattutto autoriale - ma, ancora una volta, perfettamente incastrato e funzionale alla vicenda, in grado di prendere per mano - o meglio, spingere prepotentemente - l'audience conducendola al finale e alla chiusura di una vicenda terrificante, culminata con lo splendido monologo di Richard a proposito dell'essere mostri.
Questa volta, al contrario del già citato This is England, Shane Meadows non si preoccupa di una ricerca di valori andati perduti: abbiamo di fronte solo ed esclusivamente una triste, amarissima storia che pare nutrita dall'homo homini lupus, popolata da esemplari al limite dell'umanità che - e questo fa correre più di un brivido lungo la schiena durante la visione - non paiono aver fatto nulla più che assecondare senza controllo i loro più bassi istinti.
Istinti da mostri.
Mostri come Sonny.
Mostri come Richard.
Mostri come noi.
Resta fuori soltanto Anthony. Ma siamo davvero sicuri che sia davvero così?
MrFord
"Dicono che sono pronti a sparare sul mostro Lo prenderemo sia vivo che morto sul posto!
Dicono loro che sono soldati d'azione
classe di uomini scelti e di gente sicura
ma l'unica cosa evidente è che il mostro ha paura
il mostro ha paura."
Samuele Bersani - "Il mostro" -

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