C'era già stato un precedente di Deadpool al cinema, ed era legato al primo capitolo dello spin-off X-Men dedicato a Wolverine. Si trattava di una comparsa poco felice ed esaltante, in cui il personaggio Marvel più irriverente, veniva decantato per la sua parlantina, ma poi, senza alcuna possibilità di fare breccia nella memoria dello spettatore, finiva vittima di un burattinaio e delle sue mire criminali che facevano rima con la tentata (e fallita) uccisione del personaggio-stella di Hugh Jackman.
A dare volto, in quel frangente, al chiacchierone in tutina spandex, rossa e nera, era l'attore Ryan Reynolds.
Fa un effetto strano perciò - sapendo anche la travagliata storia con cui si è riusciti a portare il Deadpool attuale al cinema - vedere come tutte le parole chiave suddette tornino a dare giustizia ad un cerchio che non voleva essere aperto, ma che ora, col senno di poi, si fa fatica a voler veder chiuso. Perché quello che Ryan Reynolds ha lottato per tornare ad interpretare da protagonista assoluto è un eroe che provoca una rottura inaspettata in quell'universo supereroistico che ultimamente aveva cominciato a prendersi sul serio. Forse troppo sul serio. In un certo senso la mossa è una furbata, un tentativo con cui accaparrarsi la fetta di pubblico più ampia, fornendogli uno spettacolo da fast-food composto con gli stessi ingredienti a disposizione degli altri ristoranti, con la sola differenza di utilizzare un impiattamento più grossolano e volgare. Il risultato, che sia volontario o meno, è quello di un film - per dirla alla Deadpool - ad effetto-orgasmo, ovvero che scivola via in un istante, lasciando una sensazione di benessere e di liberazione. Sensazione che magari non ha la forza di durare a lungo termine, ma che nella sua breve comparsa basta per appagare ed esaltare.
Del resto, è evidente che agli sceneggiatori Rhett Reese e Paul Wernick interessa relativamente da dove viene il Wade Wilson che c'è dietro la maschera, per loro le origini sono solo una palla al piede, un nodo da sciogliere velocemente, non perdendo tempo prezioso, visto che l'unica cosa che conta in "Deadpool" è la briglia sciolta che Deadpool può permettersi dalla sua. Così, sin dai titoli di testa, la pellicola diventa un onesto gioco nerd, privo di limiti, una carta bianca su cui andare a scrivere e a disegnare qualunque cosa, non risparmiando battutine sarcastiche agli altri film del genere (e non), agli attori che quei film li hanno fatti (e non) e persino a Reynolds in persona. Non fa né figli, né figliastri la pellicola di Tim Miller, se vuole dire qualcosa la dice, non importa se sta attaccando sé stessa o qualcun altro. Coinvolge il pubblico, sfonda la quarta parete come vuole il fumetto originale e spesso lo sostituisce lasciandosi andare a commenti e pensieri che, probabilmente, in quel momento passano per la testa di chi sta guardando, anticipandolo nell'esclamazione o nel suggerimento sottovoce al compagno di visione.
Un esperimento riuscito al 100%, che ha fatto delle difficoltà di produzione, dei no ricevuti e della poca fiducia a favore, il suo valore principe con cui conquistare chiunque decida di metterlo alla prova, senza risultare mai fastidioso, inopportuno o eccessivo. Ecco, se proprio dovessimo andare a intercettare quella piccola stonatura, la sbavatura alla quale attaccarci per fare i guastafeste del cazzo (questa sempre per dirla come la direbbe il tipo vestito in tutina nera e rossa), potremmo dire che nei momenti in cui Deadpool è Wade Wilson il carisma stretto di Reynolds si fa sentire (e forse è per questo che tali momenti sono limitatissimi), suscitando il pensiero fugace di come si sarebbe potuto rendere il tutto ancor più cool ed estasiante se solo al suo posto ci fosse stato un attore con le capacità espressive infinite, simili a quelle del Robert Downey Jr./TonyStark.
Ma è anche vero che senza Reynolds probabilmente, ora, non staremmo qui a parlare di "Deadpool", a dire che la sua rottura degli schemi era forse qualcosa di necessario e fondamentale, nel cinema che rappresenta: a cui serviva una dissacrazione, libera e sfrontata come questa, per guardarsi dentro e modificarsi. Non staremmo qui a dirvi che nel sequel (annunciato) facciamo tutti il tifo (sceneggiatori compresi) che il low budget e l'autoironia procedano a comandare, evitando che questo brutto anatroccolo non si trasformi in cigno e continui a comportarsi da maleducato in quel lago dove, forse, di cigni, o presunti tali, recentemente ne stiamo avvistando troppi, troppo uguali.
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