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Ma facciamo un po’ di storia. Dead Snow esce nel 2009 e si guadagna presto lo status di film culto, non è stata la prima ma forse è stata una delle opere più fresche nel mescolare occultismo nazi e zombie e, vuoi un po’ i suoi natali norvegesi, vuoi l’eccesso splatter davvero notevole, non è servito molto tempo per far spargere la voce. Il successo non è comunque sinonimo di qualità, alla fine Dead Snow non è un bel film, ma non è nemmeno un brutto film, è soltanto un film dove l’inesperienza del suo creatore, un Wirkola allora trentenne, danneggia e al tempo stesso rinnova un horroraccio che ha qualche qualità ma più che altro difetti che pesano come massi.
La mancanza di equilibrio tra una prima e una seconda parte era piuttosto palese, e tra un inizio che fa il verso a un qualsiasi teen slasher con il solito minestrone di ragazzi dementi, alcol, tette, cabin in the woods, e un prosieguo dove Wirkola innesta una marcia di demenza ultragore che fa gridare Peter Jackson e Sam Raimi a ogni esplosione di cervella, Dead Snow arranca senz’anima e in maniera abbastanza stanca, privo di una direzione e di un taglio registico/narrativo adeguato, ma in fondo pazienza, ci sono spunti gore niente male, c’è voglia di pescare dal passato e riadattarlo ai tempi odierni, poi in fondo si crescerà, c’è sempre tempo per migliorare.
E infatti.
Dal terribile Hansel e Gretel cacciatori di minchie Wirkola ha imparato solo una cosa: il ritmo. La sua regia americana era il solito, inguardabile blockbusterone tiepido e insipido, fatto per un pubblico giovane e di poche pretese, ma gestire la narrazione, creare i personaggi, avere una direzione da seguire, per quanto semplice, sono elementi senza i quali questo Dead Snow 2non avrebbe mai potuto brillare per simpatia, cattiveria e numero di sbudellamenti. L’equilibrio che ha trovato Wirkola fa sì che il suo nuovo film non solo sia esattamente quello che promette di essere, ma possa addirittura dare di più: più risate, più personaggi scemi, più smembramenti, più scorrettezza, più zombie. È una horror comedy che guarda ancora una volta ai primordi degli sperimentalismi gore, citando neanche tanto velatamente La casa 2 e i duelli brucecampbelliani tra Ash e la sua mano indemoniata (qui il protagonista Herzog ha un braccio zombie che può resuscitare i morti), e dispensa equamente spunti ironici, ma mai prettamente demenziali come nel capitolo uno se non in una manciata di sequenze sceme (intestini usati come cappio o giù di lì), e camionate di crani che scoppiano, mascelle strappate e coloriti squartamenti. La comicità è esaltata da alcune trovate gestite con una mano grottesca che pare sapere il fatto suo (il dottore zombie che “ripara” i soldati, le gag dei poliziotti), mentre in altre situazioni è rinnovata da una cattiveria tostissima, che magari qua e là pare forzata (qualche momento slapstick, con gente in carrozzina che viene fortuitamente schiacciata da zombie volanti), ma che spesso vince per la naturalezza del suo azzardo (il disabile zombie che muore e rinasce decine di volte è personaggio simbolo) proprio perché tira in ballo il cliché tipo della risata irrispettosa (gay, bambini e, appunto, disabili) senza per forza pestare di grana grossa ma inventando situazioni sempre più strampalate, un po' come faceva John Gulager nel suo capolavoro Feast II.
Che Wirkola abbia una visione d’insieme più sensata lo si vede anche dai personaggi: mentre Herzog riprende la simpatica, stanca robustezza della parte finale del film precedente, i tre zombie killer americani che lo aiutano appaiono sì retard nel loro disegno così netto, ma è anche vero che, tra ammiccamenti esagerati e battute dal ritmo perfetto, fanno ridere in ogni sequenza. Che il film poi scada a tratti in ironia eccessivamente scema è probabilmente cosa da accettare nel rodaggio generale, Wirkola avrebbe bisogno di qualche freno con cui ritornare in carreggiata e certi limiti appaiono anche evidenti, ma sono difetti da poco in un’opera che rimane vivace ed efficace per tutta la sua durata.
Con un miglior lavoro fotografico, per dare più profondità alle tante scene notturne ma anche per sottolineare il bel contrasto nelle tantissime scene di giorno, forse il gioco avrebbe funzionato alla perfezione, perché il cast ha le giuste facce tra lo sconvolto e la follia per dare credibilità ai personaggi, da Martin Starr e il suo inaffondabile Daniel a Stig Frode Henriksen (anche sceneggiatore) e al suo gay timido Glenn Kenneth, con un Orjan Gamst che è volto e fisico completo per dare umoristico carisma al leader del gruppo.
Inevitabile adesso un nuovo lavoro hollywoodiano per Wirkola, Hansel e Gretel 2 è già stato annunciato e okay, pazienza, ci sarà da aspettare la solita coglionata per poi dimenticarla al volo quando arriverà il momento di un Dead Snow 3.
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